Rifugiati: la politica   che minimizza e basta

La prima benedizione natalizia di Papa Francesco, messaggio di pace rivolto a tutti i poveri e diseredati del mondo, è stato anche un momento di preghiera e di riflessione per tutti coloro che patiscono le pene di una guerra, così come le vittime di Lampedusa e la tratta degli uomini. Definito dal Santo Padre “un delitto contro l’umanità”. Parole che, come sempre, colpiscono nel profondo e ci riportano alle immagini shock del Cie di Lampedusa, ma anche al conflitto in Siria, alla Repubblica Centrafricana, al Sud Sudan, alla Nigeria, alla Repubblica Democratica del Congo, al Corno d’Africa, all’Iraq. Tutti posti dove i conflitti e le lotte intestine continuano a generare sofferenza e a causare centinaia di migliaia, se non milioni di sfollati (Siria) destinati quasi certamente alla clandestinità per poi accedere allo status di Rifugiato. “Dona speranza e conforto ai profughi e ai rifugiati”, ha invocato il Papa, chiedendo “accoglienza per i migranti” in cerca di dignità. Ancora una volta, dunque, Papa Francesco è tornato sulle problematiche dell’immigrazione e lo ha fatto in un’occasione particolare: il Natale.

Il problema dell’immigrazione va dunque assumendo una dimensione sempre più catastrofica e nel Cie di Ponte Galeria le proteste contro le condizioni abitative e la durata del soggiorno degli immigrati sono durate per più di una settimana. Di fronte alle immagini dei clandestini con le labbra cucite, trasmesse a più riprese dalle varie tv, il Premier Letta martedì scorso, a similitudine di quanto aveva già annunciato dopo la tragedia di Lampedusa, ha promesso di rivedere l’intera legislazione, incluso il reato di clandestinità della legge Bossi-Fini. A differenza di quanto detto da Papa Bergoglio nella sua preghiera, stupisce come le problematiche degli immigrati in Italia vengono trattate solo quando scoppia “il caso”, mentre a nessuno viene in mente di inquadrare il tutto in quel più ampio contesto che ne ha originato la “migrazione”. Il Mediterraneo, da sempre coacervo di civiltà e di culture, è dunque divenuto il fulcro operativo della tratta degli essere umani, in particolare dalla sponda sud verso l’Europa, con l’Italia che funge da testa di ponte. Certo, è solo un Paese di passaggio.

Visto che nella triste graduatoria degli immigrati extracomunitari, l’Italia figura solo al terzo posto, dopo Francia e Germania, ma quasi allo stesso livello di Inghilterra e Spagna. Ben diversa però è la situazione relativa all’accoglienza. “Fa’ che i migranti in cerca di una vita dignitosa trovino accoglienza e aiuto!”: è sempre la voce del Papa. Accoglienza e solidarietà dovrebbero essere un tutt’uno a livello internazionale. Per contro, la maggior parte dei clandestini/rifugiati sono di provenienza da Paesi musulmani. Paesi che, ben rappresentati nel complesso della Lega Araba, hanno trovato un riferimento di rilievo, sia dal punto di vista etico-politico che finanziario, in altre nazioni di maggiore interesse strategico: gli Stati del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita e il Qatar. Malgrado ben due milioni di “sfollati” dalla Siria queste nazioni sembrano non voler contribuire minimamente ad un minimo di assistenza per i propri fratelli musulmani. Ecco, quindi, che si manifesta la necessità di portare in ambito internazionale l’apertura al “dialogo” sui flussi migratori anche ai ricchi Paesi arabi mediorientali.

Se questo è il quadro mediorientale, molte perplessità nascono anche per il riconoscimento dello status di “Rifugiato”. Ancora oggi, infatti, tale status è riconosciuto da ogni singolo Paese attraverso la rigida applicazione di protocolli internazionali delle Nazioni Unite (Unhcr), che però differiscono notevolmente in relazione alla nazione di accoglienza, al Paese di origine del richiedente e alla natura della richiesta. Per fare un esempio, i siriani sfollati (2,5 milioni!) sono attualmente accolti in campi profughi in Giordania, Iraq, Libano ecc., dove godono dello status di rifugiato. Dal momento in cui, però, lasciano la nazione che gli ha rilasciato tale status, diventano clandestini. Sono quindi costretti a entrare nelle maglie della delinquenza organizzata alla ricerca di un passaggio della “morte” per l’Italia. Giunti in Italia, vengono sottoposti nuovamente alle procedure di riconoscimento dello status di rifugiato. Nel particolare, applicando procedure che dalla stessa Ue sono giudicate tra le più restrittive. Sempre che non sia nel frattempo scattato il reato di “clandestinità” e la quasi usuale “galera cautelare”! Sulle “maglie della delinquenza organizzata”, infine, si apre un’ultima doverosa considerazione.

Esiste comunque un punto di raccordo comune: i campi di raccolta profughi/sfollati nelle varie aree del mondo, di massima originati (senza alcuna colpa specifica a riguardo!) dall’Unhcr. Da tutto questo emergono dunque alcune considerazioni a riguardo. La necessità di portare in ambito Nazioni Unite la problematica di revisione delle procedure per l’assegnazione dello status di rifugiato valido a livello internazionale. L’apertura a un maggior “dialogo interculturale”, coinvolgendo in primis i ricchi paesi del Golfo, con la firma di accordi internazionali per un’integrazione degli sforzi per combattere e annientare i canali del traffico di uomini e della clandestinità ancor più in generale. Il cambio di approccio nei confronti dell’emigrazione, che dovrà essere trattata come un fenomeno strutturale di lunga durata, con una strategia complessiva di lungo periodo, orientata alla progressiva attenuazione dei “pusher factors” nei principali Paesi originatori di flussi migratori.

In sintesi, le azioni maggiormente significative si dovrebbero concentrare su: revisione in ambito Onu dello status di rifugiato e delle procedure per la sua assegnazione; chiarimenti legislativi a livello europeo sull’immigrazione clandestina, legge europea per trattamento uniforme nei Paesi membri, con la conseguente revisione della Bossi-Fini (abolizione del “reato” di clandestinità, sostituito da procedure amministrative: rimpatrio/espulsione/affidamento), possibilmente sotto l’egida di una Authority Europea. Programma europeo d’intervento nei Paesi di transito dei rifugiati in cooperazione con i governi dei Paesi islamici e Onlus internazionali (Croce Rossa, Mezzaluna Rossa – Anfe – Caritas – Save the Children, ecc.), gestite a livello nazionale dalla Protezione civile e non dal ministero degli Interni come avviene tutt’ora.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:48