Giustizia e politica,  Vitale sull’Anm

Dopo la “Giornata della Giustizia” organizzata sabato scorso dall’Associazione Nazionale Magistrati, la cerimonia di apertura dell’anno giudiziario 2015, inaugurato ieri nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia a Roma dal primo presidente della Cassazione Giorgio Santacroce, ha esaurito i più recenti appuntamenti del mondo togato. Due eventi ufficialmente messi in relazione per comunità di intenti dalla stessa Anm sabato scorso, sia sul piano del bilancio sia su quello dei problemi. Ma entrambi, come spiega l’avvocato Enzo Vitale del foro di Catania e membro dell’Alta Corte del Tribunale Dreyfus, “segnati da cifre e percentuali e statistiche sui processi, come se le sentenze si contassero un tanto al chilo. Ma non c’è nessuno mai, né in corte d’appello né in Cassazione, che si interroghi sulla necessità di garantire quel minimo tasso di Giustizia che il cittadino chiede”.

Di sicuro i numeri sono stati protagonisti della Giornata della Giustizia, aperta all’insegna dello slogan “I numeri contano più delle parole”. Per “gentile offerta” dell’Anm sabato scorso sono stati aperti i tribunali ai cittadini (ma i cittadini hanno bisogno di essere invitati per entrare nel luogo dove si celebrano i processi ossia si applica la legge in nome del popolo italiano?) con l’obiettivo di rivendicare e sbandierare i dati che dovrebbero certificare l’ impegno, l’operosità, il valore, la lealtà, la passione della categoria contro le ingenerose critiche che, secondo gli esponenti dell’Anm, sviliscono e delegittimano il lavoro della magistratura. I numeri, però, sono stati puntualmente contestati, con altre cifre alla mano, dall’Unione Camere Penali (Ucpi) che, oltre a denunciare una concezione proprietaria della Giustizia da parte delle toghe, ha dimostrato come i dati forniti nella Giornata della Giustizia rispecchino un quadro falso della situazione giudiziaria italiana. E il numero di condanne della Corte di Strasburgo per le violazioni ai danni dei cittadini ne è la prova lampante.

È andata in onda, in sostanza, una guerra di cifre in cui l’Ucpi ha inserito, tra gli altri, i dati sul controllo sulla responsabilità dei magistrati, il numero delle riforme delle sentenze in primo grado, quello dei risarcimenti che lo Stato ogni anno paga per gli indennizzi alle vittime degli errori giudiziari, il frequentissimo ricorso alla magistratura onoraria, reale risorsa che concorre all’ottenimento (dunque falsato) di quella produttività di cui l’Anm si vanta agli occhi dei cittadini. Una giornata, quella di sabato scorso, quindi, volta ad una sorta di “captatio benevolentiae” nei confronti dei cittadini e l’ennesima prova che, dietro quell’intento di rilanciare il senso e il valore della giurisdizione, assicurare il programma di legalità e restituire efficienza al sistema giudiziario, l’obiettivo reale del sindacato dei magistrati è di ottenere un peso politico sempre maggiore nella società italiana, di cui cerca il plauso ed il consenso che fu di altre stagioni. Impossibile fuggire dalla sensazione che quella dell’apertura dei tribunali e della disponibilità dei magistrati alle domande del pubblico non sia un’operazione di marketing per spianare la strada alla raccolta dei consensi. Il tutto rivolto ad ottenere una riforma della Giustizia contrassegnata da una legislazione anti corruzione sempre più emergenziale mutuata dalla legislazione antimafia destinata a trasformare lo stato di diritto in stato di polizia al servizio dei magistrati, dall’irrobustimento del potere politico dei magistrati decisi ad allungare i termini di prescrizione per poter portare processi all’infinito e consentire a se stessi un dominio assoluto sulla società italiana.

L’avvocato Enzo Vitale non usa mezze misure nel commentare l’anomalia che sul versante giudiziario attanaglia l’Italia. E alle lodi che l’Anm intesse a se stessa replica con sguardo attento al tracollo effettivo della situazione italiana: “Sono molto radicale nella mia analisi. Per comprendere il quadro della Giustizia italiana bisogna ricordare che la parola magistratura è termine che in Inghilterra non può essere tradotto. Esiste soltanto quello di giudice. Questo per dire che è folle e preoccupante che esista un’organizzazione che ha una sua soggettività e peso politico ed esercita prerogative che non dovrebbe esercitare”. E sulle prerogative che spetterebbero alla magistratura per ricondurre il quadro della Giustizia italiana alla normalità ha idee altrettanto chiare. “L’Anm - sostiene Vitale- dovrebbe avere soltanto un ruolo di sindacato, esattamente com’era cinquant’anni fa quando si occupava di contrattazione e rivendicazioni contrattuali su stipendi, questioni interne, pensioni, promozioni, carriere. Ed il Consiglio superiore della magistratura (Csm) poi adottava le delibere in materia”.

