I risvolti futuri   di “Scelta Civica”

Il Movimento “Scelta Civica per l’Italia” conta oggi 27 deputati e 7 senatori (incluso nel computo il senatore a vita Mario Monti). Dopo che l’ultimo presidente reggente, Renato Balduzzi, è stato eletto membro del Consiglio Superiore della Magistratura, è rimasto vacante l’incarico di vertice. Balduzzi godeva di stima personale, come ha confermato la sua elezione al Csm da parte del Parlamento, ed aveva doti di equilibrio e capacità di mediazione. Designare chi debba succedergli non è facile, anche perché questa decisione s’intreccia con quella di valutare i possibili percorsi futuri di Scelta Civica.

Applicando le disposizioni transitorie dello Statuto, la decisione dovrebbe essere rimessa ai parlamentari ed a pochi altri grandi elettori. L’incontro nazionale tenutosi a Firenze il 20 settembre scorso è stato l’avvio di un tentativo di coinvolgere la base per entrambi gli argomenti in discussione: cosa fare nel futuro, a chi attribuire la leadership. Nell’arco della giornata fiorentina si sono succeduti circa cinquanta interventi. In uno sforzo di sintesi, si può dire che il militante medio di Scelta Civica ha delle caratteristiche precise. Ritiene superate le tradizionali distinzioni fra destra e sinistra. Pensa se stesso come un riformatore. Considera perdita di tempo entrare in dispute nominalistiche se occorra definirsi popolari, o liberaldemocratici, o socialdemocratici. Magari poi, approfondendo un minimo, si vede come nessuno aspiri ad essere socialdemocratico, mentre più di uno abbini volentieri l’etichetta di riformatore a quella di liberaldemocratico. La parola “partito” non spaventa e questo è indice di maturità.

Non pochi hanno sostenuto che Scelta Civica, nata come lista elettorale nelle elezioni politiche del febbraio 2013, debba strutturarsi come partito politico. Senza inutili appesantimenti burocratici, ma con un effettivo radicamento territoriale e con la propensione ad un lavoro di approfondimento per settori tematici. Il militante medio di Scelta Civica considera il premier Matteo Renzi un riformatore e, quindi, condivide il fatto che Scelta Civica sia parte integrante dell’attuale maggioranza di Governo. Purtroppo, sempre per il militante medio di Scelta Civica, Renzi è segretario di un partito, il Partito Democratico, che presenta troppe contraddizioni e, quindi, non è interamente affidabile per realizzare quel progetto genuinamente riformatore di cui l’Italia ha bisogno.

Il carattere che maggiormente mi ha colpito, nel mio ruolo di osservatore /intervenuto, è che per quanto riguarda l’economia Scelta Civica è il soggetto politico più entusiasticamente liberista che si possa trovare oggi nella politica italiana. Per circa due ore, il giornalista Angelo Polimeno (Rai, Tg1) ha intervistato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, il capogruppo di Scelta Civica alla Camera, Andrea Mazziotti di Celso, il deputato Irene Tinagli, il deputato Enrico Zanetti, sottosegretario al ministero dell’Economia.

Consideriamo, ad esempio, la riforma del mercato del lavoro del Governo Renzi, che dovrebbe tradursi in una legge di delegazione legislativa. C’è piena sintonia con l’impostazione della riforma che, in tempi non sospetti, aveva elaborato il giuslavorista Pietro Ichino, attuale senatore di Scelta Civica. Peccato che soltanto i presenti all’incontro fiorentino abbiano potuto ascoltare con quanta passione e con quanto entusiasmo Irene Tinagli ha illustrato e difeso tale riforma. Che dovrebbe portare ad un mercato del lavoro più inclusivo, in modo da garantire anche lavoratori, in particolare giovani, che oggi non hanno alcuna tutela e sono soltanto sfruttati. L’idea è quella di un contratto a tutele crescenti, con il passare del tempo. Serve una riforma degli ammortizzatori sociali, allargando la platea dei destinatari. Occorre modificare radicalmente le politiche attive del lavoro, attualmente gestite malissimo a livello locale, anzi, per essere più esatti, provinciale. Anche da questo punto di vista, la modifica del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001 si è rivelata scriteriata ed oggi occorre porvi rimedio. Servono servizi di accompagnamento al lavoro che siano una cosa seria, come avviene in tanti altri Stati dell’Unione Europea; questo compito dovrebbe essere demandato ad una rete fra servizi pubblici e agenzie private.

È evidente che in una materia tanto delicata non servono guerre ideologiche; tanto più che la realtà esistente è indifendibile. Ben venga chi trova soluzioni efficaci per ridurre il numero dei disoccupati in Italia e per evitare che un numero crescente di giovani siano costretti a cercare occupazione all’estero.

