Tra cinquat’anni   una fiction sul ponte

La fiction sulla costruzione de ‘La strada dritta’, trasmessa di recente da Rai 1, ha avuto pregio e meriti indiscutibili di far vivere, a quanti non hanno conosciuto quel periodo, se non attraverso i racconti dei genitori o dei nonni, gli sforzi, i sacrifici e il coraggio con i quali si è permesso all’Italia del dopoguerra d’essere proiettata verso il miracolo economico che ha consentito al nostro Paese di trasformarsi da paese agricolo in paese industriale.

Dopo Olivetti e Mattei stavolta la costruzione della modernità spetta alla grande ingegneria italiana, che si è fatta apprezzare anche all’estero tra gli anni ’50 e ’70 ponendo mano all’integrazione del sistema dei trasporti: ed è stato il turno dell’ingegner Fedele Cova, ideatore della Autostrada del Sole Milano-Napoli. Alla tratta ferroviaria Milano Roma - realizzata attraverso la Grande Galleria dell’Appennino, più lunga al mondo a doppio binario nel 1934 - venne affiancato un asse meridiano principale della rete autostradale italiana lungo 755 km, che contribuì in modo decisivo al rilancio dell’economia nazionale sin dalla seconda metà degli anni ’60, determinando una forte riduzione dei prezzi al consumo per l’accorciamento dei tempi di percorrenza a 8-10 ore rispetto ai due giorni di prima.

Su quella autostrada e su tutte le altre che nel frattempo sono sorte in Italia, si viaggia bene e i tempi di percorrenza tra le varie località sono stati abbondantemente abbattuti. Per le nuove generazioni quella formidabile via di comunicazione sembra esserci sempre stata. Ignorano, infatti, che la sua realizzazione è stato il frutto della voglia di riscatto di formidabili “capitani” coraggiosi che hanno dovuto superare difficoltà finanziarie enormi, difficoltà tecniche che apparivano insormontabili e le dure critiche dei bastian contrari, dei benaltristi, degli oppositori alle novità, dei ciechi per scelta di schieramento.

La fiction ne ha dato qualche assaggio quando alcuni burocrati volevano bocciare il progetto di Cova perché nella nuova ‘strada’ mancavano i paracarri e i marciapiedi, e perché era uno sperpero ed era da criminali sottrarre terra all’agricoltura. Ricordiamo anche le critiche aspre degli oppositori anche al proseguimento dell’autostrada da Napoli a Reggio Calabria con la motivazione che “sarebbe servita alla Fiat per vendere maggiori macchine ed ai figli della borghesia per scorazzare su e giù nella nuova arteria”, quasi fosse preferibile perseverare nello stato di isolamento in cui ci si trovava. Quella realizzazione fu, comunque, una svolta culturale tolemaico-galileana impensabile, un vero k.o. tecnico per il giogo che deve restare imperante fra le sponde dello Stretto: due ore per un convoglio ferroviario attraversarlo, poco meno del tempo per la tratta Milano-Roma con l’AV ferroviaria.

Come può constatarsi i protagonisti sono sempre gli stessi. Gli ardimentosi e gli studiosi, da una parte e, dall’altra, i ‘signor NO’ che dell’opposizione alle scelte dei primi han fatto una vera e propria religione. Anche le motivazioni sono semplicemente cervellotiche e raffazzonate. Per il Ponte di Messina per esempio si sostiene che l’ombra dell’impalcato disturberebbe i delfini di passaggio (e non è politicamente corretto farlo. sic!), o molto prosaicamente liquida il tutto con il ‘c’è ben altro da fare che realizzare un’opera inutile’ come è stato affermato recentemente in TV.

Pensare per un attimo che il Ponte non è il capriccio di un vecchio governante, ma ha motivazioni serie che vanno aldilà delle bizze di chi governa, e molto aldilà degli interessi dei pendolari delle due coste interessate e anche dello stesso interesse turistico che innescherebbe, è cosa molto ardua, o egoisticamente si perseguono interessi personali come villette da difendere o una carriera accademica da ottenere o irrobustire.

Pensare per un attimo che senza il Ponte non ci sarebbe neanche l’Alta Velocità, ferma come Cristo, stavolta a Salerno, è cosa difficile da capire? Anche gli inesperti comprendono che se c’è una domanda ci dovrebbe essere l’offerta. La domanda è il trasporto ferroviario veloce che milioni di container, pieni di merci, chiedono che dall’Italia vengano movimentati verso il Nord Europa e viceversa. Non c’è questa offerta? Gli armatori non entrano in crisi ma cambiano percorso e usano il FerrMed che si sta realizzando in Spagna e in Francia, mentre il nostro Paese perderebbe una immediata opportunità di ripresa economica, non effimera, perché il volume delle merci transitanti nel Mediterraneo supererà l’attuale 30% del traffico mondiale perché non è un traffico stagionale nè passeggero. Tutto questo senza considerare il danno basilare alla credibilità dello Stato di diritto, l’indebolimento all’immagine della sua capacità imprenditoriale, la perdita secca della mancata fornitura di acciaio e dei materiali necessari, la mancata acquisizione del know how delle aziende e delle Università ai fini innovativi, scientifici e della formazione professionale … La partita è di importanza capitale per corroborare l’unità del Paese, come lo fu la guerra di Crimea, voluta da Cavour, per poterla avviare.

Ci consola, a quanti tra noi non sono più giovani, che tra 50 anni ci sarà chi racconterà anche la storia del Ponte con un’altra splendida fiction mettendo in luce gli sforzi dei tecnici (architetti, ingegneri, accademici) delle varie Università italiane che si sono battuti per aprire al Paese altre prospettive, che sappiano di crescita anche post industriale, e per rilanciare l’ingegno italiano che col progetto del Ponte riceve nuovo impulso se è vero, come è vero, che già oggi esso viene ‘copiato’ da una schiera internazionale sempre più grande di costruttori di ponti.

Ci consolerà il pensare che ciò che sarà ricordato, come nel caso dell’Autosole, saranno soprattutto gli sforzi positivi mentre quelli negativi occuperanno piccoli spazi anonimi e semplicemente insignificanti. Insomma “la guerra delle parole” degli allergici al progresso, considerato un salto nel buio, e dei paurosi del nuovo qualunque esso fosse. Al fondo di questo atteggiamento, comunque, una forte dose di incultura e di supponenza ignorando “qu’est-ce qui se passe”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:17