Dallo Stato-Mafia alla Mafia-Stato

giovedì 5 febbraio 2015


Con Mattarella l’Italia viene risucchiata all’indietro, fino ai piccoli borghi di Castellamare e di Alcamo nella Sicilia di Bernardo Mattarella e Maria Buccellato Rimi, papà e mamma dell’attuale Presidente Sergio. Non è un bene per l’Italia che si trascini, riproponendola, l’eredità siciliana più cupa. Sarebbe stato preferibile guardare avanti e non riesumare un passato scomodo che è bene però conoscere, anche per sapere di cosa “ringraziare” Renzi.

Il papà dell’attuale presidente Sergio, Bernardo Mattarella, ministro democristiano con De Gasperi tra i fondatori della Democrazia cristiana, in un’intervista pubblicata da Repubblica il 10 agosto 1982, è chiamato in causa dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa che collega l’uccisione del figlio Piersanti Mattarella, presidente della Regione assassinato nel 1980, alla vicenda paterna. “Come è potuto accadere - chiese allora Giorgio Bocca al generale Dalla Chiesa - che il figlio di Bernardo Mattarella sia stato ucciso dalla mafia?” “E’ accaduto questo, che il figlio, certamente al corrente di qualche ombra avanzata nei confronti del padre, ha voluto che la sua attività politica come amministratore pubblico fosse esente da qualsiasi riserva. E quando ha dato la chiara dimostrazione di mettere in pratica questo intento, ha trovato il piombo mafioso, il caso Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi, anche nella Dc aveva più di un nemico”.

Utile riferire, a ritroso nel tempo, che nel 1933, il papà di Sergio, Bernardo Mattarella ha sposato Maria Buccellato Rimi, un cognome che appartiene alla storica famiglia della mafia di Castellammare. Il boss locale si chiamava Antonino Buccellato e aveva sposato Antonina Rimi, figlia di Vincenzo e sorella di Filippo, indicati dagli investigatori quali capi mandamento di Alcamo e ritenuti tra i primi ad avere rapporti diretti con la politica. Nel libro ‘’Fra diavolo e il governo nero: doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra’’ pubblicato nel 1998, lo storico Giuseppe Casarrubea scrive: ‘’Mattarella non nascondeva la sua protezione per Vincenzo Rimi, vissuto da sempre all’ombra della Dc e considerato l’architrave dell’ edificio mafioso nella provincia di Trapani’’.

Al processo per la strage di Portella della Ginestra, Bernardo Mattarella fu accusato direttamente da Gaspare Pisciotta di essere implicato nella strage. Le accuse di Pisciotta furono riportate nella relazione della commissione antimafia firmata negli anni Settanta dal deputato Beppe Niccolai, lavoro che Leonardo Sciascia in un’intervista definì “una cosa seria”. “Gaspare Pisciotta – era scritto nella relazione – fu arrestato il 9 dicembre del 1950 e nel processo che si tenne a Viterbo, per la strage di Portella delle Ginestre, ammise di avere ucciso Giuliano nel sonno; dichiarò che l’incarico gli era stato affidato personalmente dal ministro dell’Interno, il democristiano siciliano Mario Scelba e che la strage di Portella delle Ginestre era stata ordinata dal democristiano Bernardo Mattarella e dai monarchici Alliata di Montereale e Cusumano Geloso’’. Mattarella, Alliata di Montereale e Cusumano Geloso furono prosciolti in istruttoria. Pisciotta fu condannato per la strage di Portella delle Ginestre e il 9 febbraio del 1954 veniva assassinato in carcere con caffè avvelenato.

Nel 1965 il sociologo Danilo Dolci accusò Bernardo Mattarella di collusioni con la mafia, in un dossier poi riprodotto nel libro ”Chi gioca solo” del 1966. Mattarella lo querelò, e dopo un dibattimento durato due anni, Dolci fu condannato per diffamazione a due anni di reclusione, che non scontò per effetto dell’indulto approvato l’anno precedente. Scrive lo storico Casarrubea ‘’Mattarella non aveva avuto ugualmente partita vinta, se è vero che non era entrato più a far parte del terzo governo Moro, nonostante fosse stato in precedenza ministro dell’Agricoltura e per il Commercio, nel primo governo Leone e nel secondo governo Moro’’. In anni più recenti, precisamente nel 1992 è stato l’allora Guardasigilli Claudio Martelli a parlare di Bernardo, all’epoca defunto, con reazione di Sergio Mattarella.

