Siamo in recessione, ma lo stato ingrassa

mercoledì 7 novembre 2012


A fronte di un calo del Pil, cioè della ricchezza prodotta nel nostro paese, del 2,4% nel 2012, il governo si ritrova nei primi nove mesi dell’anno (gennaio-settembre) un aumento delle entrate tributarie del 3,8%. Siamo in recessione ma lo stato ci guadagna. Com’è possibile? Verrebbe da pensare al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, invece si tratta di un corposo trasferimento, non tanto di ricchezza – perché di nuova non ne è stata creata – ma di risparmi dai cittadini allo Stato, una sorta di prelievo bancomat dai nostri conti corrente. Un dato che dà la misura dei sacrifici sopportati dagli italiani per chiudere i buchi di bilancio causati dalle politiche dissennate dei governi che si sono susseguiti.

L’extra-gettito si deve non all’aumento delle entrate da imposte sui redditi di impresa o personali, che sono lievemente in calo, risentendo maggiormente della crisi, ma alle imposte patrimoniali introdotte sia dal governo Berlusconi-Tremonti che da Monti: la prima rata dell’Imu e le nuove tasse su interessi e altri redditi da capitale. Ad essere colpito, dunque, è il nostro risparmio, cioè una ricchezza passata che già era stata abbondantemente tassata nel momento della sua creazione. Ma aumentano anche le ritenute dei dipendenti pubblici (+0,6%) e privati (+1,4%), il che vuol dire, al netto della disoccupazione, che la stangata fiscale si è abbattuta pesantemente anche sull’Irpef, mentre la flessione del gettito Iva (-1,4%), nonostante l’aumento di un punto percentuale delle aliquote, dimostra l’impatto profondamente recessivo delle politiche attuate.

Sarà interessante vedere che percentuale raggiungerà l’aumento delle entrate a fine anno, quando arriverà il gettito della seconda rata dell’Imu, rispetto alla percentuale di diminuzione della spesa pubblica. Vedremo, allora, in che misura stato e cittadini avranno contribuito al risanamento.

I partiti di maggioranza, nel frattempo, hanno chiesto e ottenuto di rinunciare al mini-taglio delle aliquote Irpef inizialmente previsto dal governo nella legge di stabilità. Le risorse così liberate serviranno innanzitutto a limitare all’aliquota ordinaria l’aumento di un punto dell’Iva (dal 21 al 22%), risparmiando quella agevolata (al 10%), e a salvare dai tagli detrazioni e deduzioni fiscali. Resterebbe un “tesoretto” di 6,7 miliardi che nelle intenzioni dei relatori di Pd e Pdl dovrebbe essere utilizzato per ridurre il cuneo fiscale. Solo che la portata di questo benefico intervento è ancora poco chiara e rischia di rivelarsi un flop. Innanzitutto, perché i risparmi della mancata riduzione dell’Irpef saranno piuttosto scarsi nel 2013 (1,1 miliardi), e solo dal 2014-2015 più corposi (3,1 e 2,5 miliardi). E poi perché le «inutili cattiverie» che i relatori si propongono di cancellare dal testo sono molte. Quei soldi dovranno servire anche ad aumentare la spesa sociale (200 milioni), esentare dalle tasse cooperative sociali e pensioni di guerra, evitare i tagli alla scuola, allentare i vincoli di bilancio dei Comuni, limitare i tagli al comparto sicurezza, allargare la platea degli “esodati” salvaguardati. Che sia «meglio tagliare il cuneo fiscale piuttosto che ridurre l’Irpef», come si sente ripetere, non c’è dubbio, ma dopo gli interventi citati quanti soldi rimarranno?

Le risorse per una sensibile riduzione del costo del lavoro potrebbero arrivare da altre voci di spesa. Peccato che siano chiusi da mesi nei cassetti dei ministeri sia il rapporto Ceriani sulla revisione organica delle agevolazioni fiscali (700 voci censite per oltre 250 miliardi, di cui solo 80 non aggredibili), sia il rapporto Giavazzi, secondo il quale sarebbe possibile ridurre da subito il cuneo fiscale di 10 miliardi tagliando i sussidi pubblici alle imprese.

Il colmo è che un’operazione simile a quella proposta mesi fa da Giavazzi, per ora rimasta sulla carta, la sta per attuare la Francia di Hollande. Nel «rapporto choc» sulla competitività delle imprese francesi commissionato a Louis Gallois, ex ad di Eads e Sncf, si chiede al governo di alleggerire di 20 miliardi i contributi sociali a carico delle imprese e di 10 quelli sui lavoratori entro uno o due anni, per un totale di 30 miliardi. Dopo solo 24 ore dalla presentazione del rapporto, Parigi ha già annunciato un piano di sgravi per 20 miliardi in tre anni (10 nel 2013 e 5 nel 2014-2015). Il che, secondo il primo ministro Ayrault, corrisponderebbe ad un taglio del 6% del costo del lavoro, fra i più alti in Europa e tra i principali freni alla competitività delle imprese. La riduzione del cuneo sarà finanziata da tagli alla spesa pubblica per ulteriori 10 miliardi a partire dal 2014 e da un leggero aumento dell’Iva: dal 19,6 al 20% l’aliquota ordinaria, dal 7 al 10% quella ridotta, di cui beneficiano soprattutto i ristoranti, mentre quella sui prodotti alimentari scenderà dal 5,5 al 5%. Dunque, a luglio il governo francese ha commissionato il rapporto e dopo un solo giorno dalla sua presentazione è già pronto ad agire mettendo in pratica, almeno parzialmente, i suggerimenti.


di Federico Punzi