Riforma del lavoro: Jobs act dirigista

giovedì 2 ottobre 2014


La riforma del lavoro è una riforma dirigista, ed è stata presentata sotto forma di legge delega, quindi andrà per le calende greche dell’approvazione delle due camere, e anni per i decreti attuativi, dunque addio in tutti i sensi al mercato del lavoro vero.

Il pil italiano decresce a vista d’occhio, occupazione e crescita non esistono, il decreto sblocca Italia non sblocca, e il jobs act potrebbe fare deflagrare la sinistra di partito e sindacale onorando gli oltre quaranta anni di storia passata da freno e nulla ( il vescovado non si sa invece perchè si ostini a non andare a soccorrere gli immigrati degli sbarchi).

Gli ottanta euro distribuiti al ceto medio pubblico impiegatizio, vanno restituiti doppi, cioè centocinquanta euro da dare indietro grazie al decreto inps, e l’avvenuta immissione nel pubblico impiego a carico dello Stato ha molto poco a che fare con una riforma del lavoro competitiva. In merito questa, è l’ intero suo impianto ad essere centralista, fondandosi su un sistema centralizzato in base al quale i contratti di lavoro sono regolati burocraticamente da leggi e patti nazionali che prevalgono sui contratti aziendali.

Solo in questi ultimi l’accordo è concluso da quelli che lo applicheranno a se stessi, e solo con quelli si otterrebbe la flessibilità degli orari e delle mansioni, oltre che il legame con la produttività. Solo con i contratti aziendali cioè si metterebbero i lavoratori dell’azienda al centro del contratto, insieme all’impresa.

Il fuggitivo Marpionne, ad esempio, ha fatto contratti aziendali, il governo sòla Renzi mantiene invece la preminenza del contratto nazionale a tempo indeterminato su quelli aziendali ed elimina i contratti flessibili cosiddetti precari. L’Italia non guadagna niente con tutto questo.


di Francesca Romana Fantetti