Nomine di Stato, i soliti metodi

Siamo alla farsa: quotidianamente sui giornali assistiamo ad uno spreco di paroloni per descrivere dei fatti che nella realtà non sono epici, ma addirittura sono ben lontani da ciò che viene descritto da certi menestrelli della carta stampata. Prendete ad esempio il termine “blindare”: quante volte abbiamo letto che Napolitano blindava Letta, Monti blindava i conti pubblici, Renzi blindava le riforme… nella realtà, al massimo, qualcuno brindava (più che blindare) alla salute di chi credeva a certe frescacce atte a celare con le belle parole una verità molto più povera di come la si descrive. Oggi invece il termine in voga è “rivoluzione”, accostato al nome del Presidente del Consiglio.

Premesso che di rivoluzioni all’orizzonte non ne vedo in nessun campo, fanno sorridere certi titoloni che cianciano di rivoluzioni nelle nomine dei Cda delle aziende pubbliche. Ma quale rivoluzione? Rivoluzionare i criteri di nomina nei carrozzoni pubblici significa scegliere finalmente i candidati sul mercato, mentre invece queste sono vere e proprie nomine politiche fatte come da Manuale Cencelli e, pensate, tenendo conto di una serie di variabili tra cui spicca il benestare dei blocchi di potere che contano nel Paese.

È uno scandalo? No, per carità è solo una nomina politica ma non scomodiamo il termine rivoluzione perché altrimenti facciamo ridere i polli, i quali già sghignazzano dopo aver saputo che dei quattordici nomi proposti dai cacciatori di teste per Eni, Enel e Finmeccanica, ne sarebbe stato preso in considerazione solo uno perché le altre cadreghe erano tutte occupate con variabili ultronee rispetto al curriculum. Gli altri componenti dei Consigli d’Amministrazione hanno una casacca politica ben riconoscibile, visto che alcuni sono in quota Casini, altri in quota Alfano, molti provengono da quelle fondazioni di stretta osservanza renziana e qualcuno potrebbe (!) essere stato sussurrato dalla tessera numero uno del Pd, alias De Benedetti. Non è stato trascurato veramente nessuno: sicuramente non il sindacato, che vedeva di buon occhio la riconferma di quel Moretti che tanto ha frignato per il tetto agli stipendi dei boiardi di Stato, né tantomeno il capo dello Stato, cui Gianni De Gennaro è molto gradito ma anche quella Confindustria cui sicuramente la Todini e la Marcegaglia non devono certo essere indifferenti.

Altra rivoluzione consisterebbe nell’aver indicato tre donne nei posti di comando. Anche su questo ho l’impressione che si stia confondendo uno sciacquone con uno tsunami: trattasi di operazione estetica, puramente di facciata visto che alle signore di cui sopra sono state riservate le presidenze degli enti in questione e non certo gli incarichi di Ad e cioè coloro che assumono le vere decisioni. Inoltre, non è che siano state pescate dal mercato facce nuove, donne emergenti, ma sempre le solite donne inserite nel solito circuito che conta. Che differenza c’è tra un plurinominato uomo ed una plurinominata donna? Uno sponsorizzato è uno sponsorizzato indipendentemente dalla gonnellina che il nominante vuole ostentare come fosse un’icona sacra alla processione. Poi uno sponsorizzato può essere anche bravo per carità ma non raccontiamola più, per cortesia, la favoletta dei manager emergenti, del ricambio generazionale e della meritocrazia perché poi i criteri di nomina sono sempre gli stessi che tu sia uomo, donna, vecchio o giovane.

Non lamentiamoci poi se quelli bravi, veramente bravi e senza santi in paradiso, scelgono l’estero o le aziende private: preferiscono ambienti dove si può crescere, dove la sponsorship è solo una roba per far crescere l’azienda e non una raccomandazione, dove l’ambiente è stimolante e professionalizzato (perché altrimenti muori e non arriva un finanziamento dello Stato a salvarti), dove gli uffici sono correttamente dimensionati nel numero e nelle competenze e non un ammortizzatore sociale buono per le clientele di basso livello, dove la burocrazia si combatte e non si favorisce, dove si bada alla sostanza e non alla forma, dove i budget si usano con la testa e non con i piedi.

È tutto così il pubblico? Non solo ma anche. Ragion per cui quelli che sanno e vogliono fare cercano di sottrarsi se possono (vedi l’Ad di Vodafone). E non è, quindi, solo una questione di stipendi bassi quella che tiene lontani i manager emergenti dai carrozzoni a partecipazione statale. Qualcuno lo dica a Moretti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:19