Legalizzare la cannabis   si può, lo dice la Dna

In Italia la cannabis è ormai diffusa come il vino, i superalcolici e le sigarette e quindi tanto varrebbe prenderne atto e cambiare strategia. O “verso”. Come va di moda adesso. Magari per permettere allo Stato da una parte di risparmiare risorse umane e tecnologiche che comportano costi sempre crescenti. E dall’altra (perché no?) di controllare la legalità di un prodotto che, distribuito dallo Stato e tolto alle mafie, si calcola che potrebbe dare un’entrata in imposte di 7-10 miliardi di euro l’anno. Una manovra di assestamento che oggi come oggi risolverebbe tutti i problemi con l’Europa, che guarda i nostri conti fino all’ultimo euro.

A prendere atto della realtà non sono più solo i radicali di Marco Pannella e Rita Bernardini. Ma lo dicono gli esperti della Direzione nazionale antimafia (Dna), quella diretta dal magistrato Franco Roberti. Sei paginette, 349-355 su oltre 500, che costituiscono quella notizia bellamente ignorata nei giorni scorsi da tutti i maggiori quotidiani nazionali. A darla sinora solo il sito “Linkiesta” e poi Radio Radicale e ieri “Cronache del garantista”. Gli altri quotidiani hanno preferito palare d’altro come la ‘ndrangheta al nord o i problemi della corruzione, banalità trite e ritrite. Che dànno una pallida idea del conformismo del giornalismo italiano di oggi.

Esplicite le parole usate dalla Dna: “... davanti a questo quadro, che evidenzia l’oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo, spetterà al legislatore valutare se, in un contesto di più ampio respiro (ipotizziamo, almeno, europeo, in quanto parliamo di un mercato oramai unitario anche nel settore degli stupefacenti) sia opportuna una depenalizzazione della materia, tenendo conto del fatto che, nel bilanciamento di contrapposti interessi, si dovranno tenere presenti, da una parte, le modalità e le misure concretamente (e non astrattamente) più idonee a garantire, anche in questo ambito, il diritto alla salute dei cittadini (specie dei minori) e, dall’altra, le ricadute che la depenalizzazione avrebbe in termini di deflazione del carico giudiziario, di liberazione di risorse disponibili delle forze dell’ordine e magistratura per il contrasto di altri fenomeni criminali e, infine, di prosciugamento di un mercato che, almeno in parte, è di appannaggio di associazioni criminali agguerrite”. Di quali dati si parlava? Di quelli del 2013-2014 che dicono che “... per avere contezza della dimensione che ha, oramai, assunto il fenomeno del consumo delle cosiddette droghe leggere, basterà osservare che - considerato che, come si è detto, il quantitativo sequestrato è di almeno 10/20 volte inferiore a quello consumato - si deve ragionevolmente ipotizzare un mercato che vende, approssimativamente, fra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi all’anno di cannabis, quantità che soddisfa una domanda di mercato di dimensioni gigantesche. In via esemplificativa, l’indicato quantitativo consente a ciascun cittadino italiano (compresi vecchi e bambini) un consumo di circa 25/50 grammi pro capite (pari a circa 100/200 dosi) all’anno”.

In pratica è come se ogni italiano, compresi i poppanti e i nonni, si facesse una “canna” ogni due, tre giorni. Di fronte a dati come questi anche un cerebroleso capirebbe, purché in buonafede, che se si regala questo bancomat alla mafia, alla camorra e alla ‘ndrangheta si finisce per perdere anche la battaglia economica oltre che quella criminale. Mentre se si tassasse anche solo con cento o duecento euro al chilo ognuno di quelli di canapa indiani consumati ogni anno, l’introito per l’erario sarebbe sui 7-10 miliardi annui, cui si sommerebbero i soldi risparmiati nella assurda mobilitazione di esercito, polizia, carabinieri e guardia di finanza in una caccia che non finisce mai.

Prosegue infatti la relazione a pagina 355, sostenendo che “... invero, di fronte a numeri come quelli appena visti - e senza alcun pregiudizio ideologico, proibizionista o anti-proibizionista che sia - si ha il dovere di evidenziare a chi di dovere, che, oggettivamente, e nonostante il massimo sforzo profuso dal sistema nel contrasto alla diffusione dei cannabinoidi, si deve registrare il totale fallimento dell’azione repressiva... E, quando si parla di “massimo sforzo profuso” in tale specifica azione di contrasto, si intende dire che attualmente, il sistema repressivo ed investigativo nazionale, che questo Ufficio osserva da una posizione privilegiata, è nella letterale impossibilità di aumentare gli sforzi per reprimere meglio e di più la diffusione dei cannabinoidi. Ciò per la semplice ragione che, oggi, con le risorse attuali, non è né pensabile né auspicabile, non solo impegnare ulteriori mezzi ed uomini sul fronte anti-droga inteso in senso globale, comprensivo di tutte le droghe (impegno che assorbe già enormi risorse umane e materiali, sicché, spostando ulteriori uomini e mezzi su tale fronte, di conseguenza rimarrebbero “scoperte” e prive di risposta investigativa altre emergenze criminali virulente, quali quelle rappresentate da criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di essere umani e di rifiuti, corruzione, ecc.) ma, neppure, tantomeno, è pensabile spostare risorse all’interno del medesimo fronte, vale a dire dal contrasto al traffico delle (letali) droghe “pesanti” al contrasto del traffico di droghe “leggere”. In tutta evidenza sarebbe un grottesco controsenso”.

Ma ad essere stata grottesca per quasi un secolo è stata proprio la guerra alle droghe, guarda caso iniziata dopo la fine del proibizionismo sull’alcool. Come per dare un bel contentino a tutte le criminalità organizzate mondiali. Un regalo forse pianificato a tavolino. Almeno all’epoca di Fiorello la Guardia, il primo sindaco (di New York) negli Usa a mettersi a capo nel 1937 di una campagna di dis-informazione del tutto demagogica sull’uso della marijuana. Campagna di cartelli e manifesti che prevalentemente si basavano sul fatto che si trattasse della “droga dei negri che stuprano le donne bianche”. Non è difficile reperire su Internet i manifesti che tappezzavano New York all’epoca, per chi non ci credesse.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34