É indiscutibile che durante la stessa Giornata della Giustizia, l’Anm abbia dimostrato ancora una volta la determinazione di oltrepassare i confini del confronto e della discussione su problemi organizzativi per entrare nel merito della riforma del processo penale e civile. Tutt’altro, insomma, che una giornata di reazione alla presunta banalizzazione, alla riduzione a slogan dei problemi della realtà giurisdizionale e al presunto vulnus inferto alla serietà e alla concretezza della magistratura. E che la magistratura stia vivendo la sua parabola discendente certificata dalla crescente disaffezione dei cittadini non ha esitato a rilevarlo anche il procuratore generale Giorgio Santacroce proprio all’inaugurazione dell’anno giudiziario. I motivi strettamente collegati al protagonismo mediatico di molti Pm, alla lentezza dei processi, allo stato dei detenuti, vanno ricercati nel ruolo politico della magistratura.“Ormai - spiega Vitale - l’Anm si è trasformata in un soggetto politico dotato di sue prerogative e capacità di interlocuzione ed orientamento nei confronti del Consiglio dei ministri, degli altri soggetti istituzionali e del parlamento. E il dato gravissimo è che nella maggior parte dei casi questa interlocuzione viene accettata. Si dovrebbe avere il coraggio di dire: “Ma chi è l’Anm?” ”. Un’ipotesi di lavoro forte e di rottura violenta visto anche l’attuale quadro politico in cui addirittura un ministro ombra come Nicola Gratteri illustra la sua riforma. Insomma “Al processo di definizione ed elaborazione delle leggi - insiste Vitale - non dovrebbe mai prender parte chi le leggi le deve poi applicare mentre in Italia ormai accade ed è gravissimo”.

Toni radicali anche in merito al progressivo affievolimento delle associazioni dell’Avvocatura in generale, fatta eccezione per Ucpi unica voce ad incalzare in modo serrato l’Anm: “L’Avvocatura come tale non esiste - dice Vitale - non riesce ad avere un ruolo ed una soggettività politica paragonabile a quello dell’Anm, interviene in modo rapsodico, poco continuativo”. Ma il punto per Vitale è ben altro: “Insisto, non ci sarebbe bisogno alcuno di ipotizzare un ruolo politico della difesa di coloro che hanno a che fare con la legge se i soggetti che applicano la legge non lo avessero e ricercassero come accade ora in Italia. Ed è una situazione molto chiara sia a livello di Csm dove si proiettano su un piano istituzionale i giochi di potere interni all’Anm, sia all’interno della stessa Anm”. Non c’è spazio per soluzioni mediane: “Si dovrebbe seriamente pensare all’abolizione delle correnti dei magistrati, vero cancro interno alla magistratura che erode l’imparzialità e la necessaria indifferenza che il giudice deve avere. Non sono certo le correnti a garantire la libertà di pensiero, come la vulgata e le rivendicazioni della magistratura sostengono. L’esercizio della libertà di pensiero si esercita attraverso i libri, i convegni, le manifestazioni di piazza. Le correnti assolvono all’unico compito di consentire la gestione dell’organizzazione giudiziaria ed esercitare l’influenza sulla giurisdizione in modo da inviare nei posti vacanti di Procuratore della Repubblica l’esponente che meglio viene espresso da gioco correntizio e che non è assolutamente detto che sia il più meritevole o capace. Ma così la giurisdizione diventa l’espressione di questi giochi di potere”.

Azzerare l’attuale anomalia italiana sembra impensabile tanto più se si fotografa ciò che sta accadendo sul fronte della riforma giudiziaria nel cui ambito Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e presidente della Commissione nazionale per la revisione della normativa antimafia, (voluto da Matteo Renzi ad occuparsi di Giustizia) scavalca di fatto il guardasigilli Andrea Orlando, su una materia che è di sua competenza, e annuncia di aver pronta la sua riforma della Giustizia in cui prevede “l’innalzamento delle misure per 416 bis dai 5 anni attuali a una pena tra i 20 e i 30 anni di carcere” o “di utilizzare gli agenti sotto copertura, come per il traffico di droga e di armi, per smascherare i reati contro la pubblica amministrazione”. Tutte misure che, come denunciato dall’Ucpi, rispondono a “logiche repressive autoritarie ed illiberali all’interno dell’intero sistema processuale e di cui denunciano l’applicazione erosiva ed indistinta a tutti i diversi aspetti dell’illecito”. A proposito della proposta di Gratteri sulla cosiddetta richiesta di abolizione del grado di appello, “Gratteri - spiega Vitale - di fatto vorrebbe la “reformatio in peius”, la possibilità del giudice di appello di poter riformare la sentenza di primo grado irrogando una pena o una misura peggiori delle precedenti. Giustamente c’è il divieto di ricorrervi, introdurlo ha l’unico obiettivo di scoraggiare il ricorso in secondo grado di giudizio, che esporrebbe i ricorrenti al rischio di vedersi comminate in appello pene superiori a quelle del primo grado. E questo è un modo per velocizzare i processi? Ripeto, nessuno si preoccupa della Giustizia. Se il processo fosse giusto sarebbe veloce, i processi sono lenti perché ingiusti”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:37