Politica: nuovo corso a   vocazione minoritaria

Il Patto del Nazareno ha sortito il suo effetto ma esso non si può certo definire positivo.

Non alludiamo alla qualità delle riforme prodotte (molto scarsa) ma al corto circuito generato in un mondo politico che, per effetto degli accordi contratti in materia elettorale oltre che Istituzionale, ha catalizzato il suo processo di decomposizione prendendo una china pericolosa che porta alla polverizzazione dei Partiti attualmente in campo, alla mutazione della geografia degli schieramenti e quindi ad una rischiosa prospettiva di ingovernabilità permanente, naturale conseguenza della frammentazione.

Ognuno immagina scissioni e ritorni al passato: il centrodestra aspira a scindersi in una miriade di partitini neocentristi oltre che in una moltitudine di destre più o meno identitarie.

Stesse manovre sono in programma nello schieramento opposto e vengono frenate solo da mere questioni di calcolo politico che consigliano di non abbandonare mai un partito come il PD che è al governo del Paese oltre che di molte amministrazioni locali.

Ma quanto è utile un partito identitario oggi e soprattutto a chi? Certamente non è utile ai cittadini che con i referendum degli anni novanta avevano espresso chiaramente la volontà (puntualmente disattesa) di aspirare ad un sistema di tipo maggioritario nel quale si potesse scegliere se stare o di qua o di là.

Oggi il Patto del Nazareno ha il demerito di #cambiareverso alla buona prassi di razionalizzare il numero dei Partiti in campo, suscitando gli appetiti di qualche leaderino in cerca di gloria.

Il quale leaderino non comprende che una compagine del 4% ( ma anche dell’8-10%) difficilmente arriverà ad essere determinante a tal punto da poter esprimere un Premier ed andrà a comporre una coalizione eterogenea, raccogliticcia e litigiosa. Un gran casino insomma nel quale i nani politici non sfonderanno mai al centro.

Fossi in loro mi domanderei anche se oggi abbia ancora senso usare parole novecentesche come destra, sinistra e centro.

Certo, sono termini suggestivi, romantici e dal passato glorioso che emozionano persino me ma difficilmente conciliabili con un periodo che, piaccia o no, non ha né tempo né voglia di essere ideologico, fare distinguo, scendere in piazza e che invece chiede di scegliere con semplicità i propri rappresentanti, pregandoli di cincischiare poco, evitare vertici di maggioranza notturni, giochi di palazzo e formule politiche astruse prediligendo uno stile di governo rapido, utile, onesto oltre che efficace.

La gente ha “i cosiddetti” pieni di formule tipo il pentapartito, le convergenze parallele, gli appoggi esterni, le crostate, le mediazioni, i governi balneari e menate simili e non ha voglia di partiti di testimonianza appartenenti ai bei tempi che furono. La gente sopporta a stento il termine militanza ma giusto perché non ha il coraggio di inarcare scetticamente il sopracciglio facendosi una bella risata.

La frammentazione ed il ritorno al passato non piace alle persone comuni e lo avevano per giunta fatto capire a chiare lettere accogliendo con sollievo il frangente in cui Veltroni coniò il suo modello di Partito a vocazione maggioritaria e Berlusconi, con il colpo di teatro del predellino, lo seguì creando il PdL.

A quel punto, l’incapacità di chi oggi è affetto da voglia di ritorno alle origini (e da pruriti separatisti) fu quella di non aver saputo portare le proprie radici in un contenitore più ampio rendendole maggioritarie.

Vero anche che i Partiti a vocazione maggioritaria furono gestiti (nel caso del PD è ancora così e verrà fuori molto presto) così male da esplodere ma la regressione verso un modello a vocazione minoritaria non è certo la risposta giusta alla cattiva gestione. Non furono i grandi contenitori il problema ma la dabbenaggine di coloro che vi erano contenuti.

Un Partito a vocazione minoritaria non ha invece prospettive di sopravvivenza né tantomeno di governo.

E’ un modo come un altro per tirare a campare facendo ostruzionismo, interdizione e un po’ di populismo mentre la risposta giusta sarebbe un grande Partito magari gestito meglio, con dirigenti diversi, con metodi democratici e, perché no, con leader nuovi dotati di idee più chiare e meno logori.

L’intuizione dei grandi contenitori politici fu corretta, la gestione molto meno, l’attuale risposta “di nicchia” al malessere è invece davvero pessima.

Una reazione molto simile a quella che Lorena Bobbit ebbe con suo marito arrecando nocumento allo sventurato ma anche a se stessa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:13