Bordin e il futuro dei Radicali

Si diverte Massimo Bordin, storica voce di Radio Radicale, nel commentare la provocazione lanciata sulle pagine de L’Opinione di una candidatura di Marco Pannella al Quirinale da contrapporre a quella di Antonio di Pietro: «Uno scontro tra l’ex pm e Pannella per la poltrona del Colle sarebbe assai interessante. Ma se il leader Radicale dovesse spuntarla, si dimetterebbe seduta stante. La sua elezione significherebbe che del suo lavoro nel paese non ci sarebbe alcun bisogno». Ma all’indomani della chiusura del Congresso di Radicali italiani, i problemi principali che il partito si ritrova ad affrontare concernono la futura collocazione politica. A partire dal rapporto con il Partito democratico: «Pier Luigi Bersani sembra aver sistemato la sua futura piattaforma elettorale – osserva Bordin - che a quanto pare prescinde dai Radicali. Il segretario non è venuto al nostro Congresso, anche se invitato, e questo è sicuramente un segnale». Ma l’ex direttore non ci sta alle osservazioni di chi paragona la traiettoria delle truppe pannelliane a quella dell’Idv nei burrascosi rapporti che entrambi hanno avuto con largo del Nazareno: «Bisogna ricordare che ai Radicali fu negato l’apparentamento di una loro lista, circostanza che invece fu permessa a Di Pietro. E anche se i suoi parlamentari hanno a volte votato in dissenso dal gruppo, la loro lealtà è stata tutt’altra cosa rispetto a quanto fatto dall’Idv all’indomani del voto. Anche oggi la differenza sostanziale è che non si sono posti in un atteggiamento di opposizione all’esecutivo». Nonostante ciò, quella strada sembra destinata ad interrompersi: «Un mese fa c’è stato qualche contatto con il Pd, che tuttavia non ha avuto seguito. La collocazione futura è ancora tutta da valutare».

L’esclusione dei Radicali da un possibile centrosinistra di governo è probabilmente da collegarsi con una futuribile intesa con l’Udc di Pierferdinando Casini, agli antipodi dalle posizioni di Pannella. «Ma nella Prima repubblica questa linea divisoria netta – ricorda Bordin - È con la Seconda che si è affermato questo aspetto bizzarro». La differenza, forse, è da ricercarsi nella scomparsa di quell’area laica che prima di Tangentopoli trovava una sua precisa, seppur minoritaria, rappresentanza: «Ormai è stata fagocitata dai due principali schieramenti, ma viene da pensare che sia stata anche un po’ colpa sua se i due blocchi che li hanno inglobati li hanno assorbiti senza offrirgli uno spazio d’azione significativo». Difficilmente risorgerà, così stanti le regole d’accesso al Parlamento. Un problema che si pone anche di fronte alle scelte dei Radicali: «È complicato orientare le proprie scelte future se non si sa ancora con quali regole si giocherà – ammette l’ex direttore – La presenza radicale è difficile da organizzare. Non è il solo Pannella ad essere difficilmente collocabile. Se l’intero partito sui diritti civili avverte una maggiore comunanza con le istanze del centrosinistra, è anche vero che tendenzialmente sostenitore del libero mercato, che trova maggiore cittadinanza nel centrodestra».

Anche un problema di spazio nella comunicazione pubblica, come da anni rilevato dai Radicali. La stampa italiana, al netto della polemica di partito, secondo Bordin ha una conformazione del tutto particolare: «Lascia basiti l’intervista di qualche giorno fa di Gustavo Zagrebelsky, con la quale affermava che il principale problema della nuova legge sulla diffamazione al vaglio del Parlamento sarebbe il rafforzamento del ruolo degli editori. Una dichiarazione che, se fatta in qualsiasi altro paese europeo, lascerebbe basiti. Gli editori mettono i soldi nell’impresa giornalistica, hanno tutto il diritto di mettere bocca nelle scelte di linea politica». L’anomalia italiana è da ricercarsi nel fatto che nel Belpaese mancano imprenditori che fanno della comunicazione giornalistica il proprio core-business principale. Spiega infatti Bordin che «da un lato ci sono imprenditori, costruttori, finanzieri che non hanno come principale mission l’attività comunicativa. Dall’altro chi si sostenta con il finanziamento pubblico». «Finché non supereremo questa situazione – conclude il giornalista – il nostro sistema d’informazione non sarà mai completamente sano».

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:03