Riformismo a capocchia

Quello italiano è un Popolo che ama l’epica. E la ama a tal punto da sacrificare anche la ragionevolezza pur di narrare dei poemi collettivi: narrò l’epica dell’onestà nel periodo di Tangentopoli , narrò le ragioni della classe media e delle libertà con Berlusconi e adesso narra le ragioni del giovanilismo e del cambiamento nell’era Renzi.

Generalmente l’epica collettiva italiana è, come al solito, un sentimento radicato poco e male e “sino a prova contraria”: per trovare un esempio eclatante nella storia potremmo citare le adunate estasiate sotto Piazza Venezia durante il ventennio, periodo oltre il quale furono tutti partigiani, antifascisti e convintamente amanti della democrazia. Quella stessa democrazia cui gli italiani sembrarono derogare senza fare troppe battaglie quando la stella di Mussolini brillava forte nel cielo.

Ma, tornando all’epica del riformismo dei giorni nostri, scopriamo quanto questo messaggio si sia diffuso contagiando tutti e passando (come sempre) dal leader di turno al mondo ossequioso verso i forti per definizione e cioè la politica fino ad arrivare alla moltitudine popolare che lo accetta così, come fosse un dogma o una moda che, se non segui, sei out, gufo e disfattista. Solo a questo punto abitualmente arrivano gli intellettuali a riempire, con una certa dose di piaggeria, di contenuti e giustificazioni le derive collettive del momento.

Giusto per citare l’ultimo intellettuale in ordine di tempo organico a queste operazioni mediatiche, potremmo segnalare Pietro Ichino che venerdì sul Foglio sembrava Omero che cantava del Pelide Achille Matteo che infiniti addusse lutti ai conservatori.

Nel suo intervento dal titolo “Perché Camusso, Grillo e Salvini sono tre facce della stessa conservazione”, Ichino sostanzialmente ci spiega che oggi il discrimine tra destra e sinistra non è più così rilevante quanto quello tra forze ostili e favorevoli al cambiamento le quali si coagulano in maniera trasversale indipendentemente dalla geografia politica.

Per Ichino la battaglia vera è quella “che corre tra chi vede nell’integrazione in Europa la nostra speranza, per quanto difficile, e chi invece la considera una prospettiva impossibile, e preferisce affrontare il trauma catastrofico della rinuncia a perseguirla”.

Il campanello di allarme per l’esimio giurista sarebbe nella facilità con la quale forze anche distanti tra loro (Salvini, Camusso, Grillo, la sinistra PD, la destra in Forza Italia appunto) si coalizzano contro quel moto di cambiamento riformista (trasversale anch’esso) incarnato da Renzi ultima ed unica speranza di cambiamento per il Paese. Vorremmo far notare all’esimio professorone che la distinzioni tratteggiate nel suo articolo ci potrebbero pure stare, che le divisioni ideologiche potrebbero anche essere diventate roba anacronistica e che il cambiamento sia diventato oggi più che mai di un’urgenza prepotente oltre che vitale per il nostro Paese.

Ma di qui a voler impalcare Renzi a baluardo della bella politica contro quella corrente di brutti e cattivi conservatori che non gli permettono di lavorare, il gioco è arduo oltre che pieno di brutte figure. Le pare riformismo quel mostro chiamato Italicum? E le pare riformismo la trasformazione del Senato in ramo del Parlamento socchiuso ? E le pare riformismo quella gragnolata di tasse occulte contenute nella legge di stabilità? A me per niente e neanche ad Ocse, Bce, Fmi, Commissione Europea e a molti altri osservatori economici mondiali.

Le pare riformismo la finte riforma delle amministrazioni provinciali italiane? Le pare riformismo una politica economica che verrà ricordata per le mille promesse di ottanta euro a tutti senza che mai si sia iniziato un serio lavoro di dimagrimento dello Stato e di Spending Review? E le pare riformismo intestardirsi sull’articolo 18 quando invece il problema dell’economia italiana sta in un costo del lavoro troppo alto, in una pressione fiscale spropositata, in un mercato interno fermo ed in esportazioni che non decollano perché non siamo competitivi come sistema paese? Allora caro Ichino, imparando del resto da lei, tracciamo anche un’altra distinzione tra gli epici del riformismo ed i riformisti.

Anche questo forse è un fenomeno trasversale e divide l’Italia in due categorie: quelli che si infiammano (a volte spontaneamente e a volte a comando) per un annuncio di riforma quale che sia e quelli che preferiscono individuare le priorità del Paese facendo riforme vere, condivise e radicali (non nell’accezione di estremiste). Ai riformisti veri, i riformisti a capocchia non sono mai piaciuti.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 20:30