Matteo Renzi nel<br/>mezzo del cammin…

Come vedo Matteo Renzi dalla finestra della mia “camera con vista sull’Italia e sul mondo? Sostanzialmente mezzo nudo. Fin dall’inizio del suo ingresso nel firmamento dei Presidenti del Consiglio a tempo, mi sono chiesto che cosa ci fosse dietro quel repentino defenestramento di Enrico Letta e la sua sostituzione in corsa con il “rottamatore”. Il tutto, malgrado i giuramenti solenni, è avvenuto senza passare per il “via” di elezioni politiche anticipate che, dopo la decisione della Corte Costituzionale, si sarebbero dovute tenere con le vecchie regole del proporzionale puro con soglia di sbarramento e indicazione della preferenza. La risposta che mi sono sentito di dare è molto semplice: le lobby socio-economiche, che hanno permesso a Renzi di fare il grande salto dal Palazzo della Signoria a Palazzo Chigi, costituiscono un conglomerato trasversale che sta per portare a casa almeno due risultati della massima importanza.

Il primo è costituito dalla recente tornata di nomine negli enti pubblici e nelle grandi Spa (Eni, Enel, Finmeccanica) a partecipazione pubblica, che cristallizzeranno per anni i macro assetti di potere, politici ed economici, a tutto vantaggio dei veri sponsor di Renzi. Il secondo, invece, fa riferimento al semestre europeo di presidenza italiana (il prossimo ci sarà all’incirca tra 14 anni!), in cui gli interessi dell’Italia potranno avere un ruolo di primo piano nella trattativa con la Germania e Bruxelles, per attenuare il rigorismo dell’Unione sui parametri della spesa pubblica, in modo da rilanciare investimenti e occupazione. Il terzo, ma non ultimo motivo, è rappresentato dalla possibilità storica che si offre ai poteri economici italiani di assestare un colpo mortale alle pratiche concertative con le parti sociali, attraverso la nuova politica economica di Renzi e la sua riforma del lavoro, orientata a introdurre la maggiore flessibilità possibile nei contratti privatistici.

Infatti, mentre le grandi riforme di sistema - nuova legge elettorale, riforma del Titolo V, abolizione del bicameralismo, ecc. - possono benissimo rimanere in uno stato latente di gestazione fino alla scadenza naturale della legislatura, nel 2018 (dato che, prevedibilmente, la maggioranza dei parlamentari del Partito Democratico, eletti nelle liste uniche di Bersani, farà di tutto per impedire che si realizzino riforme gradite al centrodestra berlusconiano), quella del lavoro rappresenta una sorta di “crash-test” per superare molte delle odierne diffidenze di Bruxelles. A fine maggio, tra l’altro, Renzi deve portare a casa un successo netto alle prossime elezioni europee, mandando a Strasburgo quanti più fedelissimi possibile, in modo da eliminare alla radice le attuali resistenze interne e convincendo i reticenti a salire sul carro del vincitore (il suo!).

Certamente, quel porre la Spada di Brenno sulla riforma del bicameralismo (davvero pasticciato, fino a questo momento), per cui “o si fa così, o tutti a casa!”, otterrà il risultato voluto dell’approvazione della riforma a maggioranza non qualificata. Dopo di che occorre dare per scontata la susseguente bocciatura, da parte dell’elettorato, a seguito della celebrazione (scontata!) del referendum approvativo della legge costituzionale di riforma del Senato, votata dal Parlamento. In tal modo, la politica sarà costretta a tornare al punto di partenza, come sta facendo da decenni senza esito. Se la sinistra è destinata, a partire da giugno, ad avere seri problemi di coesione interna, sull’altro versante le contabilità, a consuntivo, del post-elezioni europee potrebbero riservare amarissime sorprese sia per Forza Italia che per le neo-formazioni centriste, la cui rappresentanza parlamentare appare sopravvalutata sotto ogni punto di vista.

In particolare, partiti favorevoli all’Europa e alla moneta unica, come il Nuovo Centrodestra, Scelta Civica, Udc e Popolari per l’Europa, potrebbero perdere notevolmente terreno, a favore dell’astensionismo e, soprattutto, del voto di protesta. Eppure, la vittoria di Grillo, Lega e Fratelli d’Italia, notoriamente movimenti anti-Unione e anti-euro, non avrebbe nessun risultato pratico dal punto di vista della rimessa in discussione dei Trattati o del ridimensionamento dell’euro-burocrazia. Infatti, i “poteri forti” dell’economia e della finanza mondiali, hanno fin da ora garantita, a Strasburgo, una solida maggioranza parlamentare moderata che non darà spazio (se non in modo molto marginale) alle rivendicazioni dei radicali. Tra l’altro nel medio periodo è assolutamente impensabile un trasferimento dei poteri decisionali dal Consiglio Europeo dei capi di Stato e di Governo e dalla Commissione Europea, a favore dell’Assemblea di Strasburgo. Solo le prossime elezioni politiche francesi potrebbero provocare il terremoto dell’abbandono della moneta unica.

Infatti, se vincesse la Marine Le Pen, l’unica via d’uscita “praticabile” è l’abbandono contemporaneo dell’Euro da parte di tutti i Paesi firmatari, con la susseguente ricostruzione di uno Sme rafforzato, caratterizzato da una stretta banda di oscillazione tra le rinate monete nazionali, e dalla parametrazione della massa monetaria globale su quella dell’area dollaro, in modo da costituire di fatto le premesse per la costruzione futura di una moneta unica planetaria. Nell’immediato vedrei molto più a rischio il cambiamento di rotta della politica internazionale, con una reazione a catena che misceli crisi ucraina a quella energetica, tra Russia e Occidente. Escludendo, però, lo scenario di uno scontro armato tra i due blocchi, che significherebbe il crollo economico per entrambi! La globalizzazione non scherza! Serviranno gli 80 euro di Renzi per la conquista dell’Europa?

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:37