Dove è il pluralismo?

mercoledì 28 gennaio 2015


Il pluralismo e la libertà di espressione sono valori fondamentali, ed ogni Paese democratico dovrebbe tutelarli con tutto l’impegno necessario. Questo in un meraviglioso mondo immaginario, assai lontano da quello reale. Il pluralismo “non fa audience”, ergo non se ne parla quasi mai e l’assordante silenzio viene soltanto raramente interrotto da casi di cronaca così “imbarazzanti” da risvegliare dal torpore l’opinione pubblica. Ma si tratta di fenomeni rari e di breve durata. In questo scenario però a livello europeo è stato messo in campo un importante progetto.

Pochi giorni fa il Centro per il Pluralismo e le Libertà dei Media (CMPF) dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze, diretto da Pier Luigi Parcu, ha pubblicato i risultati del primo anno del “Media Pluralism Monitor”. L’MPM ­ è un progetto che affonda le proprie radici nel 2007. In quell’anno, in risposta alle crescenti preoccupazioni manifestate dal Parlamento Europeo per questioni legate all’alta concentrazione del settore media, Viviane Reding, Commissaria per i Media e la Società dell'Informazione e Cecilia Malmstrom, Ministra per gli Affari Europei nel Governo Reinfeldt, promossero il ‘3 step approach’ nell’intento di garantire una maggiore tutela del pluralismo. A seguito di un primo documento di lavoro, fu messo a punto uno studio sugli indicatori per misurare il livello di pluralismo nei media dei Paesi dell’Unione.

L’Università di Leuven, capofila del progetto, nel 2009 identificò ben 166 indicatori, suddivisi in 3 categorie (legali, economici, socio politici), per 6 aree di rischio. Le critiche arrivarono a pioggia, soprattutto per la difficile applicazione di un smile strumento, e la questione finì su un binario morto. Alla fine del 2013, la Commissione ha affidato al CMPF l’applicazione del monitor – previa semplificazione dello stesso – attraverso uno studio pilota su 9 Paesi: Italia, Francia, Regno Unito, Danimarca, Belgio, Estonia, Bulgaria, Ungheria, Grecia. Gli indicatori sono stati ridotti da 166 a 34. Al loro interno ne sono stati introdotti alcuni per la valutazione del pluralismo in internet e della net neutrality. La rielaborazione ha fatto sì che gli indicatori diventassero applicabili, rilevanti e misurabili, con una validità cross-country. Il monitor è un facile strumento di lettura: congegnato come un semaforo offre una diagnosi e non una cura.

I tre colori, verde, giallo e rosso, identificano situazioni a rischio basso, medio o alto. A livello aggregato i dati hanno mostrato una situazione di rischio medio/alto, così come per quanto riguarda l’Italia nello specifico. Gli indicatori legali mostrano che esistono (sulla carta) leggi a tutela di pluralismo e libertà di espressione, ma che queste leggi spesso non sono implementate (e quindi la salvaguardia è più teorica che pratica). Il quadro è a tinte fosche se ci si imbatte in questioni come la concentrazione proprietaria dei media o la cross ownership di televisioni ed altri media, o peggio ancora se si toccano nervi scoperti come la trasparenza sulla proprietà e il controllo dei media….a tal riguardo per legge queste informazioni dovrebbero essere accessibili al pubblico, ma… Ad esempio il registro degli operatori di comunicazione (ROC) dell’Agcom, è solo parzialmente consultabile… Altro punto dolente sta nelle modalità di composizione del CdA Rai.

Esso riflette la situazione politica del momento. Inoltre (a parte una chiara lottizzazione), uno dei suoi membri è un rappresentante del Governo e questo può essere interpretato come un limite evidente all’indipendenza del servizio pubblico. Quello che emerge è un quadro poco chiaro, pieno di ombre e di leggi che spesso non vengono rispettate o per il cui mancato rispetto non esiste una sanzione certa. Leggendo il rapporto, disponibile all’indirizzo http://monitor.cmpf.eui.eu/news/cmpf-publishes-mpm2014-report/ emergono situazioni ben più complesse della nostra. Non è chiaro il tipo di intervento che verrà messo in campo per contrastare situazioni ad alto rischio, resta l’indiscussa rilevanza che il progetto ha come “watchdog” per la tutela del pluralismo, e quindi della democrazia in Europa. Nel corso del 2015 il progetto, ulteriormente messo a punto, verrà applicato agli altri 19 stati membri.


di Elena D’Alessandri