Alitalia non fallisce e paga tutto Poste

sabato 2 agosto 2014


“L’Alitalia non deve e non può fallire”, “la burocrazia è il nerbo etico e morale del Paese, e non c’è Stato che funzioni senza una robusta burocrazia”.

Il popolo italiano continuerebbe a vivere (e anche meglio) senza udire quotidianamente queste minchiate su Omnibus, come nei vari dibattiti televisivi dove Linda Lanzillotta e compari dimostrano di non nutrire alcuna considerazione per disoccupati, precari e indigenti. Anzi, si ha la netta sensazione che vogliano scongiurare il default perché non vengano toccati i privilegi di amici e parenti, ovvero l’alta burocrazia di Stato.

Il fallimento dell’Italia sarebbe un bene per l’80 per cento degli italiani, a patto che si trovi a governare il Paese una classe politica suffragata dal popolo. In grado di dire alla Troika: “Non pago e brucio tutti i crediti che vantate: l’Italia ha imparato dall’Argentina”.

Che della perdita del lavoro importi poco a questa gente lo dimostra il fatto che ci strafalciano gli zebedei con lacrimucce varie per gli esuberi di Alitalia, ma evitano saggiamente di parlare dei lavoratori della Coca Cola italiana prossimi a finire per strada, o delle oltre tremila aziende che entro settembre metteranno per strada altri 500mila dipendenti.

Nessun politico ha pensato bene di protestare contro i tagli previsti in Italia dalla multinazionale americana: licenziamenti miranti a dare due centesimi in più agli azionisti Usa. Così, per miseri due centesimi più di 300 persone finiscono per strada nella sola Modena. Intanto Coca Cola ed altre multinazionali stanno alacremente lavorando ad una “procedura di licenziamento collettivo” dei propri dipendenti. Esuberi? No, semplicemente la volontà di spostare le produzioni in Paesi più facili dell’ormai legnoso Stivale. E gli incentivi e i piani di mobilità? Per i poveri lavoratori dell’industria non c’è nemmeno l’ombra di questi provvedimenti lenitivi. Mentre si sprecano le manifestazioni di solidarietà per i dipendenti Alitalia.

Intanto, e dopo mesi di attesa, è arrivato l’assenso di Etihad, il che dovrebbe dare l’avvio ad una nuova stagione per l’ex-compagnia di bandiera. Ma il pregresso non si cancella certo in un giorno. Alitalia è costata 5 miliardi di euro ai contribuenti italiani, e nelle ipotesi dell’attuale Governo era pure spuntata la manovrina per coinvolgere i risparmiatori italiani nella nuova avventura della compagnia di bandiera. Poi c’è il sempre più forte coinvolgimento della società Poste (ovvero una banca statale che custodisce i risparmi dell’uomo della strada). Poste ha già impegnato 75 milioni nello scorso dicembre, e oggi farà uscire dalle proprie casse altri 65 milioni: tutti soldi che servono per appianare le perdite della vecchia Alitalia. Ma come funziona il giochetto? La vecchia società morirà senza restituire il becco di un quattrino a Poste, mentre la nuova Alitalia verrà ceduta senza debiti agli Emirati? La nuova società verrà di fatto blindata, per scongiurare azioni di responsabilità e chiamate in correità nelle vecchie gestioni. Per molti addetti ai lavori le perdite peseranno tutte sulle Poste, che raccolgono i risparmi dei cittadini italiani meno influenti, gente a basso reddito e anziani.

Ovviamente il commento dei salotti buoni sarà del tipo “che paghi la povera gente, ne abbiamo le tasche piene delle ragioni di poveracci, operai e disgraziati vari”. Alchimie societarie utili a parare il sedere anche degli esuberi, ovvero dei parenti poveri di chi ha mal gestito? Così per un migliaio di dipendenti Alitalia in mobilità è stato firmato l’inedito contratto di ricollocamento: un assegno di mobilità pari all’80 per cento dello stipendio per quattro anni e l’obbligo di frequentare un corso di formazione regionale. Somme postate nelle manovre di Renzi, quindi a spese dei contribuenti italiani. Ed i debiti pregressi verso Inps e previdenze varie? A quanto pare lo Stato s’è già impegnato (e in gran segreto) a coprire il miliardario contenzioso previdenziale di Alitalia, formatosi per colpa dei “capitani coraggiosi” che guasconescamente avevano ordinato di mandare in vacca Inps ed Inail.

Così il miliardo di euro del fantomatico “fondo per il trasporto aereo” (costituito dalla tassa da 3 euro a biglietto introdotta dal Governo Letta) viene utilizzato per ripianare l’enorme buco fatto dai “capitani”. Anche i risparmiatori postali ripianeranno (a loro insaputa) i vecchi debiti di Alitalia. Mettendo in fila tutte queste somme si superano i cinque miliardi di euro. Secondo alcuni il fallimento di Alitalia avrebbe risolto tanti problemi. Ma oggi tutti festeggiano l’arrivo degli Emirati. Fino a ieri qualcuno sognava un serio presidente del Consiglio che avrebbe personalmente contribuito a portare (e con le proprie gambe) i libri in tribunale.

Forse Poste avrebbe potuto benissimo rilevare Alitalia ad un prezzo bassissimo da una procedura fallimentare, e dopo cederne parte ad Emirati come altri soci. Il sistema ha voluto salvare i dipendenti di Alitalia, con loro anche le terga dei cattivi amministratori. Ma la logica di evitare fallimenti e default vari non può continuare all’infinito.


di Ruggiero Capone