Pluralismo in pericolo,   giornalisti alle urne

Giornalisti alle urne, in questo fine mese, per eleggere i delegati al Congresso della Federazione della Stampa. La successione del segretario Franco Siddi non si presenta semplice anche perché mai forse la credibilità del sindacato dei giornalisti aveva raggiunto un livello così basso dopo un rinnovo contrattuale disastroso, un referendum considerato illegittimo da una parte della categoria e una crisi profonda del settore editoria causando chiusure di giornali, ristrutturazioni, licenziamenti e perdita di copie vendute.

Sarebbe stato necessario un ripensamento delle strategie per affrontare la crisi prima di rinnovare i vertici della Fnsi e delle associazioni territoriali. Alle urne i giornalisti si presentano divisi e frazionati in varie “correntine”. Ci sono stati anche aspetti non chiari nell’indizione del congresso come evidenziato in un circostanziato esposto del presidente dei pensionati romani Pierluigi Franz a partire dall’esclusione dell’Associazione della Campania, commissariata per vicende che hanno radici lontane e alla gestione del Circolo di lungomare Caracciolo.

Non è un buon momento per andare a congresso senza preoccuparsi di sfoltire le pletoriche cariche e senza un confronto sulla matrice della crisi che colpisce la stampa italiana nell’epoca dell’esplosione delle tecnologie digitali. Sono a rischio in Italia 320 testate giornalistiche con oltre 4.500 dipendenti diretti e un indotto di 15 mila persone. In meno di 10 anni il sostegno pubblico all’editoria è passato da 500 milioni di euro a poco più di 50.

Sul tappeto per un’analisi sulla gravità della situazione ci sono la lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano da parte della presidente della Federazione Italiana Liberi Editori (File) Caterina Bagnardi e un dossier di Mediobanca.

Sul crollo delle vendite, sui ricavi, gli introiti pubblicitari. Le sette sorelle (Rcs, Espresso, Mondatori, Monti Riffeser, Caltagirone, La Stampa-Agnelli, Il sole 24 ore-Confindustria) negli ultimi 5 anni hanno perso quasi due miliardi.

Secondo i dati della Federazione Italiana Editori a tutto il 2013 le vendite sono calate del 45% rispetto al 1990. L’involuzione dei maggiori gruppi editoriali s’inquadra in una tendenza di più lungo periodo che vede in Italia più che in altri paesi europei un diffuso processo di disaffezione verso la carta stampata quotidiana. Le copie diffuse non superano ormai i 3 milioni giornalieri.

Di recente hanno chiuso “La Padania”, organo quotidiano della Lega Nord, “l’Unità” giornale fondato da Antonio Gramsci, “Europa” organo dell’ex Margherita e poi del Partito Democratico. Sempre in difficoltà “Il Manifesto” ed altre pubblicazioni della sinistra, ultimi di una serie (circa trenta) che rischia di trasformarsi in strage di voci libere. Pluralismo in pericolo? Il rischio è forte se dovesse essere confermato il taglio dell’80 per cento rispetto a quanto previsto dalla legge sugli aiuti all’editoria entro la fine dell’anno.

Di fronte a questa situazione la Federazione Nazionale della Stampa, i sindacati di categoria, la File, Mediacoop hanno elaborato un documento comune per rivolgersi al governo per segnalare che la riduzione della spesa pubblica non si abbatta su un settore già stravolto dalla crisi economica delle aziende di pubblicità.

La legge del maggio 2012 n.103 è stata un tentativo da parte del legislatore di definire un periodo di transizione in attesa di una compiuta riforma, garantendo un sistema differenziato d’informazione. La continua erosione delle risorse, unitamente alla crisi del modello dell’informazione su carta stampata, ha determinato nel corso di questi anni la chiusura di decine di quotidiani e centinaia di periodici, con gravi ricadute sull’occupazione e sul pluralismo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:05