Mi ha fatto una buona impressione il deputato Mazziotti che, insieme a Tinagli e Zanetti, ha assistito ai lavori dall’inizio alla fine. Ha anche risposto ad un’osservazione che proprio io avevo fatto sui limiti dell’attuale progetto di riforma della Costituzione, approvato in prima lettura dal Senato, e sulla riforma della legge elettorale, votata dalla Camera, riforma che ha un’impostazione troppo penalizzante nei confronti delle minoranze. In sintesi, Mazziotti ha sostenuto che pur di realizzare un progetto che si ritiene prioritario, quale ad esempio la riforma del mercato del lavoro, una forza politica può consentire che vengano approvate altre riforme che magari non convincono appieno, ma che sono fortemente volute da altri partiti politici alleati. In fondo, la politica sarebbe questo: un gioco di concessioni reciproche nel quadro di un’alleanza politica, che diventa virtuoso quando l’insieme delle riforme approvate faccia fare importanti passi avanti alla società italiana. Secondo Mazziotti, sarebbe paradossale che un movimento quale Scelta Civica, costituitosi apposta per realizzare un coraggioso programma di riforme, si ponesse all’opposizione del Governo Renzi che punta tutto sull’innovazione e sul cambiamento.

La legge elettorale, tuttavia, non è una legge qualsiasi, ma è ciò che delinea le caratteristiche del sistema politico. Per quanto Mazziotti, Tinagli, Zanetti ed i tanti militanti della base civica possano essere bravi, Scelta Civica non avrà futuro se la nuova legge elettorale fisserà soglie di sbarramento troppo alte per l’accesso alla rappresentanza. Diverrà difficile anche il semplice adempimento di presentare le liste elettorali, perché bisogna avere motivazioni ideali molto forti per giocare una partita che sembra persa in partenza. Poi, sempre in relazione alle soglie elevate, nella campagna elettorale avranno buon gioco quanti spendono il collaudato argomento del voto utile: non votate le liste minori, nemmeno quelle che fanno parte della coalizione che potrebbe vincere le elezioni, perché tanto non supereranno mai la soglia di sbarramento nazionale e, quindi, si tratterebbe di un voto sprecato.

I fautori del bipartitismo imposto per legge hanno di che riflettere osservando le dinamiche del Pd. Fin dai tempi di Veltroni (si pensi alle elezioni politiche del 2008) il Pd è un partito “a vocazione maggioritaria”, che tende a cannibalizzare ogni realtà che si pone nel suo stesso campo (diciamo il centrosinistra, per capirci). Un partito pigliatutto, che dalla legge elettorale trae il doping di un cospicuo premio di maggioranza in seggi. Più seggi equivalgono a più potere; ed il potere finisce per diventare il vero ed unico collante. Governare questo partito non è facile per nessuno, nemmeno per una persona furba e dal tratto autoritario quale Renzi. Basta affrontare un tema serio, come la riforma del mercato del lavoro, ed emerge plasticamente che dentro il comune contenitore denominato Pd si trovano persone che vogliono non soltanto cose diverse, ma opposte. Per cui gli uni sono i principali avversari politici degli altri. Questo a prescindere dalle formule di Governo.

Sull’altro versante, l’infelice esperienza del Popolo della Libertà porta alle medesime conclusioni. Anche in quel caso comandava soltanto uno e gli altri avevano il ruolo dei cortigiani in una corte, ma ciò non ha impedito forti contrasti politici e la conclusiva frammentazione in partiti diversi. Non ci fosse il premio di maggioranza, al posto del Pd avremmo probabilmente due partiti, uno propriamente democratico sempre a guida di Renzi, l’altro socialdemocratico, nell’accezione europea del termine, ed il sistema politico ne guadagnerebbe molto in chiarezza. Allora ci potrebbe essere spazio anche per un partito della borghesia riformatrice, come si sarebbe detto un tempo nel caso di un soggetto politico con le caratteristiche di Scelta Civica.

Per concludere il discorso sul bipartitismo imposto con artifici per legge, l’esperienza ci insegna un’altra cosa. Quando i due partiti che ufficialmente dovrebbero essere i pilastri del sistema sono reciprocamente molto complimentosi l’uno nei confronti dell’altro e tendono ad accordarsi fra loro, può capitare che si affermi un terzo partito con caratteristiche antisistema. Com’è accaduto nel caso del Movimento Cinque Stelle che, senza essere mai stato rappresentato in Parlamento in precedenza, nelle elezioni del febbraio 2013 ha ottenuto il 25,55 per cento dei voti validi. L’affermazione di un terzo incomodo dalle caratteristiche siffatte è un portato ed un sintomo di una grave crisi economica; ma la crisi economica non si è risolta e le ragioni di disagio sociale continuano a persistere.

La soluzione più semplice ed equilibrata per la legge elettorale sarebbe quella di ripristinare i collegi elettorali uninominali, come al tempo della legge Mattarella (applicata la prima volta nel 1994). In ogni collegio viene eletto un solo candidato, quello che ha ottenuto più voti. Così da garantire una rappresentanza parlamentare che effettivamente sia espressione delle diverse realtà territoriali. Selezionata attraverso il voto dei cittadini. Per garantire il pluralismo della rappresentanza, basterebbe assegnare una limitata quota di seggi con metodo proporzionale fra liste concorrenti in grandi circoscrizioni territoriali. Senza alcun meccanismo di scorporo, a differenza di quanto avveniva con la legge Mattarella.

Le alleanze politiche vanno negoziate prima delle elezioni: è normale che i partiti che hanno programmi affini si mettano insieme. Solo che il peso parlamentare di ciascun partito sarà determinato dal libero voto degli elettori e non costruito a tavolino da tecnici, veri o sedicenti tali, della legislazione elettorale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:20