La politica e l'oralità

L'oralità è quella forma di trasmissione culturale che avviene con la voce, senza utilizzare la scrittura. La storia dell'uomo soprattutto alle origini vive di oralità; partendo dagli omerici Iliade ed Odissea, quest'arte nel tempo si è perfezionata ed evoluta, passando attraverso la retorica, (e cioè quella capacità di convincere gli altri con l'arte della parola), la dialettica, (il dialogo di posizioni diverse). Senza togliere nulla all'oralità "accademica", molto più recente, anche se alcuni studi vorrebbero la sua nascita riferibile agli antichi Greci (tutto loro, non ci hanno lasciato niente ), la più intensa arte oratoria è senz'altro il "cuntismo".

Mio nonno era un eccezionale raccontatore di "cunti". A differenza di tutte le altre forme di oralità, nel "cuntu", non c'è solo la capacità di raccontare una storia, ma quella di diventare non già l'interprete, ma esso stesso, il cuntista, assurge al ruolo di protagonista, anche con l'eventualità di cambiare la storia, più spesso soltanto il finale. Insomma una storia, tante storie. L'attuale specie "il politico", maestro in oralità, a quale di queste forme può essere ascrivibile? Presto detto. Del "cuntista" ha solo la capacità di cambiare la storia e quindi il finale, di dialettica manco a parlarne, perché parla da solo. Non rimane che la "retorica", spesso inconcludente, priva di contenuti, e fin qui ci siamo, ma presupponeva anche l'autorevolezza dell'oratore, ed anche qui, quindi sfugge al nostro fine, il politico ha qualcosa in più. Allora l'attuale politico può essere soltanto un tipo di oratore: l'oracolo, "un essere o un ente considerato fonte di saggi consigli o di profezie, un'autorità infallibile, solitamente di natura spirituale". Ditemi cosa non corrisponde al vero, se il politico in ogni suo singolo discorso, in ogni sua frase, non ostenta proprio saggezza profetica ed infallibilità spirituale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44