Dibattito senza dati?   Solo una illusione

I dati, i dati, i dati. Non esiste alcun discorso, alcuna opinione, alcun ragionamento se non si parte dai dati. I dati come numeri assoluti. Non le percentuali. Non le tendenze dell’ultimo periodo sulla parte apicale dei sotto settori. Questo vale soprattutto quando si tratta di lavoro ed in particolare dell’articolo 18 della legge 300 del 1970, cioè della tutela della continuità del posto di lavoro.

E’ impressionante quanto siano poco diffuse le note sui numeri del lavoro mentre impazzano infogrammi delle tendenze più particolari. Il lavoro, sul quale teoricamente il Paese dovrebbe fondarsi, impegna 22 milioni e quattrocento mila persone. Un terzo, minoritario, della nazione. In calo costante, al ritmo di quasi duecentomila unità l’anno. Comunque, la spina dorsale di tutto; il lavoro attivo, magari fatto o usato male, che produce quanto necessario a tutta la società ed allo Stato. A questo blocco si affianca il secondo del paese, i pensionati, 16,5 milioni.

Un gruppo sociale molto attento alle decisioni di tutti gli altri. Un gruppo unito dalla caratteristica anagrafica dell’età avanzata. Un gruppo per sua natura impaurito, preoccupato ed ansioso per il futuro. Un gruppo, fuori dal lavoro attivo e dal processo decisionale, spaventato che l’economia non sia più in grado di pagare le rendite. Seguono gli inattivi, 10 milioni e gli studenti, 7 milioni Estranei, estraniati e alieni a tutto, trascinati su temi e terreni marziani da scuola e Tv. Infine i disoccupati, 3 milioni. Il blocco sociale del lavoro, è al contrario di quello dei pensionati, molto diviso al suo interno, anche in modo mortale. L’idea che il mondo del lavoro coincida con quello a tempo pieno ed a tempo indeterminato è completamente sbagliata.

Il rapporto sta tra 22,4 milioni e 13,7 milioni. Intanto i dipendenti sono inferiori ai 17 milioni. I padroni di una volta, i datori di lavori ed i professionisti indipendenti sono 5,5 milioni. I precari sono 2 milioni e duecentomila. L’articolo 18 non riguarda un pugno di persone, raffigurato in un piccolo numero di privilegiati immersi in una massa sterminata di precari privi di ogni diritto. Al contrario, riguarda una maggioranza che si è fatta però sempre più relativa.

Dai quasi 14 milioni di lavoratori a tempo pieno bisogna sottrarre i 3 milioni e 300 mila del pubblico impiego, impegnati in altre battaglie ma garantiti in diverso modo. Restano un po’ più di dieci milioni, 10341mila persone che solo nel 2012 erano 11 milioni e mezzo. Bisogna poi togliere 3 milioni in cassa integrazione, con un piede nella disoccupazione. Il milione e cento dei soci lavoratori delle 75mila cooperative. Ed anche i 600mila dirigenti ed i 900 mila in part time. Resta il nocciolo duro dell’occupazione italiana, meno di 5 milioni di persone. E’ abbastanza intuitivo capire che attorno alle loro sorti si decidono quelle dei cassintegrati, dei precari e dei pensionati.

E’ altrettanto facile con una adeguata grancassa farli apparire circondati dall’esile assedio di più di 2 milioni di giovani senza diritti. Ed è facile convincere molti blocchi sociali del danno loro conseguente dalle garanzie dei diritti del lavoro. Nemici dichiarati dell’art.18 sono i lavoratori e le famiglie impegnati nel lavoro, ufficialmente figuranti come impresa, ma nella sostanza da rubricare come lavoro indipendente non tutelato ed ipertassato. Come gli artigiani calati di mezzo milione d’unità negli anni della crisi. Sempre più contrariati dei diritti altrui, sono divenuti tutti quelli che ne sono stati defraudati come i soci lavoratori coop, i cassintegrati, gli esodati.

Fuori dalle tesi contrapposte, non bisogna mai scordare che i precari sono stati sempre pochi rispetto alla massa del lavoro protetto dai diritti. Cresciuti sì, ma ben poco, dal milione e mezzo del 1993 fino ai 2,3 milioni del 2011 ed ai 2,2 di oggi. Il disperato calo di produzione ha colpito ogni forma di occupazione, infatti. La demagogia attorno ai precari è stata usata per lungo tempo dalla sinistra più estrema per criticare le flessibilità introdotte comunemente da destra e sinistra moderata. Oggi una sinistra molto destrorsa usa la stessa demagogia per distruggere completamente, all’ombra della propaganda sull’articolo 18, le relazioni industriali. Sula sua azione pesa il giudizio che la finanza mondiale ha dato nell’agosto sull’argomento: 12 milioni di disoccupati europei sono un fatto strutturale.

Il fatto è che l’economia si sta riorganizzando su una base più ristretta di lavoro e occupazione. Questo è il dato di fondo sul quale i bocchi sociali devono mettere la loro attenzione, invece di odiarsi.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:16