Vietare il burqa

E’ necessario si intensifichino in Italia le ordinanze municipali, come è successo già a Novara prima e Varese adesso, con cui si dispone la proibizione del burqa con sanzioni amministrative in quanto si tratta di “usanze che contrastano con la storia, le leggi e il comune sentire del nostro Paese”, volte a impedire la dissimulazione del viso in luoghi pubblici o aperti al pubblico.

A Varese la mozione è passata con 20 sì di Lega nord, Forza Italia, Udc e Ncd, mentre Partito democratico e Movimento 5 Stelle si sono astenuti e Sinistra ecologia e libertà ha espresso voto contrario. In Francia, nel 2010, il Parlamento ha approvato il divieto del velo islamico in tutti i luoghi pubblici del territorio nazionale e nel 2014 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dichiarato che ciò non lede la libertà di religione. Nel settembre 2013 il cantone svizzero di lingua italiana ha costituito la prima regione che, in seguito a votazione popolare, ha vietato la dissimulazione del viso nei luoghi pubblici e nel novembre 2014 il consiglio federale svizzero ha approvato il suo inserimento nella costituzione cantonale ticinese. Oltre al codice penale, in Italia l’art. 5 della Legge n.152 del 1975 e la successiva Legge n.155 del 2005 relativa alle norme di pubblica sicurezza stabilisce che “è vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. È in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino."

Si fa cioè genericamente rientrare nella clausola di “senza giustificato motivo” circolare indossando un niqab, un burqa, o un altro tipo di velo islamico che ricopra il viso di chiunque, uomo o donna che sia. La ratio legis delle norme è individuata cioè nella necessaria tutela dell’ordine pubblico, ovvero specificamente nell’esigenza collettiva di evitare che l'utilizzo di veli, protezioni e caschi o altri sistemi di copertura fisica possano evitare il riconoscimento da parte di tutti. L’utilizzo cioè di mezzi potenzialmente idonei a rendere difficoltoso il riconoscimento è vietato. Il velo che copre il volto di chicchessia, nel nostro sistema, deve rientrare in un utilizzo che comporta l’impossibilità di un chiaro riconoscimento, pertanto deve essere sanzionato.

Al di là dell’ attuazione di tradizioni di determinate popolazioni e culture, o di giudizi di merito sull’utilizzo del velo, che si tratti di un simbolo culturale, religioso, o di altra natura o meno, sia che sua o meno volontario il suo utilizzo, nell’ambito e sul territorio di pertinenza occidentale, cioè, nel nostro caso, sul territorio italiano, sotto il profilo giuridico si tratta e si è in presenza di un mezzo finalizzato a impedire senza giustificato motivo il legittimo riconoscimento. Le esigenze di pubblica sicurezza non possono cioè essere ritenute soddisfatte dal capo o dal volto coperto di qualsivoglia individuo, poiché ne impedisce l’identificazione. E’ necessario cioè porre in essere il generale divieto di circolare in pubblico indossando impedimenti, da stabilire con norma di legge che lo specifichi. Descrivendo bene con legge ciò che ci contraddistingue e identifica, cioè con regole e sanzioni chiare ciò che offende il nostro comune sentire dettato da nostri usi e costumi, tra l’altro, cancelliamo il burqa simbolo evidente della privazione della libertà e dell’asservimento delle donne tipico di società primordiali.

Potere vedere solamente attraverso una finestrella all'altezza degli occhi o addirittura che rimane coperta da una sorta di mascherina come avviene nel cosiddetto bandar burqa è il chiaro segno della negazione della persona, nel caso specifico donna. L'obbligo di indossare il burqa è peraltro conseguenza distorta di tradizioni locali, travisate e imbestialite dal regime talebano. Il burqa era stato introdotto infatti in Afghanistan all'inizio del 1890 durante il regno di Habibullah Kalakani, che lo aveva imposto alle sue duecento donne del suo harem, in modo tale da non indurre in tentazione gli uomini quando esse si fossero trovate fuori dalla residenza reale; è stato quindi dapprima ritenuto un capo per le donne “protette”, da usare contro gli sguardi del popolo, essendo divenuto poi, fino agli anni 1950, prerogativa dei più abbienti, diffondendosi nel Paese.

Gli stessi ceti elevati hanno iniziato tuttavia presto a non farne più uso, divenuto nel frattempo un capo dei ceti poveri. Nel 1961 nello stesso Afghanistan è stata proclamata una legge che ne ha vietato l'uso alle pubbliche dipendenti. Non si poteva lavorare a volto coperto, o velati. (Italia impara!) Solo durante la guerra civile, instaurato il regime islamico del terrore, la totalità delle donne è stata costretta ad indossarlo, sino al divieto assoluto pena la morte di mostrare il volto imposto a tutte le donne dal successivo regime teocratico dei talebani. Quando la religione si fa Stato, succede il peggio. E le religioni in genere si accaniscono sempre efferatamente sulle donne.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:25