Il percorso illegittimo   dell’Unione Europea

“Tutti gli Stati membri devono rispettare il patto di stabilità” ha tuonato la Merkel che si ostina a fare la kapò dell’Europa, e a chi ha criticato il governo tedesco per i mancati investimenti ha rimandato con un “Imprese e aziende creano lavoro e innovazione”. “Non possono esserci eccezioni alle regole dell'Unione europea sugli obiettivi nazionali di deficit” così la Merkel ha ripreso la Francia nel suo discorso al Parlamento a Berlino. E’ la povera Francia del governo di Hollande che ha annunciato il possibile sforamento del 3 per cento nel rapporto deficit- pil entro i prossimi due anni (2015-2016). Tutti i ventotto Stati membri dell'Unione europea, ha detto Merkel, devono rispettare il patto di stabilità e crescita "in pieno" o rischiano una perdita di fiducia nell'economia dell'Eurozona.

“Le regole devono essere applicate in maniera credibile a tutti gli Stati membri, solo allora il patto potrà svolgere le sue funzioni di ancora centrale per la stabilità e soprattutto per la fiducia dell'Eurozona" e “se vogliamo la crescita in Europa, bisogna prima di tutto muovere il capitale privato". Cosa vuole dire rischiare una perdita di fiducia nell'economia dell'Eurozona. Il 15 ottobre scorso l'Italia e gli altri Paesi dell'Eurozona hanno spedito a Bruxelles le proprie leggi di stabilità, adesso al vaglio della Commissione europea. Si ricordi che l'Europa, dopo la firma del fiscal compact autoproclamatosi Trattato ma fondamentalmente illegittimo, sottostà alla imposizione agli Stati membri di tre vincoli, ovvero 1. un limite del 3 per cento del deficit di bilancio in rapporto al pil; 2. un debito pubblico che non superi il 60 per cento del pil (o che si riduca ogni anno di un ventesimo della parte eccedente); 3. un deficit strutturale (cioè al netto del ciclo economico) dello 0,5 per cento del pil (o, anche in questo caso, in calo dello 0,5 per cento annuo). Negli ultimi diciassette anni, cioè da quando esiste il Patto di stabilità e crescita, solo quattro Paesi membri su ventotto sono sempre rimasti sotto al 3 per cento, precisamente l’Estonia, la Finlandia, il Lussemburgo e la Svezia. Per gli altri, il rispetto del 3 per cento è stato più l'eccezione che la regola. La Francia, ad esempio, è rimasta nei limiti solo sette volte su diciassette, l'Italia otto volte, la Germania dieci, la Grecia e il Portogallo mai. Quanto al debito, nel 2013, solo cinque Paesi erano sotto al 60 per cento, cioè l’Estonia, la Finlandia, la Lettonia, il Lussemburgo e la Slovacchia. I Paesi che non rispettano le regole rientrano tra i cosiddetti sorvegliati speciali e possono essere posti sotto la “procedura di deficit eccessivo”. Allo stato undici Paesi dell’Unione si trovano in questa situazione, specificamente Cipro, Croazia, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Malta, Polonia, Portogallo, Slovenia, Spagna. L'Italia al contrario ne è uscita nel 2013. La prima valutazione circa l'apertura di una procedura è della Commissione europea, ma la decisione finale spetta ai capi di Stato e di governo. Quando il Consiglio decide che in un Paese esiste un disavanzo eccessivo, invia delle raccomandazioni allo Stato membro in questione, il quale le deve adottare entro un certo periodo. Se lo Stato le ignora, il Consiglio può applicare sanzioni o ammende.

Il meccanismo sanzionatorio è graduale; prima ancora che il Paese venga posto sotto procedura per deficit eccessivo, se lo scarto con gli obiettivi di bilancio è giudicato troppo marcato, al Paese può essere imposto un deposito con interessi pari allo 0,2 per cento del pil; se il gap viene colmato, la somma viene restituita, in caso contrario lo Stato membro viene posto sotto procedura per deficit eccessivo e la somma viene convertita in deposito senza interessi. Successivamente, se la raccomandazione del Consiglio non viene perseguita, il deposito diventa ammenda, prima dello 0,2 per cento poi dello 0,5 per cento del pil. Da quando esiste il Patto di stabilità, le sanzioni pecuniarie non sono mai state applicate a nessuno Stato membro nonostante le ripetute violazioni dei limiti di deficit e debito e l'apertura di numerose procedure di disavanzo eccessivo. Questo perché i Paesi nel mirino si sono appellati alle clausole di flessibilità previste dalle regole europee e Bruxelles le ha accettate. Il Patto di stabilità prevede infatti delle clausole di cui diversi Stati membri hanno potuto beneficiare negli ultimi anni, in modo da potere usufruire di uno o due anni in più per correggere i disavanzi. Si tratta di “circostanze eccezionali”, ossia indipendenti dalla volontà dello Stato e aventi effetti sensibili sui conti pubblici, come una grave recessione economica; ma si può tenere anche conto di riforme strutturali di ampio respiro, con effetti positivi a lungo termine sul bilancio. L’Italia conta ad oggi su quest’ultimo punto (così come la Francia) per convincere la Commissione. I poteri di sorveglianza della Commissione europea sono aumentati negli ultimi anni con nuovi regolamenti sulla sorveglianza, i cosiddetti Six pack e Two pack, e al semestre europeo di bilancio. Tali nuove regole – date con regolamenti, non sono cioè Trattati - prevedono un monitoraggio costante dei bilanci nazionali nel corso dell'anno che si concretizza in due tappe fondamentali, a fine aprile e a metà ottobre.

