Radicali, non ci credo

Sostiene Buffa che gli italiani non credono più nemmeno alla politica sacrosanta dei Radicali. Mentre un ex segretario Pr ha chiesto la chiusura della galassia pannelliana, Vecellio, radicale tutto d’un pezzo ed insieme giornalista Rai, sostiene che la colpa è l’assenza di spazi Tv per le sorti progressive di Marco ed Emma. Sottintende che se non fosse per la loro assenza dai talk show, ben altri sarebbero i risultati. E confida sui 60 anni del Pr, sugli 85 del leader e sui 90 del presidente uscente, amico last minute.

L’Opinione è un giornale generoso di una comunità di persone di vaste vedute. Negli anni non ha mai mancato la più grande e positiva attenzione ai radicali, sostenendo anche la nomina a senatore a vita del loro leader. Per quanto sia possibile ricordare, i pochi articoli del giornale, critici e satirici verso i radicali, sono attribuibili solo al poco rispetto del sottoscritto (il che rafforza in modo ancora più vasto l’apertura di cui sopra). L’atteggiamento del gruppo di Diaconale non è affatto isolato. Tranne che nei settori più clericali, è invece stato molto comune nel vasto mondo dell’armata bianca di destra (inclusa l’anima nazionalista) che accomuna chi non ama il politicamente corretto. Prova ne è che al vertice dei gruppi di destra è consueto trovare esponenti laici ed ex radicali. Le destre, in bilico tra rispetto istituzionale, libertà individuale ed omaggio alla cultura ed al genio solitario, hanno amato più che i radicali, il loro mito di ira iconoclasta contro le illiberalità. E hanno perdonato loro tante contraddizioni, a cominciare dall’oscuramento dell’origine di piccola componente liberale.

Hanno fatto finta di niente se i radicali si facevano paladini di liberismo ma volevano chiamarsi a tutti i costi compagni di sinistra. Se usavano il termine fascista nel senso storico imposto dal Pci e eredi. Se difendevano solo le vittime per eccellenza, i drogati degli anni ’70, proprio come fa oggi la Boldrini nell’esaltazione degli immigrati. Se si dicevano paladini di democrazia, senza dare alcun valore alle maggioranze degli oscuri cittadini. Se strappavano spazio, un sorriso, una copertina gossip ante litteram con motivazioni globetrotter sulla vittima giudiziaria, il cattivo maestro terrorista o la pornostar. Erano divertenti e facevano detente, anche quando da mosche corriere si assegnavano i meriti dei compagni di strada una volta laici, un’altra cattolica o si inventavano ruoli arbitrali tra vittima e carnefice. Erano la buona coscienza del tempo della guerra fredda, che urlava al lupo, recintato oltre il muro. Poi, negli ultimi decenni, quest’attenzione positiva e affettuosa si è fata disilluisione.

Proprio quando c’era bisogno sul serio di quell’ira iconoclasta perché il lupo era stato liberato. Di fronte a nazionalismi stranieri ed apparati che decidevano con la forza chi dovesse comandare, i radicali se ne uscivano con il sostegno all’uomo più clericale del paese che pure Fellini aveva preso in giro; magari auguravano la galera agli amici di una vita, quelli che li avevano aiutato a crearsi un proprio spazio, pagato come gli altri, dall’inclito pubblico. Le partite Iva e i piccoli imprenditori, nel caos totale, si risolgevano fiduciosi a Torre argentina per poi scoprire che ogni volta quelli che erano stati gli iconoclasti dell’antifascismo di regime, erano divenuti ferrei alleati dell’Anpi e dintorni. E mettevano in campo ad ogni elezione, i peggiori mercati delle vacche, come nemmeno ai tempi più tristi Dc, con un po’ di amici garantiti a destra, un po’ a sinistra, tutti con l’unica missione di mantenere in piedi il partito più azienda in circolazione, con un pugno di iscritti, un nutrito call center e la pubblicazione continua ed ininterrotta di libri e riviste patinate da far concorrenza all’inutile editoria propagandista della Commissione europea. Antiberlusconiani negli anni del facile antiberlusconismo di massa e di piazza, antislavi negli anni del massacro mediatico e bellico dei popoli impossibilitati a difendersi, quelli che erano passati per coraggiosi, erano ormai degli habituè del massacro dell’uomo morto.

Dell’adulazione per il più trasformista dei loro fuoriusciti e del pogrom mediatico contro il più coerente. Fino a partecipare, da sepolcri imbiancati in una nuova corte di Marie Antoniette, al governo meno democratico e più cattivo con gli ultimi e le donne, ripetendo il voltafaccia di 20 anni prima. Ora che c’erano devastanti repressioni antimafia, anticorruzione, anti libertà sessuali, erano scomparse le vecchie lotte corpo a corpo di un tempo contro gli apparati. Invece di digiunare davanti alle case dei golpisti autorizzati, i goliardi di ieri facevano a gara in moralismo con Anpi e l’Esercito di salvezza. Così con tutta la buona voglia e la predisposizione, quasi tutti i possibili simpatizzati hanno dovuto ammettere a se stessi proprio il contrario dell’idea del bravo Buffa. Che ai radicali proprio non si può credere non perché non affidabili, ma per il contrario, di essere affidabilissimi nei confronti dei poteri forti, quelli che Marco un tempo diceva di combattere. L’uomo che sputò veleno su Leone e Cossiga, oggi in un vero pezzo d’autore fantastico, converge immaginosamente con l’ex Presidente, vero pezzo di breznevismo sopravvissuto cinicamente a tutto, dai Guf a Togliatti a Craxi fino agli scout di Obama. D’altronde anche Voltaire amava parlare del Candido più a Caterina che ai candidi Rezin e Pugacev.

Il mito ed il trust di un tempo sono evaporati da tempo. Gli amici, tra cui l’Opinione, sono stati tutti traditi ed ignorati. Per recuperare il senso vero del radicalismo, la cosa migliore è oggi seguire l’opinione degli italiani e chiudere, ma sul serio, il Pr ed il suo strano Comintern d’antan. E’ solo d’altronde questione di tempo. Potrà risorgere solo grazie a genuini e sparuti gruppi, simili a quelli già oggi capaci di prendere 10 volte i voti radicali, a destra come a sinistra, senza lavoro da offrire, senza spazio mediatico e senza amici in Rai.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:57