“Bernardo Mattarella – disse l’allora ministro – secondo gli atti della Commissione antimafia e secondo Pio La Torre, fu il leader politico che traghettò la mafia siciliana dal fascismo, dalla monarchia e dal separatismo, verso la Dc’’. ‘’Può darsi, come molti affermano, che il figlio Piersanti si sia riscattato da quella storia familiare e che per questo sia caduto”. Sergio Mattarella rispose “Martelli la deve smettere con questa incivile abitudine di insultare le persone morte da tempo; questo attiene non alla politica ma soltanto alla educazione e alle basi elementari della convivenza civile ed umana.

E poi, le sue, sono tutte menzogne. Mio padre fu notoriamente antifascista, contro la mafia che era monarchica e separatista. Fu repubblicano e fu il principale avversario del separatismo in Sicilia’’. Duro il giudizio di Claudio Martelli ancora oggi sul nuovo presidente della Repubblica. Martelli quando era ministro della giustizia nel governo Andreotti disse "Mattarella non è tra i morti che hanno combattuto la mafia a viso aperto e non può essere paragonato a chi è caduto mentre era in guerra con le cosche". Successivamente ha detto "Intervenni dopo a pochi giorni dall' omicidio Lima, perché nella Dc si stava facendo spazio questa sorta di accostamento poco giudizioso tra la morte di Salvo Lima e le altre vittime della mafia. Non vi fu nessuna aggressione alla memoria di Piersanti né alla famiglia. Mi concentrai su una distinzione netta tra Piersanti Mattarella e La Torre. Il primo aveva combattuto la mafia contrastando il sistema di potere all' interno del suo partito, Lima, Gioia, Ciancimino, e per questo forse fu ucciso.

La Torre, no, la sua fu una battaglia dura, netta, contro Cosa nostra e i suoi legami politici". Più di recente Martelli ha detto "Non mi sono mai inventato accuse nei confronti di Bernardo Mattarella. Le cose che dissi all' epoca le presi dalla relazione di minoranza presentata dal Pci in Antimafia e firmata da Pio La Torre". Il giudizio dell'ex ministro della giustizia su Mattarella oggi è " È un uomo che merita rispetto. Quella foto del 6 gennaio 1980 è l' immagine di un dolore indicibile, instancabile, che non passa mai. È una sorta di battesimo, una vocazione originaria. Ma la santificazione no, non mi piace. Aspettiamo. Sergio Mattarella è stato un uomo di partito, di corrente, di polemiche aspre. È stato l' uomo che all' indomani del ribaltone che defenestra Romano Prodi diventa il vicepresidente del Consiglio con D' Alema. E anche quelle dimissioni dal governo sulla legge Mammì, aspetterei a leggerle come una scelta ideale, diciamo che furono ordini di corrente ai quali Mattarella e altri ministri ubbidirono.

L’ex direttore di Radio Radicale Massimo Bordin ha scritto “Un Mattarella al Quirinale sarebbe il trionfo dell'antimafia, dei pataccari e dei mafiosi”. “Almeno si sappia che incolpevolmente rappresenta questa storia familiare e politica. Molto più tragica e grave di un carrello dell’Ikea o di un processo per truffa”. Nella storia dei Mattarella, la mafia e l’antimafia si intrecciano inesorabilmente. Avere portato questa storia al Quirinale non è stato davvero il massimo della vita. Sergio Mattarella, di fronte a cotanta parentela, sarà il figlio cui niente si fa sapere, di lui si ricordano le dimissioni da ministro dell’istruzione nel 1990 in opposizione alla legge Mammì che era tuttavia nel programma del governo di cui Matterella stesso faceva parte e che passò con i voti di tutta la maggioranza, compresa la sinistra democristiana cioè di Sergio Mattarella e, prima e dopo la tragedia che vide vittima il fratello Piersanti, di mafia si è occupato poco salvo creare e sponsorizzare la candidatura di Leoluca Orlando Cascio, altro figlio di sospetto storico mafioso, a sindaco di Palermo in quota alla corrente della Dc anti-andreottiana e anti-Ciancimino e Lima, il politico che più apertamente ha attaccato Giovanni Falcone.

Orlando, con le proprie parole di accusa, additandolo come a favore la mafia, a Tempo Reale, determinò anche il suicidio del maresciallo Lombardo, colui che si era recato in America a interrogare Tano Badalamenti il quale aveva posto quale condizione del suo rientro in Italia per testimoniare di essere preso proprio dal maresciallo. Leoluca Orlando e Manlio Mele, allora sindaci rispettivamente di Palermo e Terrasini, mossero accuse pesantissime verso il maresciallo Lombardo, pur senza nominarlo mai esplicitamente ma parlando e riferendosi all’“ex capo della stazione di Terrasini”. In un Paese dilaniato da processi come quello sulla trattativa Stato-mafia, Mattarella alla presidenza ne appare il simbolo estremo, e in questa situazione, in questo momento e frangente, non è proprio il massimo per l’Italia.


di Vladimiro Iuliano