Il “sistema giustizia” è giunto al collasso

mercoledì 28 gennaio 2015


Dalla recente inaugurazione dell’anno giudiziario emerge, ancora una volta, la condizione disastrosa nella quale versa la giustizia nel nostro paese. I dati della Corte d’Appello di Messina sono disarmanti. Risulta che in media ogni giudice del Tribunale di Messina (nella foto) ha tra le 1600 e le 1900 cause sul ruolo e che le cancellerie sono ormai al collasso, con la conseguente paralisi degli uffici giudiziari ed il blocco dei processi civili e penali.

Questa condizione venutasi a creare a Messina, così come nel resto del Paese, è frutto, sostanzialmente, della carenza di magistrati e di cancellieri. L’analisi ed il resoconto anche degli altri distretti di Corte D’Appello, a mio avviso, conferma l’inutilità delle, più o meno recenti, riforme del Codice di Procedura civile. Considerati i risultati ottenuti, le riforme sino ad ora varate non sono state certamente risolutive della cronica lentezza del sistema giudiziario italiano. Questo dato allarmante concorre alla stagnazione economica del Paese, perché ogni attività imprenditoriale necessita di tempi di avvio e consolidamento che passano anche attraverso il funzionamento del sistema giudiziario.

Ritengo che buona parte della responsabilità sia da imputare alla proliferazione di norme tampone ed emergenziali, anche quando non erano veramente necessarie. Ciò ha stravolto l’originaria struttura del Codice di Procedura civile. Infatti, dal punto di vista strettamente processuale, il legislatore, dopo aver avviato una fallimentare (infatti abrogata) riforma del processo civile, improntata su quella societaria, continua a far danni al vecchio (ma ancora valido) impianto del codice di rito, con norme a modifica o integrazione che spesso entrano in conflitto con quelle preesistenti. Logica vuole che prima si aumentino il numero dei magistrati e, poi, se necessario, si provveda a varare un’articolata riforma.

E’ vero che il c.p.c., pensato negli anni Quaranta, è stato messo in crisi dall’aumento esponenziale del contenzioso rispetto al passato. Infatti, quando il numero di cause assegnate al magistrato era “normale”, le sentenze di primo grado, venivano emesse mediamente in un anno. Oggi un magistrato ha 1000 giudizi sul ruolo e ciò non può che portare a sentenze emesse in media dopo tre/cinque anni. Ma la soluzione per garantire una giustizia tempestiva non è, come sino ad oggi ha ritenuto il legislatore, e come i dati dimostrano, la modifica del codice di rito attuata, oltretutto, senza tener conto dell’unitarietà dell’impianto su cui è stato strutturato.

A ciò si aggiunga che con gran risonanza mediatica, si è annunciato l’avvio del processo telematico come strumento in grado di risolvere tutti i problemi del sistema giudiziario. Pur condividendo il senso della riforma, anche questa volta, il legislatore non ha tenuto in considerazione le istanze dell’avvocatura e le richieste della amministrazione giudiziaria che chiedevano più partecipazione al fine di poter contribuire con l’esperienza maturata.

Se la tempistica prevista (marzo 2015) verrà rispettata, il processo telematico porterà allo stallo della macchina giudiziaria; conseguenza gravissima, già verificatasi. E’ ormai assodato, che le cancellerie dei vari tribunali non sono ancora pronte ad affrontare le innovazioni necessarie al funzionamento del sistema telematico e non hanno neppure i mezzi adeguati. Come al solito, poi, questo comporta il dilatarsi dei tempi di giustizia ed il rafforzarsi, nel cittadino, della convinzione che lo Stato è assente. In questo contesto, l’avvocatura è, ormai, diventata “cuscinetto” tra l’inefficienza dei Tribunali e la sete di giustizia dell’assistito, una funzione sociale svolta con pazienza, ma che non le compete e sottrae tempo ed energie.

Ormai, molti avvocati sono convinti che è meglio una sentenza tempestiva, seppur sbagliata, anziché una sentenza corretta, ma resa dopo venti anni (considerati i tre gradi di giudizio). Nell’ambito civilistico nessun torto subito è ristorabile dopo troppi anni; la sentenza, pur se giusta, perde, con il trascorrere del tempo, di valore e significato sociale, ed il magistrato, svilito nella funzione, è cosciente che ha reso una sentenza inutile, con costi eccessivi per il cittadino e la collettività (gli onorari da corrispondere all’avvocato; le spese di lite e giudiziarie da affrontare - di recente aumentate nuovamente, tanto da configurarsi una ipotesi di violazione del diritto costituzionale alla difesa - e i costi di funzionamento degli uffici giudiziari).

La giustizia è al collasso e l’economia del Paese ne è travolta.

Ormai, in Italia nessun cittadino che abbia disponibilità economica avvia una impresa; quelle già esistenti sono alle prese con crediti non più riscuotibili di fatto (ed a volte rinunciano), perché sanno che rivolgendosi al giudice passano anche anni per avere giustizia e, nel frattempo, il debitore è sparito. Chi ha un patrimonio immobiliare da locare oggi lo dismette pur di non aver a che fare con il conduttore moroso e con procedure di sfratto, con tempi biblici di rilascio dell’immobile (anche per carenza di ufficiali giudiziari).

E se pensiamo di attrarre investitori stranieri possiamo dimenticarcelo. Uno dei fattori che determinano le grandi multinazionali ad investire in un paese, è il tempo necessario alla risoluzione delle controversie e l’Italia è fortemente sconsigliata dagli analisti economici. I capitali stranieri, per rilanciare la nostra economia stagnante, non arriveranno finché non si adeguerà il funzionamento del sistema giudiziario alla tempistica dell’utile d’impresa. Questo adeguamento è raggiungibile, in condizioni politiche ed economiche non di emergenza, con una rivoluzione democratica che richiede del tempo e la capacità del legislatore di mediare tra istanze contrapposte, spogliandosi da ogni appartenenza politica, per pensare esclusivamente al bene del paese. Ci vuole pazienza e figure carismatiche in grado di compiere, senza pregiudizi, una raccolta di opinioni, istanze, bisogni, denunzie, proposte, da parte di tutta la società (cittadino, famiglie, imprese, per passare alle categorie più specifiche: avvocati, magistrati, cancellieri, ecc.), per poi varare una riforma articolata di tutto il sistema giudiziario.

Nell’immediato questo è impossibile perché non abbiamo a disposizione quel tempo necessario e la contrapposizione politica rallenta ulteriormente ogni cambiamento radicale, offuscando le figure in grado di portare il paese fuori dalla crisi. Alcune correnti interne alla magistratura si comportano come partiti politici, ostacolando il dialogo, e l’opinione dell’avvocatura è quasi ignorata. Non resta allora che intervenire con l’immediata abrogazione delle modifiche apportate negli ultimi anni al codice di procedura civile, applicando (con maggiore gradualità) il processo telematico; raddoppiare il numero del personale degli uffici giudiziari e dei magistrati, individuando un sistema di accesso diverso dal “classico” concorso che, per quanto necessario in uno stato di diritto, comporta, per la condizione di emergenza in cui versa il paese, tempi troppo lunghi di espletamento.

A questa analisi verrà, come sempre, sollevata l’eccezione, prevedibile e non vera, che mancano i fondi. Lo sosterrà una parte della magistratura, dei partiti politici e delle lobby che non hanno interesse alla rinascita del Paese.


di Fabrizio Cristadoro