Marò: dall’India   altro schiaffo all’Italia

La notizia del giorno è una non-notizia. L’udienza del processo che si sta svolgendo a New Delhi a carico dei fucilieri della Marina italiana, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, che avrebbe dovuto tenersi il 31 luglio, è nuovamente slittata. La prossima volta che si andrà in aula sarà il prossimo 14 ottobre. La causa della sospensione sarebbe dovuta all’assenza, per indisposizione, di uno dei magistrati del Collegio giudicante. Sarebbe un caso, tra i tanti, di giustizia al rallentatore se non fosse per il fatto che i nostri due marò continuano a essere trattenuti dalle autorità indiane contro la loro volontà, e la nostra, ma anche contro giustizia e buon senso.

Non è stato ancora formalizzato alcun capo d’accusa contro di loro. Si presume che gli inquirenti vogliano attribuirgli la responsabilità della morte di due sedicenti pescatori, avvenuta in acque internazionali prospicienti alle coste indiane del Kerala il 15 febbraio 2012. Latorre e Girone, come nel più classico degli scenari di una giustizia malata, stanno scontando preventivamente una pena per espiare un ipotetico reato di cui non si conosce la natura e neanche l’ampiezza. In questo bisogna dire che la giustizia indiana somiglia molto a quella italiana.

Tuttavia, una tale affinità afflittiva per le persone non ci consola. Non può essere evocata ad attenuante del comportamento provocatorio della Repubblica dell’India contro l’Italia, che se non amica almeno non dovrebbe essere considerata ostile. Neppure ci conforta il comportamento del governo Renzi, nel suo insieme, che, sulla vicenda, pare abbia una gran voglia di mettere la sordina perché non faccia troppo rumore. Pensa forse il nostro spumeggiante primo ministro di cavarsela pagando parcelle milionarie a studi legali di fama per farsi scrivere un ricorso che stia in piedi dal punto di vista delle norme del diritto internazionale? Come se poi agli indiani fregasse qualcosa del diritto internazionale. Nelle questioni di geopolitica la legge resta quella della giungla, il più forte comanda e il più debole subisce. Quindi, nei rapporti tra India e Italia bisognava accertare chi fosse il più forte. Ma da Monti a Renzi, passando per Letta, si può dire che non ci sia stata partita.

L’Italia ha rimediato la figura del perdente che può farsi prendere a pedate pure dall’India senza che si batta ciglio. I tanti anni di partecipazione, quali principali contributori, agli organismi internazionali non sono serviti a nulla. Il grande “amico” dell’Italia, Barack Obama, che ci sta trascinando per i capelli in uno scontro frontale con la Russia, non si è degnato non diciamo di una minaccia contro l’India, ma anche solo di un accenno ai nostri militari ingiustamente trattenuti. Cosa ha fatto l’Unione europea per noi, oltre che bacchettarci continuamente sul nulla? Niente! Gli indiani, per parte loro, stanno interpretando la partita al meglio. Anche questo ulteriore rinvio lo prova.

Le autorità di Nuova Delhi sanno bene che un conto è ignorare l’Italia come singolo Stato, altro invece è farlo quando il governo italiano temporaneamente presiede organizzazioni di dimensioni sovraordinate a quelle dei singoli Stati. Ora, gli indiani sanno che questo è il semestre di turno di presidenza italiana dell’ Unione europea. Fare uno sgarbo adesso agli italiani sarebbe come farlo a tutti gli europei. Allora che si fa? Si saranno chiesti i dirigenti indiani. Si fa come ai tempi della scuola quando si era impreparati per le interrogazioni. Si fa filone, si marina la scuola. E’ così che hanno fatto i giudici della Suprema Corte indiana. Hanno marinato l’udienza differendola all’autunno. Vedrete che anche in ottobre si troverà un altro escamotage per scavallare la fine dell’anno e, con essa, il semestre di presidenza italiana. Bella roba! Non c’è che dire. E noi? Facciamo come le stelle in un romanzo di A.J. Cronin. Stiamo a guardare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:21