Matteo Salvini è da pochi mesi alla guida della Lega Nord, quella del “2.0”. La nuova formula avrebbe dovuto rappresentare la volontà politica dei nuovi quadri di partito di fare piazza pulita dei comportamenti deviati dei dirigenti del passato. D’altro canto la Lega era conciata malissimo, e più di uno avrebbe scommesso sulla sua sparizione dalla scena politica nazionale, una volta affidata a un giovane di belle speranze ma di poca esperienza di vertice. Invece, la scarsa frequentazione, in passato, dell’iperuranio leghista si è rivelata l’arma vincente di Salvini. Egli ha potuto affrontare la base del suo partito, inferocita con i predecessori per i pochi risultati politici ottenuti e per i molti interessi personali coltivati, e dire loro: “Da oggi si ricomincia daccapo. Noi siamo un’altra cosa”.

Il primo passaggio politico di rilievo, il neo segretario lo ha compiuto confermando, da una parte, l’azione di contrasto alle politiche dell’accoglienza dei migranti clandestini volute dalla sinistra e spostando, dall’altra, il baricentro della contestazione, dall’ormai poco attendibile attacco a “Roma ladrona”, in direzione dello strapotere della burocrazia di Bruxelles.

L’approccio è stato quello della critica radicale all’Unione Europea e al suo strumento più pericoloso: l’Euro. La proposta leghista punta, in prevalenza, al ritorno alla sovranità monetaria dei singoli Stati. Nell’analisi di Salvini, che conosce meglio di altri i palazzi del potere continentale, essendo parlamentare a Strasburgo dal 2008, il nemico ha assunto dimensioni sovrannazionali. Coloro che da Roma animano il teatrino della politica avrebbero, nella realtà, minore voce in capitolo di quanto facciano credere. Salvini è convinto che la partita più importante si stia giocando fuori dei confini dell’Italia. I nuovi bersagli della polemica sono a Bruxelles, come a Berlino, nel Bundeskanzleramt dove è rintanata la cancelliera Angela Merkel e a Francoforte, nell’Eurotower della Bce. Nella visione dela nuova Lega si palesa il rischio di un’Unione Europea che si pieghi definitivamente alla volontà del capitalismo finanziario internazionale, e alla sua filosofia guida che è il mondialismo. Viene rilevato, nella conduzione “burocratica” della casa comune europea un tratto dirigista del tutto assimilabile a quello che vigeva nell’Unione Sovietica.

Per quanto possa apparire azzardato il parallelo, l’assimilazione tra i due sistemi sta nella tendenza di entrambi gli ordinamenti giuridici, quello comunitario attuale e quello sovietico cancellato dalla Storia, a stendere una rete normativa di controlli “polizieschi”, piuttosto che a disciplinare un sistema di civile coesistenza su una base di giustizia e di rispetto delle diversità. L’obiettivo sarebbe tutelare la volontà egemonica di un determinato regime contro eventuali pericoli che potrebbero scaturire dall’affermazione elettorale di forze politiche eterodosse rispetto agli equilibri di potere consolidati. I “poteri forti” che oggi sono quelli delle banche, dei grandi fondi d’investimento e degli speculatori internazionali, desiderano per l’Europa governance affidabili. E cosa altro sono le governance se non forze di governo che non necessitano di legittimazione popolare?

Il timore è che il cristallizzarsi di un siffatto sistema possa condurre, nel tempo, all’instaurazione di una nuova forma di dittatura. Sarebbe un potere impalpabile perchè non riconducibile a persone fisiche immediatamente individualbili. La sua sostanza sarebbe la medesima di un potere opaco, indistinguibile a occhio nudo, che si sviluppa, vive e prospera facendo affari negli interstizi della realtà virtuale. Un potere, dunque, che si veicola mediante la rete globale delle comunicazioni telematiche. La Lega propone, come antitodo contro l’infezione da contagio afferente da questa modalità aberrante di “globalizzazione”di stampo orwelliano, il ritorno alla politica identitaria. Sarebbe infatti il riconoscimento del fattore territoriale l’agente propulsivo della costruzione di una identità di secondo livello, d’ampiezza europea, coordinata e non contrastante con quella primaria delle patrie d’appartenenza.

