A chi risponde  la Commissione Ue?

Matteo Renzi continua a dire che convincerà i nostri partner comunitari a cambiare strada. A sentire il nostro premier, insieme al rigore nella tenuta dei conti pubblici, sarebbe necessario praticare una politica di investimenti di respiro continentale per dare impulso al sistema produttivo. Bisognerebbe spendere per poter guadagnare. Stringere solo la cinghia, alla lunga, ammazza le imprese e soffoca le famiglie.

Tutto giusto! Allora, se il nostro giovane primo ministro aveva idee tanto chiare perché diamine non si è fatto in quattro per spuntare la nomina, nella costituenda commissione europea, di un commissario italiano in grado di sostenere la linea d’indirizzo economico del governo italiano? Signor Renzi ce lo spiegherebbe, cortesemente? Invece lui, a proposito della nomina della Mogherini ad Alto Rappresentante della politica estera – che non c’è - dell’Unione, parla di grande vittoria e di successo mai visto prima. Ma di che va cianciando? L’ha studiata la storia? Era, forse, una “vittoria di Pirro” a cui pensava quando ha finto di fare il bullo con gli altri leader, per far passare la candidatura della sua inesperta ministra degli esteri? La composizione della nuova Commissione è un capolavoro della politica egemonica della Germania. Il pacchetto di mischia che riunisce le deleghe che contano, cioè quelle che incidono sul controllo finanziario e di bilancio dei Paesi membri della Ue, è saldamente nella mani della cancelleria di Berlino.

La signora Merkel non si è dovuta sporcare le mani per piazzare suoi connazionali nei posti chiave. Non era necessario. Praticando la tattica del “leading from behind”, la lady, forgiata col ferro anseatico, si è premurata di piazzare ai vertici i suoi più affidabili alleati e sostenitori. A cominciare dal capo della Commissione il lussemburghese Jean Claude Juncker il quale ha fama di essere un “duro”. Nel Gran Ducato, da cui proviene, si è “guadagnato” un coinvolgimento in un’inchiesta giudiziaria su una schedatura di massa dei suoi concittadini, operata dai servizi di intelligence a fini spionistici e ricattatori. Un bel biglietto da visita per la guida dell’Europa. Non c’è che dire. Accanto a lui, come braccio destro, è stato nominato l’olandese Frans Timmermans.

Non sarà un vicepresidente qualsiasi ma coprirà un ruolo vicariale che è una novità nell’architettura istituzionale della Commissione. Forse per l’Italia la sua nomina potrebbe essere una mezza buona notizia. Timmermans è cresciuto e ha studiato a Roma, tanto che ama definirsi “romano di fede romanista”. Speriamo che, al momento debito, se ne ricordi. Tuttavia, il vero colpo che la signora Merkel ha piazzato reca il nome del finlandese Jyrki Katainen nel ruolo di supervisore delle politiche dei portafogli economici. Katainen è considerato un “falco” del rigore nella tenuta dei vincoli di bilancio dei singoli Stati. Avrà poteri di interdizione nei confronti degli altri commissari sui quali eserciterà una sorta di supervisione. In particolare, c’è da scommettere che starà addosso al neo commissario francese agli affari economici, Pierre Moscovici.

Costui è un socialista e nel suo Paese è stato ministro delle finanze. La signora Merkel non ha gradito la sua candidatura, temendo che il francese, durante le frequentazioni degli annoiati salotti di Bruxelles, potesse farsi prendere da qualche nostalgia keynesiana. Tuttavia, la signora non avrebbe potuto fare uno sgarbo al suo fedele alleato Hollande, il “piccolo Petain”, rispedendo al mittente la candidatura di un amico e sodale di partito. Quindi, soluzione salomonica. Moscovici va all’economia ma sotto il controllo dell’arcigno Katainen che, di sicuro, lo marcherà a vista. A completare la sua guardia pretoriana, la signora Merkel ha chiamato Valdis Dombrovskis, un lettone. Nel cuore di frau Angela, si sa, i baltici hanno un posto speciale. Dombrovskis sarà il guardiano dell’euro.

In questo scenario cosa volete che conti Renzi? Se giocate a briscola pensate al due di coppe. Quelli di noi nati tra gli anni ‘50 e ‘60 del secolo scorso avevano un sogno che si chiamava Europa. La si poteva soltanto immaginare perché era un’idea. Richiamava alla mente la forza di una moltitudine di genti diverse, pur tuttavia disposte a stare insieme, sentendosi pari. Dichiarandosi pari. Nessuno avrebbe pensato che, un giorno, quell’Europa, sarebbe diventata una caserma sorvegliata da zelanti guardiani attratti dal fascino del supremo comando germanico. Invece, a guardare l’oggi, è proprio così che è andata. Ma com’è che ci siamo cascati di nuovo?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:19