Il pilastro socialista   che manca al sindacato

Nell’editoriale di domenica sul Garantista il direttore Sansonetti esprime alcune valutazioni sulla Cgil che mi hanno sollecitato alcune riflessioni. Certamente i socialisti e la loro cultura è assente in modo organico nel Paese da almeno 20 anni, per quanto la presenza di socialisti è sparsa in tutto l’arco costituzionale, e come tutti sanno benissimo in questo Paese la cultura liberale e liberal-socialista, o riformista come si preferisce definirla, è stata storicamente minoritaria. Perché questa premessa? Perché l’articolo 18 e lo Statuto dei Lavoratori sono figli di una cultura, di una visone del mondo in un contesto storico definito; e se mi permette questo incipit fino al 1992 tutte le riforme che riguardano il mondo del lavoro portano la firma comunque dei socialisti e le leggi-papocchio anche quella del Pci. Non è uno scatto di orgoglio o rimestare il passato bello e glorioso, noi socialisti siamo stati partecipi a scelte sbagliate come la legge Reale, e la mancata legge sulla Responsabilità civile dei magistrati e certamente partecipi ad un sistema di corruzione politica che comunque era di sistema ed era finalizzato principalmente al finanziamento della politica e non all’arricchimento personale.

Sansonetti scrive: “E’ vero che oggi alla Cgil mancano due grandi pilastri della sua forza del passato, quello sociale e quello politico. Quello sociale e - storico - era il movimento operaio, quello politico era il partito (e cioè il Pci, e poi il Pds, e Rifondazione ma in parte anche il Psi e per un periodo lo stesso Pd)”.

Certamente condivido il primo assioma in cui si dice la mancanza del pilastro della classe operaia, cosa che i socialisti ed un parte minoritaria dei comunisti già elencavano nei documenti congressuali della Cgil negli anni Ottanta, creando scandalo nella Fiom per i quali il solo affermare il “tramonto della classe operaia” ha comportato di essere tacciati per socialfascisti, borghesi e reazionari. Il Psi dentro la Cgil è stato per molto tempo una centrale propulsiva di idee e di scelte come l’uscita della Cgil dal sindacato internazionale di osservanza sovietica per farlo aderire alla Confederazione Europea dei Sindacati. Scelte che hanno fatto grande ed unitario il sindacato Cgil e il sindacato Confederale. Nonostante le manifestazioni di piazza oceaniche nel 1984 organizzate dal Pci contro l’abolizione della scala mobile, ci hanno dimostrato come i lavoratori e una classe politica allora di livello ha saputo leggere i fenomeni sociali e farli comprendere al Paese, che la solita minoranza comunista non comprendeva, e l’esito del referendum del 1986 ne ha dimostrato la lungimiranza ed anche i risultati economici non si sono fatti attendere. Ho premesso ciò perché sono tra quelli che non condividono la battaglia idolatrica sulla difesa dell’articolo 18 e l’attuale posizione politica della Cgil, ed in particolare di quei socialisti sparsi che ormai vivono di cultura riflessa dalla vecchia egemonia comunista.

Vorrei ricordare che il precariato inizia con il Governo Prodi–Treu che, sempre per tutelare l’articolo 18 (veto posto da Cofferati e della Cgil) e dunque la mobilità in uscita, apre alla mobilità in entrata, con i Co.Co.co., in modo pilatesco, perché cosi il problema riguarda coloro che ancora non lavorano e cioè i giovani, bella cultura della solidarietà. Oggi questi ragazzi sono diventati adulti e da pochi che erano sono diventati un esercito di sfruttati, e qual è la proposta della Cgil: estendiamo l’articolo 18 a tutti. Ma il buon senso vorrebbe che se nell’epoca delle grandi fabbriche il buon Brodolini ministro del Lavoro mise il limite al di sopra dei 15 dipendenti ci sarà stato un motivo, ed oggi che siamo nel 2014 e che le grandi fabbriche hanno chiuso o sono state svendute, estendere l’articolo 18 vuol dire creare una rigidità, anche grazie anche ad una lentezza della magistratura, che immobilizzerebbe le possibilità di sviluppo perché l’economia richiede certezze del diritto, certezza il più possibile dei costi e libertà di rischio che ovviamente non intendiamo un rischio al buio.

Inoltre, grave manchevolezza dei sindacati è stato non affrontare il precariato con gli strumenti che sono in possesso della più grande categoria dei precari ai cui non si applica l’articolo 18 che sono i lavoratori edili, i quali hanno lo strumento delle casse edili a tutela del salario differito, e forse per questo non hanno meno dignità di altri lavoratori? O forse qualcuno che fa l’operaista pensa il contrario e sogna una società statalizzata. Certamente manifestare pacificamente è un aspetto essenziale della democrazia, si sia d’accordo o no, e certamente come dice giustamente Lei in quella piazza c’era anche chi crede ancora alla politica e che “l’idea non è morta”, ma insieme a questo bisogno di politica attiva e partecipata c’era il vecchio caravanserraglio di chi dice no a tutto e ha una sola parola d’ordine magica per risolvere i problemi dell’economia: la patrimoniale e la lotta all’evasione fiscale. Certamente sono problemi seri ma evanescenti se non si riforma prima la burocrazia, e le sue mille leggine fatte in nome della trasparenza che permettono le migliori ruberie e corruzioni, ed una vera riforma fiscale.

Secondo Lei ci sono due sinistre, una che vuole giustizia sociale ed uguaglianza e l’altra che vuole concorrenza mercato e profitto. Secondo me questo è un “falso giornalistico” ed è una visione manichea della realtà, c’è una sinistra ex comunista che vive ancora di rimpianti ed una sinistra modernista che sta cercando di uscire dal vicolo cieco in cui dal 1992 si trova il Paese. Manca all’appello, perché sparsa e senza riferimenti, una forza realmente liberalsocialista o socialdemocratica. Questa idea, che anche Lei vuol far passare, che il socialismo democratico è in crisi (dando al termine crisi il sinonimo di fine) è un modo per non prendere atto del cambiamento, che con tutto rispetto per un ex comunista è sempre doloroso (per quanto personalmente l’ammiro e la stimo) e dunque rielaborare in base ai valori (non l’ideologia) eterni del socialismo le nuove battaglie per difendere i diritti dei lavoratori in un'epoca “bastarda” della finanziarizzazione dell’economia e dunque una battaglia che non si fermi nei confini nazionali.

A me sembra che nello scontro di potere dentro il Pd si usa la Cgil come arma non convenzionale a discapito degli interessi dei lavoratori, come ultimo ancoraggio dei nostalgici massimalisti e comunisti. Ricordo che Luciano Lama diceva che "il ruolo del sindacato non è solo di difendere i lavoratori, ma anche saperlo orientare verso battaglie difficili e non sempre comprensibili, facendoli diventare classe dirigente; ecco da almeno 20 anni i partiti e i sindacati fanno l’opposto di questo valore del socialismo".

Concludo precisando che non sono un renziano e non ho mai votato Pd, ho sempre votato ciò che ho considerato opinabilmente il meno peggio in questi anni di Seconda Repubblica, e cioè Berlusconi, ma in questa landa desolata credo che il tentativo di Renzi vada messo alla prova senza pregiudizi. Per il resto mi considero come Ignazio Silone: “Un cristiano senza chiesa e un socialista senza partito”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:11