Siamo in presenza di una svolta in direzione di un radicalismo di destra della Lega? Probabilmente sì, anche se la tesi prevalente nel movimento si fonda sul superamento dell’antinomia storica del binomio destra/sinistra. A questo proposito, sebbene meno propagandata rispetto alla decisione di allearsi alle europee con il Front National di Marine Le Pen, è molto indicativa la scelta di Salvini di prendere contatti con Alain de Benoist. Per quei lettori che non abbiano avuto opportunità di incrociare le sue opere, valga sapere che il filosofo francese, padre nobile della corrente culturale della “Nouvelle Droite”, è un estimatore e profondo conoscitore dell’opera di Julius Evola, fonte inesauribile d’ispirazione della destra radicale italiana ed europea.

Tuttavia, non vi è dubbio che l’intuizione del neo segretario di esplorare le radici di un pensiero fortemente identitario abbia una sua originalità. Egli propone al dibattico politico una nuova coppia assiologica alternativa, che potrebbe essere espressa così: mondialismo/identitarismo. Sarebbe una nuova specie rispetto a quelle conosciute e abusate. Tuttavia, il genus a cui essa appartiene è quello risalente alla coppia antinomica amico/nemico di schmittiana memoria. Per la Lega l’azione oppressiva delle forze votate alla mondializzazione dell’economia si realizzerebbe attraverso il controllo della moneta unica. Esso agirebbe, in particolare, sulle meccaniche del valore di cambio dell’ euro, consentendo al capitalismo finanziario di intervenire a determinare il collasso dei sistemi produttivi autoctoni.

Nell’orizzonte ideologico della nuova Lega non compaiono indizi di progetti mirati allo scontro di classe. Al contrario, si scorge nelle parole del suo leader la volontà di giungere a una “reductio ad unum” della dialettica tra le differenti categorie coattoriali del sistema produttivo (capitale, forza lavoro, profili intermedi e di supporto alla produzione), al fine di restituire egemonia a un soggetto unico, che sia espressione di sintesi di tutte le istanze sociali che in esso trovano ricomposizione: il popolo. Dalla declinazione dell’espressione concettuale di popolo con l’altra che è il territorio, si genera l’identità. Nella cultura della nuova Lega la persona del lavoratore si associa, e non si contrappone, a quella dell’imprenditore nella difesa del radicamento locale della produzione. Al più, il comune denominatore si ritrova nella lotta integrale del territorio, in tutte le sue istanze e componenti, alla globalizzazione e ai suoi frutti velenosi, quali ad esempio la delocalizzazione delle produzioni, l’annichilimento delle diversità o la tolleranza per le pratiche di saccheggio industriale, poste in atto dalle multinazionali straniere ai danni delle manifatture locali, in particolare dei prodotti e del know-how delle Pmi.

Salvini sta preparando la Lega a giocare un ruolo importante alle prossime elezioni europee. Intende recuperare terreno rispetto al passato e soprattutto vuol dare respiro politico al suo “populismo” che non ha alcuna relazione con il “cesarismo” del Movimento 5 Stelle, diretto competitor sul piano del marketing elettorale con la Lega 2.0. Il fatto che Grillo ripeta molti degli argomenti storici del “Carroccio” non lo pone nello stesso orizzonte politico leghista. Lui è un cane sciolto che si nutre dello scontento popolare al quale, però, non sa offrire prospettive.

La Lega aveva maturato, in passato, un bel problema d’incomprensione con il territorio della “Serenissima”. Tuttavia il nuovo segretario ha saputo trovare le chiavi comunicative giuste per ristabilire la sintonia. Salvini ha compiuto un atto di generosità politica nell’appoggiare senza condizioni il proposito dei veneti di indire un referendum sulla volontà o meno di richiedere l’indipendenza dallo Stato centrale. Nel prossimo futuro della nuova Lega vi è certamente il nodo irrisolto del rapporto con il partner Forza Italia. La Lega di Bossi, con tutti i limiti e le contraddizioni possibili, non ha mancato di sostenere le ragioni, magari solo utilitaristiche, dell’alleanza con il partito di Berlusconi. Ci si domanda: Salvini farà altrettanto? O nel suo orizzonte è segnato qualcosa di diverso? È di tutta evidenza che molto dipenderà dagli esiti delle prossime elezioni europee. A prescindere da quelli che potranno essere i risultati delle singole formazioni, si è abbastanza certi che dopo il 25 maggio prossimo nulla sarà più come prima. Vorrà dire allora che di Salvini e di Lega torneremo a parlare (fine ultima parte).

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:21