Piano licenziamenti, dopo Atene c’è Roma

Nessuna assunzione per i prossimi cinque anni, l’immediato licenziamento di altri seimila dipendenti pubblici, soprattutto il non rinnovo di tutti i contratti a termine: queste le condizioni che ha imposto nuovamente la Troika alla Grecia che necessita di aiuti. Richieste similari potrebbero essere indirizzate ben presto anche all’Italia, e perché, se l’Ue non dovesse ravvisare credibili (e certe) coperture di bilancio nella manovra di stabilità, è già pronta a chiedere che la disoccupazione salga in Italia di almeno altri quattro punti percentuali: nel caso del Belpaese potrebbero essere richiesti circa dieci volte più licenziamenti rispetto alla Grecia.

Anche se va detto che le trattative tra il governo greco e la Troika (Fmi, Ue e Bce) sul nuovo “piano licenziamenti” proseguono con molte difficoltà. Ed il governo di Atene teme oggi una rivolta violenta della popolazione per costringere il Paese ad uscire dall’Euro. Soprattutto i greci non sopportano che i nuovi licenziamenti vengano considerati come indispensabili per dare il via libera alla concessione della tranche da un miliardo di euro approvata lo scorso luglio. Nonostante siano stati già licenziati 12.500 dipendenti statali, i rappresentanti dei creditori europei chiedono alla Grecia nuovi licenziamenti: precisando che vanno licenziati anche i seimila lavoratori con contratto a termine, tra loro molti dipendenti pubblici (ex posto fisso) messi in mobilità con il passato “piano licenziamenti”.

Agli osservatori sembrano esauriti tutti i tentativi di spostare la trattativa sul piano politico: i tre funzionari della Troika non cedono se non vedono l’oggettiva disponibilità a corposi tagli di personale. Come se non bastasse, il Parlamento greco viene ora costretto ad approvare una legge che punisce con la reclusione (da sei mesi a due anni) chiunque violi le decisioni del regolamento Ue e, soprattutto, chi istighi e propagandi la disobbedienza verso le leggi europee.

Voci di corridoio ci confermano che al premier italiano Enrico Letta sarebbe già stato chiesto, e da autorevoli personalità Ue, che anche l’Italia si munisca di leggi che puniscono chi rema contro l’Euro e i suoi numi tutelari. Gli addetti ai lavori sono convinti che all’Italia verranno chiesti tra i 100mila ed il milione di disoccupati in più, ed entro il primo luglio 2014, giorno in cui scatterà il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue. Una comoda scappatoia sarebbe stata la chiusura della Rai, copiando proprio dalla vicina Grecia.

Il che avrebbe permesso di dimostrare all’Ue che l’Italia ha il coraggio di mettere per strada circa 14mila dipendenti pubblici: operazione utile soprattutto alle casse dello Stato, non dimentichiamo che l’emittenza pubblica costa annualmente quanto un’olimpiade, ma rifila ai cittadini solo prove del cuoco e giochi a premi. Se non c’è servizio pubblico, anzi se fa più servizio pubblico l’emittenza privata locale, è il caso che si chiuda il “ministero” di viale Mazzini, ed in buona compagnia di Saxa Rubra e tutte le sedi regionali e altro ancora. L’Italia non ha bisogno della Rai, soprattutto in questo momento.

Diverso è il caso della Grecia, dove l’Ert (televisione di stato greca) rendeva un grande servizio ai cittadini, e con telegiornali in grado di fotografare cronaca, problemi sociali ed economici, politica… L’irruzione della polizia negli studi di Atene della Ert ha scatenato la protesta dei greci: il loro servizio pubblico aveva previsto i piani di licenziamento quando ancora covavano nella pancia della Troika. Eroica la resistenza di giornalisti e tecnici: due giorni fa le forze dell’ordine sono intervenute ed hanno sgombrato la sede della tivù pubblica greca, occupata dallo scorso giugno dai dipendenti licenziati. L’ordine di sgombero è arrivato dal premier Samaras (uomo della Troika più del nostro Letta).

Invece in Italia è toccato al ministro Saccomanni dire all’Ue che su tutto si potrà tagliare tranne che sulla Rai. È più facile che Letta consenta alla Fiat d’abbandonare totalmente l’Italia piuttosto che rinunciare alla Rai, dove notoriamente banchettano parenti e amichette di politici. Come a dire, levateci tutto ma non il gusto di mostrare la prova del cuoco all’Italia affamata.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:15