Il Made in Italy alla conquista della Florida

giovedì 9 agosto 2012


Gianluca Fontani è il presidente della Camera di commercio italiana a Miami. Nel nostro viaggio fra i protagonisti dei rapporti fra Italia e Stati Uniti, ci sembra importante dare voce a chi presiede una istituzione fondamentale in una delle zone più importanti per il business in America. 

Presidente Fontani, ci parli un po’ di lei. Da Firenze a Miami bruciando le tappe, data la sua giovane età. E’ una conferma del perfetto abbinamento tra creatività italiana e ambiente di business americano?
38 anni, sposato e padre di Elisa, nato e cresciuto a Firenze con la passione dei viaggi. La mia prima società è stata fondata a Firenze nel 1999, dove ancora ho diverse attività tutte legate al mondo della comunicazione e marketing sia on-line che off-line e dell’editoria. Dal 2004 mi sono trasferito a Miami, dove sono arrivato un po’ per caso ma ho capito subito le potenzialità che questa città offriva e continua ad offrire essendo in costante evoluzione. Come tutti i mercati quello americano ha le sue regole e le sue dinamiche che vanno capite, assecondate e seguite per avere successo. Sicuramente la creatività italiana e la “scuola” che un imprenditore fa con le difficoltà che spesso si riscontrano in Italia sono una bella base di partenza per sviluppare un business negli Usa, dove la burocrazia è più semplice e il mercato è molto più ampio sia per estensione geografica che per valori numerici. 

La Camera di commercio che presiede ha quasi 200 aziende iscritte: che aziende sono? Quali sono i servizi che fornite?
La Camera di Commercio Italiana a Miami è attiva dal 1991. Nel corso degli anni si sono affidati a noi moltissime aziende provenienti dall’Italia, per conoscere le opportunità d’affari e per informarsi sulle caratteristiche di questo mercato. Forniamo guide orientative, liste di importatori-distributori, facciamo ricerche di mercato ed organizziamo incontri B2B, mettendo in contatto i produttori italiani con compratori professionali Usa. Attualmente le aziende associate sono 190 e appartengono a diversi settori: andiamo dal piccolo ristoratore fino alla filiale della grande multinazionale. Sicuramente i settori tradizionali di eccellenza del made in Italy sono quelli piu rappresentati: in particolare il settore casa-arredo, il settore agroalimentare, quello dell’industria nautica, ma anche quello dei servizi legali e finanziari. Miami è la seconda città degli Stati Uniti per presenza di banche internazionali dopo New York.

Miami è la porta d’ingresso per il Sud America e i Caraibi, ma anche un eccezionale snodo commerciale nel sudest degli Usa, nonché una città dal grandissimo fascino, come d’altronde tutta la Florida. Quali sono i numeri che descrivono gli scambi commerciali italiani con quest’area, e cosa si può fare per migliorarli?
Nel 2011 abbiamo assistito ad una crescita delle esportazioni italiane. L’economia americana sta gradualmente riprendendo a crescere e questo si nota ovviamente anche nelle cifre dell’import-export. Il valore dei prodotti italiani venduti in Florida ha superato i 1.200 milioni di dollari, ritornando a cifre molto vicine a quelle di prima  della crisi del 2008. I prodotti maggiormente venduti sono quelli legati alla nautica da diporto (yacht e componentistica), dove l’Italia ha una leadership internazionale. La Florida è uno dei primi mercati al mondo per l’acquisto di yacht: qui sono registrate più imbarcazioni da diporto che in tutta Europa. Altri prodotti caratteristici delle nostre esportazioni sono quelli della filiera agroalimentare (soprattutto il vino ha fatto registrare tassi di crescita a due cifre) e quelli del comparto casa-arredo, dove per i mobili di alta gamma Miami rappresenta un polo distributivo di primaria importanza sia per il sudest degli Stati Uniti che per tutta la regione latino-americana. Da sottolineare poi l’importanza che quest’area riveste per il comparto lusso italiano (alta moda e gioielleria). 

Come si caratterizzano gli italiani e gli italoamericani che vivono nel Sudest?
Bisogna fare una distinzione tra l’emigrazione storica e quella più recente. Gli italo-americani di terza o quarta generazione sono oltre un milione su una popolazione complessiva di 19 milioni di abitanti. Sono molto presenti in aree come Fort Lauderdale, Tampa o Sarasota. A Miami, invece, non c’è una grande comunità italo-americana tradizionale, ma a partire dalla fine degli anni novanta è arrivata una nuova migrazione composta soprattutto da giovani, imprenditori, ricercatori. Si tratta, quindi, di due comunità che si muovono con logiche diverse tra loro ma che sono accomunate da un forte sentimento di appartenenza all’Italia e da un grande apprezzamento verso cio’ che l’Italia rappresenta dal punto di vista culturale ed industriale. Poi bisognerebbe parlare di una terza categoria molto significativa a Miami, ovvero  gli italo/latino-americani emigrati negli ultimi 10-12 anni da paesi come Venezuela, Colombia o Argentina. Si tratta molto spesso di una migrazione qualificata di studenti, professionisti ed imprenditori. Anche per loro il legame con l’Italia rimane forte.

