Carceri, le revisioni   che scontentano

Alla Camera dei Deputati il 24 luglio è stato approvato l'atto n. 2469 recante "Conversione in legge del decreto legge 26 giugno 2014 n. 92, recante disposizioni urgenti in materia di rimedi risarcitori in favore dei detenuti e degli internati che hanno subito un trattamento in violazione dell'articolo 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nonché di modifiche al codice di procedura penale e alle disposizioni di attuazione, all'ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria e all'ordinamento penitenziario, anche minorile". Finché esisterà il Bicameralismo “perfetto” il testo passerà, non si sa quando, comunque all’esame del Senato.

Tra le varie misure commentate in un precedente articolo del 25 luglio su L’Opinione, il decreto, oltre agli indennizzi destinati ai detenuti sottoposti a trattamento inumano e degradante, prevede un irrisorio aumento di unità nell’organico della Polizia penitenziaria (circa 200 agenti) e, a fronte di una manifesta esigenza di personale graduato, il decreto riduce il numero di ispettori. Nella logica, si fa per dire, della spending review e alla faccia dell’aumentata domanda di sicurezza da parte della cittadinanza, il provvedimento preferisce tagliare drasticamente il personale penitenziario, dai dirigenti penitenziari, agli operatori destinati al trattamento (educatori, assistenti sociali e personale amministrativo di supporto). In nome della cosiddetta revisione di spesa, ma in barba ai tanto sbandierati principi di rieducazione e di reinserimento sociale, in una delicatissima situazione che vede il Paese sotto osservazione da parte dell’Europa, in vista della prossima verifica fissata per il giugno dell’anno prossimo per accertare l’adeguatezza dei provvedimenti adottati dal Governo, il decreto pretende di auto assolvere lo Stato e il mal funzionamento della giustizia con la promessa di risarcimenti da erogare, ovviamente con i soldi dei cittadini, a coloro che da detenuti abbiano subito trattamenti inumani e degradanti.

Ben più grave, a fronte di tutto ciò il provvedimento in questione decide di sopprimere ben cinque Provveditorati Regionali dell'Amministrazione Penitenziaria che, in quanto organi di coordinamento, indirizzo e controllo degli istituti penitenziari e degli uffici di esecuzione penale esterna, svolgono la fondamentale funzione di raccordo tra il DAP (il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria) e il territorio. Tra le scelte più aggiornate e a riprova dell’attenta sensibilità politica circa le diverse realtà territoriali, indovinate su quale provveditorato in particolare cade la mannaia del risparmio? Ovviamente quello della Calabria, regione dove non sussistono problemi con la criminalità organizzata, territorio che da anni ha sconfitto con successo l‘ndrangheta, ove la presenza delle istituzioni è forte e rassicurante per i cittadini. La saggia soppressione è stata decisa per accorpare il provveditorato calabrese con quello della Basilicata e della Puglia. Regioni, queste, prive anche loro di rilevanti problemi delittuosi. Evidentemente in base ai più aggiornati dati del ministero, il Governo, ormai consapevole della massiccia esportazione delle cosche mafiose dell‘ndrangheta e della sacra corona unita al nord, ha reputato il meridione essere finalmente libero dai noti problemi delle organizzazioni criminali.

Fuori dall’amaro sarcasmo, registriamo che anche il Si.Di.Pe. (il sindacato dei direttori dei penitenziari) ha duramente denunciato la decisione definendola senza mezzi termini di una “gravità inaudita perché verrebbe meno un importante presidio dello Stato in una regione già afflitta da profonde piaghe e, prima tra tutte, quella della criminalità organizzata. È notorio, infatti, che la ‘ndrangheta è la più potente organizzazione criminale di stampo mafioso e che, purtroppo, la Calabria è ancora la terra dove in alcuni paesi ancora le processioni religiose si fermano per fare omaggio con le sacre effigi davanti alla porta di casa degli ‘ndranghetisti. La soppressione del Provveditorato danneggerebbe gravemente la Calabria ed i calabresi, contribuendo al declino della regione e aumentando il senso di solitudine e di abbandono da parte dello Stato che già affligge i cittadini onesti, che sono poi la maggior parte”. Insomma lo stato della salute della giustizia nel nostro Paese è in perfetta forma, tanto da poter compiere scelte di siffatto tipo. Le decisioni governative e le misure adottate che si susseguono danno fiducia sullo stato dell’amministrazione del servizio-giustizia. Quel servizio efficiente e puntuale, sarà bene ricordarlo, che viene pagato con i soldi dei cittadini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:05