La “Controriforma elettorale” della Corte

sabato 7 dicembre 2013


La nostra è sempre più una Repubblica fondata sulla giustizia politicizzata, complice un gruppo ormai sparuto ma ben introdotto di politici, anagraficamente sia vecchi che giovani, ma tutti disperati e miopi. Non lo scrivo da oggi e la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il cosiddetto “Porcellum” non è che l’ultima prova in ordine di tempo.

È un Paese in cui ormai da anni sono saltati tutti gli schemi, come si usa dire nel gergo calcistico quando ci si avvicina alla fine della partita e la squadra in svantaggio si affida alla sola forza della disperazione: sono saltati tutti i principi base di ogni Stato di diritto e i contrappesi istituzionali. Sotto il loro stesso peso sono alla fine esplose le contraddizioni sistemiche che si sono stratificate nel corso degli ultimi vent’anni a forza di ricorrere a forzature di ogni tipo pur di abbattere il nemico politico e impedire ogni forma di cambiamento.

Una cultura giuridica che maneggia il diritto come un continuo, inafferrabile e imprevedibile gioco di specchi, e la dissimulata faziosità di istituzioni che dovrebbero essere terze, ma che invece piegano alle proprie convenienze (nemmeno di lunga durata, ma del momento) qualsiasi principio, non potevano che dar vita a tali esiti disastrosi di non-democrazia. Il presidente Napolitano, i giudici della Consulta, i ministri del Governo Letta che plaudono all’“ottima sentenza”, dovrebbero arrossire per una decisione che li espone ad un paradosso tragico, nel quale solo con sprezzo del ridicolo riescono a scorgere, invece, il perseguimento dei loro obiettivi.

A prescindere dagli ennesimi contorsionismi giuridici che leggeremo nelle motivazioni, infatti, è evidente che questa sentenza delegittima tutti e tutto. Le nomine e le leggi approvate nelle scorse legislature si salvano, secondo il principio delle situazioni giuridiche “esaurite”, ma che ne è dell’attuale? L’attuale Parlamento, il Governo di cui è emanazione, nonché lo stesso presidente Napolitano e la stessa Corte Costituzionale, i cui giudici sono per 2/3 il frutto di nomine indirettamente viziate dall’incostituzionale “Porcellum”, e persino il voto sulla decadenza di Berlusconi, sono tutti delegittimati.

Tutti abusivi. La stessa decisione della Corte Costituzionale, poi, potrebbe essere viziata all’origine, dal momento che il ricorso contro il “Porcellum” è incidentale solo di facciata, mentre di fatto scaturisce per la prima volta dal ricorso diretto di un singolo cittadino, modalità esclusa dal nostro ordinamento. La stessa Corte che ha bocciato il referendum per la reviviscenza del “Mattarellum” non si è fatta scrupolo di produrre, di fatto, la reviviscenza del proporzionale da Prima Repubblica. E, d’altra parte, siamo nel Paese in cui il referendum che avrebbe introdotto un sistema maggioritario uninominale puro fallì d’un soffio perché nelle liste elettorali non aggiornate erano rimasti migliaia di defunti. Ma questo è solo un capitolo del massacro di diritto e diritti cui assistiamo, tra leggi penali e fiscali retroattive, assolutismo fiscale e burocratico.

Tutti abusivi, dicevamo. Eppure, non per uno strano scherzo del destino ma per un calcolo ben eseguito fino alla sua estrema conseguenza, la sentenza che da un lato li rende abusivi, dall’altro li blinda ancor di più sulle loro poltrone fino, almeno, al 2015. A Napolitano e Letta è riuscita, grazie alla sponda dei giudici della Consulta, una perfetta mossa del cavallo. Se prima della sentenza non si poteva votare perché c’era l’inviso “Porcellum”, e in effetti sarebbe stato un azzardo considerato il rischio di ritrovarsi con un esito del tutto simile a quello del febbraio scorso, ora non si può votare perché dalla legge così come riscritta dalla Consulta – un proporzionale puro con le preferenze, praticamente come nella Prima Repubblica – a maggior ragione scaturirebbe un Parlamento senza maggioranze chiare e, dunque, la necessità di nuove intese più o meno larghe da trovare dopo il voto.

Ma prima della fine di gennaio è impensabile che sia approvata una nuova legge elettorale. Guarda caso, infatti, pochi minuti prima della sentenza della Corte, le cui motivazioni potrebbero arrivare verso la fine di gennaio, la Commissione Affari costituzionali del Senato decideva di dare tempo proprio fino al 31 gennaio al suo Comitato ristretto per predisporre un testo unificato di riforma della legge elettorale. Ecco, dunque, che l’ultima finestra elettorale ipotizzabile, quella di marzo-aprile (perché a maggio ci sono le elezioni europee e da giugno a dicembre 2014 il semestre italiano di presidenza dell’Ue), è probabilmente chiusa.

A restare in trappola è soprattutto Renzi, che da neo segretario del Partito Democratico non potrà che appoggiare il Governo Letta, ormai a guida Pd, e rimandare le sue ambizioni, rischiando però il logoramento della sua leadership. Dunque, a chi è convenuto “fare melina” sulla legge elettorale in questi mesi, temporeggiare in Senato? È convenuto ai sostenitori del Governo Letta, ai proporzionalisti e neocentristi di ogni schieramento, e a quanti, nel Pd, sarebbero disposti anche a telefonare ai giudici della Consulta pur di sbarrare la strada a Renzi. A tutti costoro conveniva aspettare l’annunciata sponda della Consulta, che obiettivamente cambia l’inerzia politica della situazione a favore dei proporzionalisti e dei “diversamente bipolaristi”.

Non sono loro a dover “forzare” per tornare al proporzionale. Chiamatela come volete, “Napolitanellum” o “Porcellissimum”, ma le indicazioni sono chiare e non hanno fretta di definire i dettagli della nuova legge, possono muoversi anche a fine 2014, a ridosso della scadenza temporale del Governo Letta. Se invece si vuole accelerare, la via più semplice che proporranno sarà quella di recepire le indicazioni della Consulta, prevedendo cioè dei mini-premi, con soglie minime a scalare, e le preferenze: un sistema perfetto dal loro punto di vista. Che consentirebbe di presentarsi in due schieramenti nettamente distinti di fronte agli elettori, ma sufficientemente flessibile da permettere intese trasversali più o meno larghe dopo il voto, in caso di necessità di “stampelle”.

Una soluzione furba, quindi, che formalmente conferma il bipolarismo mentre di fatto lo liquida, rendendo molto più probabile la nascita di maggioranze post-elettorali, in Parlamento, piuttosto che direttamente dalle urne. E chiunque proporrà soluzioni diverse, verrà accusato di irresponsabilità e di non voler rispettare la sentenza. Dopo la controriforma sancita dalla Corte sta invece ai difensori del bipolarismo l’onere di raggiungere un’intesa forte per un nuovo sistema maggioritario. Intesa che appare difficile tra soggetti così disomogenei (Renzi, Berlusconi e Grillo) e considerando che a nessun segretario del Pd è mai riuscito di tenere il partito unito su un sistema elettorale.

Tratto da Notapolitica.it


di Federico Punzi