La bolla “speculativa” della... politica

La crisi finanziaria ed economica, per come continua ad essere percepita e non antropologica com’è nella realtà, ha contribuito a diffondere il termine di bolla finanziaria.

In realtà questi eventi si sono sempre manifestati da quando è stato possibile l’investimento in valori mobiliari ed immobiliari, ma l’estensione ed il volume delle transazioni finanziarie, oggi ormai incalcolabili e tendenti all’infinito, hanno aumentato enormemente il loro numero e la loro devastante intensità.

La formazione delle bolle finanziarie è legata ad una componente più emozionale che razionale dell’animo umano ed anche la più evidente dimostrazione della falsità del teorema della razionalità fasulla dei mercati che i media, l’accademia e gli interessi costituiti sono riusciti a spacciare come verità incontrovertibile. Infatti, quando vengono a formarsi condizioni economiche e finanziarie funzionali a far alimentare aspettative di crescita illimitata dei valori mobiliari - azioni, obbligazioni, valute, commodities, oro e gli altri prodotti finanziari sterminati - e mobiliari - i subprime per tutti - i risparmiatori sono indotti e spinti, anche tramite la manipolazione dei dati, ad approfittare del momento favorevole per comperare questi prodotti accelerandone la crescita.

In questo modo si viene a creare, come abbiamo drammaticamente sperimentato, un processo euforico che si autoalimenta illudendo tutti, come il canto delle sirene di Ulisse, che il sole rimarrà sospeso allo zenit per sempre, così il mercato e la finanza cominciano a vivere una vita loro sempre più lontana dalla realtà e si forma la “bolla speculativa” dei desideri assecondando il mito di Re Mida. Ma prima o poi la verità nascosta comincia a disvelarsi e il castello dei sogni si frantuma , si inverte la tendenza e si precipita nel caos, nella paura delle perdite e si finisce incatenati da chi ha condotto nell’ombra quel tragico inganno.

Le bolle, però, per la loro natura emozionale sono estensibili a tutti quei settori dove l’uomo viene condotto a decidere da fattori emozionali e meno dalla pura razionalità, di fatto spesso assente. La sensibilità a questo tipo di messaggi ha ispirato spesso le campagne di marketing delle imprese orientandole verso un modello di consumismo diffuso, l’attenzione al consumo di beni voluttuari non è dettato dal bisogno percepito secondo una corretta priorità valoriale che la comunicazione ha ormai alterato, la ragazzina che si vende per comperare una borsetta scambia il fine con il mezzo ed usa la sua vita come bene di consumo ne è un drammatico esempio.

Questa modalità emozionale dell’acquisto promossa da un’abile promozione pubblicitaria genera modelli di benessere illusorio, perché consente al consumatore di associare il prodotto alla situazione di benessere ideale che lo accompagna; in questo modo aiuta il soggetto a comperare un’immagine di sé che non corrisponde alla realtà, ma che ne anestetizza la percezione dolorosa di una vita troppo vuota di sentimenti.

Freud aveva sinteticamente espresso questa propensione come il passaggio dal principio di piacere al principio di realtà; il bambino prima o poi deve scoprire che oltre al piacere esiste il dolore che lo spinge a ricercare un via di fuga nel mondo delle illusioni che si vogliono credere vere.

Tale modalità di comunicazione si è da tempo estesa alla comunicazione politica, indistintamente per partiti, se si possono ancora definire tali, che per Paesi; i politici hanno imparato a fare appello ai desideri degli elettori invece di proporre politiche in cui credevano. Ma, oggi, ancora peggio una politica povera culturalmente di creatività finisce per essere ostaggio di poteri più alti che ne influenzano le decisioni per orientarle alla realizzazione dei loro interessi non sempre coincidenti con quelli del Paese di riferimento. Gli elettori, come una sorta di plancton in balia delle onde, finiscono per scegliere quei candidati che dicono quello che loro desiderano ma non necessariamente la verità, quella che sta dietro le notizie di comodo diffuse ogni giorno da una stampa capace di scrivere sotto dettatura ma non di pensare in un’autonomia intellettuale che sembra svanita nel nulla. In questo modo il consenso va crescendo, come nelle bolle finanziarie, ma su aspettative illusorie ma non realistiche ed i due fattori si alimentano a vicenda.

