Per Alfano è l’ora   del redde rationem

Fare l’inchino può essere un esercizio pericoloso. Lo è quando si naviga e lo è quando si fa politica. Schettino per “inchinarsi” al Giglio è naufragato. Alfano inchinandosi a Matteo Renzi sta portando il cabinato Ncd a schiantarsi sugli scogli del consenso elettorale. Ma non tutti i suoi hanno voglia di finire a mollo.

La clamorosa calata di braghe al cospetto dell’arroganza renziana nell’affrontare il delicato caso Lupi introduce a scenari interessanti. L’Ncd si trova a vivere il momento della decisione suprema: o rompere l’alleanza per recuperare una propria identità politica e ideale oppure restare attaccati a quel poco che il padrone Renzi concede nella speranza che basti a garantirgli la sopravvivenza nelle urne. Il problema non riguarda soltanto i vertici del micro partito ma coinvolge gran parte del quadro dirigente intermedio che opera sui territori. Sono le seconde e le terze file a essere più preoccupate per il futuro.

La mossa di Salvini di subordinare le prossime alleanze per le regionali all’uscita dell’Ncd dal monocolore renziano, toglie alla classe dirigente dei territori la tranquillità di garantirsi uno strapuntino nel rinnovo della rappresentanza locale. In fondo, l’idea di stare con un piede in due scarpe faceva molto comodo ai palafrenieri alfaniani. Al governo centrale con il Pd e nelle regioni e nei comuni in giunta con i vecchi sodali di Forza Italia e della Lega. Con gli uni o con gli altri, ma sempre al potere. “Franza o Spagna purché se magna” è stato il grido di battaglia dei neocentristi, interpreti posticci del moderatismo postdemocristiano. Per nobilitare la cosa Alfano, sulla scia di Casini, avrebbe voluto rispolverare la consunta strategia dei due forni di andreottiana memoria.

Peccato però che i leghisti abbiano fiutato l’inganno. Salvini si prepara a inchiodare il titubante Berlusconi a una irrevocabile scelta di campo: o noi o loro. La possibilità che si possano rimettere insieme i cocci della vecchia armata Brancaleone, che è stato il centrodestra nei passati venti anni, è pari a zero. È una fantasiosa velleità che vanno ripetendo quelli del cerchio magico berlusconiano più per mancanza di argomenti che per sincera convinzione. Nei prossimi giorni potremmo assistere a una drammatizzazione della crisi del Nuovo Centrodestra che avrà come esito scontato un fenomeno fisico molto apprezzato dagli studiosi: la scissione dell’atomo. Una parte finirà per seguire l’iniziativa di riconversione a destra lanciata dall’intraprendente Nunzia De Girolamo, che nel frattempo ha scoperto di possedere un piccolo carisma personale.

Un’altra parte, il fronte granitico dei ministeriali, ripeterà la parabola di Scelta Civica fino a gioiosamente immolarsi nel ruolo di rotella dell’ingranaggio renziano. Meglio così. Visto che il vecchio leone di Arcore non si decide a sciogliere la riserva posta sulle alleanze, sarà il collasso del centro moderato a definire i futuri assetti. A cominciare dal rompicapo delle elezioni regionali in Campania e in Veneto. Sta ora all’agguerrita pattuglia fittiana, fieramente asserragliata all’interno della macchina organizzativa del partito, avvertire la responsabilità di una riconciliazione con le altre anime di Forza Italia.

Non è questo il tempo degli addii. Se solo Berlusconi si decidesse a uscire dalla posizione di stallo in cui si è relegato, potrebbe ricavare per se un discreto dividendo dall’implosione dell’Ncd. È giunto il momento di varare, da Palazzo Grazioli, un’operazione “Mare Nostrum” in scala ridotta per il soccorso e l’accoglienza dei naufraghi dell’Ncd. Prima però il vecchio leader dovrebbe imporre la pratica trappista del silenzio ai suoi, specialmente a certi altolocati esponenti che hanno la strabiliante capacità di dare aria alle corde vocali nei momenti meno opportuni.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:36