Il patto tra stato e contrabbando

Un patto tra stato ed anti-stato alla luce del sole, annunciato sulla Tivù di stato, quest’idea venne a Rino Formica (socialista e ministro delle Finanze sul finire della Prima Repubblica). Per realizzare questo progetto, che di fatto avrebbe tagliato le gambe a camorra e sacra-corona, Rino Formica tentò un faccia a faccia televisivo con i contrabbandieri. Per l’occasione venne armata una puntata dell’Istruttoria di Giuliano Ferrara: un’intera puntata sul fumo e sul contrabbando di sigarette. Formica accetto di dialogare con i contrabbandieri, garantendo loro che non avrebbero avuto nulla a temere se si fossero rivelati in televisione. Davvero un coraggioso contatto tra stato ed organizzazione criminale, e per dire basta alle uccisioni di uomini della Guardia di Finanza che quotidianamente si consumavano in Puglia e, in percentuale minore, in Campania.

In quel rovente 1992, Rino Formica e il neodirettore generale del ministero delle Finanze Giorgio Benvenuto dialogarono a lungo con un gruppo di contrabbandieri ed ex contrabbandieri. Per l’occasione il giornalista Lino Jannuzzi raccolse le donne contrabbandiere dei vicoli di Napoli nel ristorante partenopeo “La Bersagliera”. La prospettiva di poter lavorare per lo Stato non veniva del scartata dai malviventi, che comunque chiedevano una specie sanatoria per tutte le loro pendenze. 

Ma questo accordo, che sapeva tanto d’amnistia, non piaceva al Msi ed a parte della Diccì, e poi il Pci non era granché convinto. Ogni partito avanzava delle riserve, e non mancarono nemmeno gli attacchi personali all’indirizzo di Formica che, ad onor del vero, si dimostrò intellettualmente onesto: non ricorse mai a sotterfugi, e chiese un patto leale tra stato ed anti-stato per piegare il contrabbando. I legulei che sempre hanno appestato le Camere ricordarono al ministro delle Finanze che «si sarebbe trattata dell’ennesima amnistia, come il Dpr di concessione di amnistia e indulto per reati con pena reclusiva fino a 3 anni datata 18 dicembre 1981, come l’amnistia per reati tributari dell’agosto 1982 e poi sempre per reati tributari del febbraio ‘83, come l’amnistia e indulto del 1986 e l’amnistia per reati con pena reclusiva fino a 4 anni del 1990», ed i missini sbraitavano «ogni anni c’è un’amnistia, vogliamo carcere duro per i contrabbandieri».

Formica dimostrò che solo un perdono avrebbe stroncato il contrabbando: mossa che avrebbe evitato futuri danni per i monopoli dello stato. Ed i detrattori del progetto rammentarono che «su alcuni contrabbandieri gravano multe anche di 13 miliardi di lire». Era evidente che nessun malvivente avrebbe mai pagato simili multe, anche perché i loro beni venivano regolarmente intestati ad altri soggetti. Formica dimostrava al paese tutto che la lotta era impari, che per vincerla necessitava ripartire da zero, da un accordo. «E se poi spuntano altri contrabbandieri che facciamo, assumiamo anche loro?», ribatteva qualche Diccì. Il ministro socialista non dava peso a detrattori. Così, durante la diretta televisiva di Ferrara, il momento emozionale venne toccato quando l’armatore d’una flotta contrabbandiera si mise in contatto telefonico con Formica. «Lei è il criminale - esclamò Formica - con lei non parlo»: infatti il ministro voleva che quell’occasione di lavoro onesto potessero assaporarla i tanti costretti a fare i contrabbandieri per mero bisogno. L’Istruttoria entrava così nel cuore dei telespettatori, soprattutto dopo l’intervento in trasmissione di Mario Merola (storico “re della sceneggiata napoletana”.

«I contrabbandieri consegnino i mezzi e noi li acquisteremo, provvedendo contemporaneamente al loro assorbimento nel mondo del lavoro», ripeteva il ministro: un messaggio indirizzato a pescatori e povera gente costretta per bisogno a fungere da manovalanza di camorra e sacra corona. Ma entrambe le mafie non volevano perdere questa fetta di guadagni, e non dimentichiamo che il boss del contrabbando erano riusciti a far eleggere dei sindaci sia in Puglia che in Campania. Ad onor del vero nessuno di quei primi cittadini veniva dal Psi: si trattava, com’è facile immaginare, di giunte nate tra Diccì e liste civiche.

Il 3 marzo 1992 Patrizia Capua raccoglieva per Repubblica la risposta di alcuni contrabbandieri: «Grazie ministro Formica ma resto contrabbandiere». Cosa aveva favorito (soprattutto chi) questo vento contrario alla proposta del ministro socialista?

«Tutti i mesi allo scoccare del 27, un milione e ottocentomila lire in busta paga - scriveva Patrizia Capua -. E poi la pensione, le ferie pagate, e magari il pacco dono a Natale. È l’onesto stipendio di un finanziere, messo insieme con fatica e turni di straordinario, nella quotidiana lotta ai suoi nemici: l’evasore e il contrabbandiere». Ma il contrabbandiere (rammentava la Capua) dall’ altra parte della barricata, in un mese mette insieme uno stipendio da venti milioni di lire.

La proposta Formica incontra il favore d’uno scarso 10% di contrabbandieri, soprattutto dei corrieri che per pochi soldi rischiano la vita per fare ricchi i boss di camorra e sacra corona. Non dimentichiamo che nel 1992 gli scafisti riuscivano con dieci viaggi mensili a mettere insieme venti milioni: una forbice i 120 ed il 250 milioni annui. Angelo Montagna (28 anni, disoccupato con tre figli a carico) venne intervistato da Patrizia Capua perché risultò il primo nella lista dei contrabbandieri napoletani disposti a dismettere l’attività illegale. Poi il progetto si bloccò, osteggiato dalla stessa politica.

A marzo del 2000, ben dodici anni fa, l’allora sindaco di Brindisi, Giovanni Antonino, rispolverava l’idea di Rino Formica. «Vietare la vendita nelle tabaccherie delle marche di sigarette che vengono introdotte clandestinamente dai contrabbandieri»: è questa la trovata di Antonino, che però finisce nell’occhio del ciclone per aver ricevuto la delegazione dei contrabbandieri. La campagna politica contro Antonino assurge a dimensione nazionale. «La ricetta ‘per sconfiggere definitivamente il fenomeno è il contrasto al doppio canale, quello legale e quello illecito - ripeteva Antonino - è l’unico modo per contrastare efficacemente il traffico delle sigarette. Si sequestra un certo quantitativo di una determinata marca? Viene vietata per un certo periodo, uno, due , tre mesi... la vendita della stessa marca nelle tabaccherie legali». «Una misura di questo genere - ricordava Antonino - era già prevista in un decreto del 1991 dell’allora ministro delle Finanze Rino Formica». 

Il contrabbando non era e non è un problema di Puglia e Campania, è un affare internazionale: il 20% delle sigarette che transitano clandestinamente nello Stivale finiscono in altri Paesi Ue. Il volano del contrabbando aiuta le multinazionali che, ormai è noto, contano su intermediari tra stato e mala del contrabbando.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:47