In qualità di presidente di una Camera di Commercio, le chiediamo di aiutarci a capire come è visto negli Stati Uniti il rapporto tra Italia e impresa: il made in Italy è davvero (ancora) così forte?
Sì, il made in Italy è un brand che tutto il mondo ci invidia ed è ancora molto forte negli Stati Uniti. Certamente da solo non basta per “sfondare”. Le aziende che vogliono esportare in questo paese devono necessariamente avere un’organizzazione commerciale impeccabile, basarsi su strategie di marketing moderne, curare nei minimi dettagli l’assistenza al cliente, soprattutto riguardo la puntualità delle consegne delle merci. La bellezza, il design o la bontà di un prodotto da soli non bastano più per decretare il successo in un mercato esigente e competitivo come quello Usa. 

Che consiglio darebbe a chi vuole prendere in considerazione di cercare lavoro o aprire un business a Miami?
Per chi cerca lavoro purtroppo esiste una barriera d’ingresso costituita da una severa politica di concessione dei visti. La nostra Camera di Commercio riceve giornalmente richieste di informazioni e curricula di giovani italiani desiderosi di fare un’esperienza americana, ma la risposta per loro è sempre la stessa: se non hai il visto la missione è molto ardua. L’unico consiglio è quello di contattare le aziende italiane già presenti su questo territorio e verificarne la disponibilità a sponsorizzare un visto di internship o lavoro per il candidato. Per chi è qualificato le probabilità sono più alte. La nostra Camera di Commercio mette comunque a disposizione di chi cerca di trasferirsi una guida orientativa che è un primo strumento utile per intraprendere questo percorso. Per chi invece vuole investire in Florida ci sono sicuramente molte opportunità e facilitazioni, si pensi solo che per che aprire una società i tempi richiesti sono solamente di qualche giorno. Da questo punto di vista c’è un abisso tra la burocrazia americana e quella italiana. Inoltre le agenzie di sviluppo economico delle varie Contee offrono incentivi e agevolazioni per chi crea occupazione in questo momento e come Camera di Commercio abbiamo  creato e partecipato a missioni e stretto accordi con queste agenzie proprio per sfruttare al massimo questi incentivi per le aziende italiane che si vogliono espandere in questo mercato.

Il sistema dell’internazionalizzazione italiana è in continuo cambiamento. Dal maggiore apporto degli uffici commerciali delle Ambasciate alla riforma dell’Ice, dalla crescita del ruolo delle Camere alla soppressione del ministero per il Commercio estero, fino alle missioni commerciali poco coordinate dei tanti enti locali: da imprenditore italiano all’estero e presidente della Camera italiana a Miami, cosa direbbe a chi sta lavorando nella nuova cabina di regia istituzionale su questo argomento?
È fondamentale ristrutturare l’intero sistema dell’internazionalizzazione delle imprese tenendo conto delle indicazioni delle associazioni di aziende che operano all’estero. Troppo spesso vediamo azioni non coordinate da parte di enti locali ed altre organizzazioni italiane. Vanno eliminati sprechi, iniziative che hanno poco senso dal punto di vista commerciale, sinergie non colte. Ritengo che le Camere di commercio italiane all’estero abbiano dato prova di affidabilità, uso oculato delle risorse (poche) messe a loro disposizione, efficacia commerciale e soprattutto conoscenza del territorio. Superando grandissime ristrettezze finanziarie cerchiamo di promuovere il nostro export con tante piccole azioni quotidiane. Siamo un punto di riferimento importante per il mondo produttivo, pur ricevendo dal governo solo una percentuale minima di copertura delle nostre spese di gestione: il resto, il 90%, ce lo autofinanziamo attraverso quote associative e vendita di servizi. Siamo soggetti che nascono dal mercato che per forza di cose devono far bene il proprio lavoro, altrimenti ne escono: questo ci dà una spinta al miglioramento continuo che ci rende unici nel panorama del Sistema Italia. Penso sia giunto il momento che le Camere di commercio italiane all’estero siano considerate a Roma come un asset per l’Italia, antenne vitali per la nostra comunità d’affari. Spero quindi, da imprenditore, che la cabina di regia riesca a coordinare con efficacia tutte le parti coinvolte nel processo di internazionalizzazione evitando gli sprechi e ottimizzando le risorse, mentre da presidente di una Camera italiana all’estero mi auguro che le Camere vengano sempre più considerate e coinvolte nelle attività promozionali nate a livello centrale ma svolte nelle aree di loro competenza.

di Umberto Mucci