La sanità: giungla   di pazienti e medici

Molti affermano che le politiche liberiste in Italia hanno fallito. Noi crediamo che non sia così perché, soprattutto in ambito sanitario, nel nostro Paese non abbiamo mai assistito al dispiegarsi di politiche realmente liberiste che lasciassero spazio al mercato.

Se si fosse distinto il servizio pubblico (che deve essere universale e alla portata di tutti) dall’erogatore del servizio (che può essere pubblico o privato a seconda dei casi), probabilmente in Italia si sarebbe offerto un prodotto capace di coniugare la qualità, l’universalità e il contenimento della spesa. Il prodotto della politica dirigista invece, ancorché ipocritamente pubblico, si è dimostrato scarso, sprecone e falsamente universale.

La prova di quanto detto è costituita dalle falle miliardarie nei bilanci regionali e soprattutto dall’ennesimo Patto per la salute siglato recentemente tra Governo ed Enti locali che prevede trasferimenti statali per 337 miliardi in tre anni, da sommarsi ai 512 miliardi erogati fino al 2012, i quali non sono bastati a non gettare i bilanci di molte Regioni in profondo rosso.

Le anime belle della politica statalista hanno provato anche a simulare l’introduzione dei costi standard che però, secondo “Il Sole 24 Ore”, andranno a regime forse solo nel 2066 mentre nel frattempo si è preferito chiudere ospedali, cancellare posti letto e scaricare le diseconomie sui cittadini (aumento dei ticket e diminuzione delle esenzioni fin quasi a rendere conveniente il ricorso al privato) invece di razionalizzare la spesa combattendo gli sprechi (gli accertamenti inutili, ad esempio, costano alla Pubblica amministrazione circa tredici miliardi all’anno).

Quando si parla di sanità però, generalmente la si associa ai (dis)servizi che essa offre al cittadino, non ponderando quasi mai quanto questa gestione dirigista, sovietica e ideologica arrechi disagio agli operatori del settore (i medici) i quali si trovano a dover combattere quotidianamente con la politica e con i suoi capricci per poter sopravvivere. Già, perché per molti di loro ormai è diventata una battaglia di sopravvivenza mentre noi cittadini (e il fisco) siamo ancora lì a menar il can per l’aia considerandoli una categoria di ricchi privilegiati. Ma ci siamo mai soffermati ad analizzare la sanità vista dal loro punto di vista? Credo proprio di no.

Trascurando quanto sia proibitivo superare il concorso a numero chiuso per poter accedere alla facoltà di medicina (gli scandali sui concorsi truccati fanno parte della cronaca e non ce li siamo inventati noi), dopo dieci anni di studi e qualche altro anno passato a servizio dal barone per colmare il gap pratico derivante da un sistema universitario baronale e teorico, arriva il momento di mettersi sul mercato.

Peccato che, nel mentre il giovane medico è intento a limitare le spese tra affitti, macchinari, bollette e formazione di un bacino di pazienti, lo Stato, lungi dall’aiutarlo (e perché dovrebbe), lo tartassa di burocrazia, di controlli, di autorizzazioni da richiedere, di studi di settore, di tasse (beh certo, il medico è ricco) e di obblighi tipo i corsi di aggiornamento a volte banali ma a pagamento (per la gioia di qualche provider).

Se poi appartieni a determinate categorie sanitarie, ecco piombarti sul capo incombenze che spesso rispondono al nome di “autorizzazione regionale all’esercizio della professione medica”: in pratica ti chiedono di adempiere ad una serie di pratiche, presentare una serie infinita di documenti ed effettuare un certo numero di adeguamenti. Se non obbedisci non eserciti.

Invaso dalle carte, generalmente il giovane medico decide di affidarsi (pagare) ad una società di consulenza che inserisce per suo conto su farraginosi applicativi online una serie di certificati che potrebbero tranquillamente essere oggetto di richieste tra le varie amministrazioni (planimetrie, certificati catastali, agibilità). In sostanza, cara Regione, ti servono davvero i miei certificati? Chiedili tu al Comune senza rompere l’anima a me minacciandomi di ritorsioni. No, troppo facile, troppo liberale. La risposta agli interrogativi arriva poco dopo.

Analizzando nel dettaglio le richieste della Regione, lo sventurato si accorge ben presto che la famosa autorizzazione regionale di cui sopra, presuppone che tu debba esibire alla Regione una serie di terribili banalità: documenti inutili (a che serve alla Regione il certificato di affitto o di possesso dello studio nel quale esercito?), documenti tipo il certificato antimafia (cosa importa alla Regione della mia posizione antimafia?) o il regolamento interno dello studio (come se gli studi monoprofessionali avessero un regolamento interno) e, udite udite, un piano di evacuazione redatto da un tecnico specializzato (in uno studio di 80 metri quadrati con una sola entrata da dove cacchio pensate che si esca in caso di pericolo?).

E intanto il tempo che il medico dovrebbe impiegare a tirar su la propria attività, viene letteralmente buttato a rispondere a richieste di adeguamenti (obbligo di bagno, antibagno, ambienti separati per la sterilizzazione, ambienti separati per i medicinali) come se in uno studio grande quanto i fatidici sopraccitati 80 metri quadrati ci fosse spazio per accontentare i capricci dei burocrati.

Adesso (e questa è la notizia), in assenza di ulteriore proroga, è entrata anche in vigore l’assicurazione professionale obbligatoria per i medici esercenti libera professione che obbliga i malcapitati a dotarsi di assicurazione che li copra per responsabilità civile sanitaria, pena una sanzione disciplinare.

Tradotto in soldoni, 200mila medici dovranno contattare un’assicurazione (le compagnie avranno già fatto cartello) e farsi assicurare a proprie spese con esborsi che vanno da 500 euro a 20mila euro di polizza (nel caso dei ginecologi).Tale mazzata non costituisce certo una facilitazione per coloro (soprattutto i giovani) che in tempo di crisi o a inizio carriera faticano a stare nelle spese.

L’ennesimo provvedimento dirigista avrà solo effetti negativi e finirà per scaricarsi sugli utenti finali (che vedranno acuire il sospetto che il dottore sia un ricco ladro dedito ad alzare i prezzi) oltre che sui medici stessi, i quali vedranno aumentare la già alta aggressività dei pazienti “causisti” incoraggiati da questo provvedimento (che chiaramente non sono le vere vittime di mala sanità ma semplicemente coloro che ci marciano quasi per professione), supportati per giunta da vere e proprie organizzazioni di tutoring che si occupano di risarcimenti per pazienti vittime di errore medico.

Questa è la sanità in Italia, una giungla che soffre di troppe malattie di origine ideologica. Non pensiate quindi che la sola vita del paziente sia difficile perché quella del medico non è certo rose e fiori. Gli abusivi ringraziano.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:15