Come siamo lontani dai tempi di De Gasperi che esortava i suoi a promettere sempre meno di quello che erano sicuri di realizzare. Ma più si spinge in questa direzione più è necessario forzare e mascherare la realtà che diventa sempre più lontana, così le aspettative promesse diventano come le bolle finanziarie e si forma la “bolla politica “ che prima o poi inesorabilmente scoppia facendo aumentare la distanza tra Paese ed istituzioni.

Già Tocqueville rimarcava il rischio di un potere che penetrando insensibilmente nell’interiorità degli individui potesse dirigerne le azioni, orientarne le scelte ed indebolirne le volontà, in questo modo l’attenzione alla luce della luna distrae dal cambiamento che avviene sotto gli occhi ma non viene percepito perché troppo doloroso. In questo modo si forma una sorta di potere egemonico lontana dal senso di “societas “ e da quello di collaborazione.

Il grande von Mises nel suo lavoro “L’azione umana”, forse uno dei più bei testi di economia, nel capitolo XXVII chiariva la differenza sulla cooperazione basata sul contratto che produce una “relazione simmetrica” tra i soggetti che stipulano il contratto sociale - cittadini e politica - e la cooperazione politica basata sul comando e sulla subordinazione che genera invece una “relazione asimmetrica”. In questo secondo caso, afferma, la società viene sottoposta a vincoli egemonici ed il ruolo dei politici e burocrati è destinato a dilagare in un sistema di “bellum omnium contra omnes” e si finisce per paralizzare l’azione umana. Le relazioni egemoniche prevalgono e valgono solo le relazioni personali con chi è al comando che deve tenere unito il sottosistema.

Oggi siamo al di là delle bolle. Siamo nel tripudio dei fuochi artificiali e di botti che si susseguono in continuo - leggi, riforme, decreti, previsioni ed annunci di certezze su un futuro che non è mai stato così opaco - poi dopo il botto tutto evapora apparentemente nel nulla. Intanto si perde di vista la drammatica verità di un Paese che viene trascinato verso un modello socioculturale liberista che ha portato gli Usa ad un profondo collasso sociale ed ad un punto di non ritorno. Una “democrazia” che riscopre la guerra fredda e minaccia l’uso di armi letali con un leggerezza insostenibile, a dimostrazione delle difficoltà interne sempre più difficilmente governabili; fa specie che uno stato civile come lo Utah riscopra la pena di morte per fucilazione, una notizia che scivola via nell’indifferenza assoluta.

Non si vuole vedere la disoccupazione che non diminuisce, quella minorile è drammatica, il lavoro e l’economia che non crescono soffocati da una finanza che con amicizia contribuisce a tenere il burattino-spread a livelli assolutamente irrazionali, un debito che cresce, una società che rinuncia al Welfare che è l’unica via per ricostituire legami di solidarietà e riparare dalla paura e dall’incertezza di nemici visibili ed invisibili che ci frastornano. Il modello di sviluppo sta riducendo i corpi intermedi e così aumenta quella che von Mises definisce un sistema relazionale asimmetrico e contrario al principio di democrazia.

La realtà è che siamo di fronte ad una crisi di uomini e di valori che hanno contribuito a metterci in questa situazione; la situazione del Paese è da manuale per le regole che descrivono nei secoli le ascese ed il declino delle società. Le società non muoiono mai per morte violenta ma per suicidio, perché le élite al governo perdono la capacità di rinnovarsi negli uomini e negli ideali e finiscono per collassare. Gli ideali del “bene comune” dei politici che ci hanno fatto uscire dal dramma del dopoguerra sono diventati gli ideali dell’interesse personale o dei gruppi di potere da realizzare anche a scapito degli altri, normalizzando comportamenti illeciti che ogni giorno osserviamo ormai passivamente. Il modello culturale nella sostanza, ancora oggi, sembra non cambiare mai da quello legato prevalentemente all’occupazione del potere.

La vera riforma da fare è quella morale e culturale perché i problemi non sono mai né tecnici né economici, ma sono sempre e solo problemi di uomini.

 

(*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:28