La prima tappa annuale è la presentazione alla Commissione da parte di ogni Stato membro di un programma di stabilità per i soli Paesi dell'Eurozona o di convergenza per gli altri entro il 30 aprile. Nel programma vengono delineate le strategie di bilancio di medio termine; dopo averle analizzate, le istituzioni europee inviano le proprie raccomandazioni ai Paesi. È una novità introdotta lo scorso anno 2013 con il Two Pack, che vale solo per i Paesi dell'area euro. Ogni governo deve fare pervenire alla Commissione europea entro il 15 ottobre il progetto di legge di bilancio, quella che in Italia ora chiamiamo legge di stabilità. La Commissione la esamina e si pronuncia entro il 30 novembre. Se rileva “gravi inosservanze” del Patto di stabilità e di crescita, può chiedere entro due settimane allo Stato membro di modificare il progetto di finanziaria. Il che non significa che la Commissione abbia diritto di veto o di modificare direttamente il bilancio perchè sta al governo di quel Paese decidere se seguire i “consigli” di Bruxelles o se ignorarli, con le conseguenze del caso. Nell'immediato, non succede niente. C'è però una differenza di fondo tra Paesi virtuosi che sono sotto il 3 per cento, e dunque hanno maggiori margini di manovra, e Paesi non virtuosi che hanno già sforato il 3 per cento e quindi sono già sotto procedura (oggi più di noi la Francia, già in profondo rosso con un disavanzo al 4,4 per cento, può essere sanzionata se non giustificata da circostanze eccezionali – recessione - o da un ambizioso piano di riforme strutturali). Per l'Italia, invece, c'è il rischio di tornare invischiata nella procedura da cui era uscita nel 2013. È alla fine una delle più temute, vista la crisi del 2011 perché nel momento in cui i mercati si rendono conto che le regole europee possono essere violate a ripetizione, perdono fiducia nel sistema e cominciano a vendere i titoli di Stato dei Paesi più a rischio. Quello che sta accadendo in questi giorni, in Grecia ma non solo, è un nuovo campanello d'allarme dopo la bufera del 2010-2012.

E’ bene sapere che la disciplina dei Regolamenti, a cominciare dal n.1466 del 1997 e quelli che sono seguiti fin qui, quindi fiscal compact, Six pack e Two pack e chi più ne ha più ne metta, non è solo diversa ma opposta rispetto a quella degli articoli 102 a), 103 e 104 del Trattato dell’Unione europea, perché sostituisce l’ obiettivo principale dell’Unione, che è precisamente quello della crescita avente le caratteristiche e rispondente alle finalità di cui all’art.2 del Tue, con un risultato, quello del pareggio di bilancio, da conseguirsi a medio termine con l’osservanza di uno specifico percorso.

La modifica introdotta dal Regolamento n.1466 del 1997, con gli altri succedutisi, fiscal compact, Six pack e Two pack, rispetto al Trattato Ue – di Maastricht – ha di fatto abrogato il diritto/potere degli Stati di concorrere alla crescita con la propria politica economica, concorrendo in tal modo anche alla crescita dell’Unione, sostituendola con un obbligo – gravante sugli Stati – avente come contenuto il pareggio del bilancio a medio termine, da conseguirsi nel rispetto di un programma predeterminato. Chi ha elaborato tali norme non si è reso conto delle conseguenze che sarebbero derivate dall’avere messo a base del sistema un obbligo al posto di un potere. Cancellando l’obiettivo della crescita, i Regolamenti e gli atti di valore inferiore ai Trattati legittimi europei, hanno cancellato ogni attività politica nel sistema. Hanno di fatto abrogato, regolando in modo diverso la materia, e sostituito gli articoli 102 a),103 e 104 c) del Tue; hanno cancellato cioè la disciplina legittima del Trattato diretta a produrre crescita e non hanno previsto alcun altro potere diretto a produrre crescita. In sostanza nella materia economica, e per ciò che concerne la moneta, Regolamenti, fiscal compact, six pack o two pack, hanno soppresso il regime democratico nell’intero ambito della politica economica e della gestione della moneta europei.

Il Trattato di Lisbona costituisce il diritto vigente ed è la norma europea legittima da applicare. Nella situazione grave in cui versa la maggior parte dei Paesi – l’Eurozona e la stessa Unione – è necessario richiamare l’intera Unione ad attenersi al Trattato in vigore e la Commissione europea deve rispettarlo a sua volta e farlo rispettare.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:08