Nordio: intercettazioni “inutili e dannose”

giovedì 2 aprile 2015


“Intercettateci tutti”? Ma quando mai. Le intercettazioni telefoniche ed ambientali, così come funzionano oggi, rischiano di diventare inutili se non dannose. Per le stesse inchieste sulla corruzione. Parola di Carlo Nordio, pm dell’inchiesta sul Mose, che ieri in un articolo sulla prima pagina de “Il Messaggero” spiega in sei punti perché l’attuale prassi anderebbe cambiata una volta per tutte. E sostanzialmente Nordio afferma che ormai la macchina dell’ascolto sembra avere come unico fine la messa alla berlina di chi ci capita sotto. Vale la pena di riportare integralmente i suddetti sei punti per poi farci anche qualche commento, precisando che Nordio è uno di quelli che vorrebbe eliminare del tutto quella che lui stesso definisce “una barbarie giuridica”.

1) ... i brogliacci della polizia giudiziaria con le trascrizioni delle telefonate non dànno alcuna garanzia di autenticità (e infatti il codice ne prevederebbe la perizia)

2) ... la loro selezione ad opera di chi ascolta è opinabile e spesso arbitraria, fonte di rappresentazione ingannevole

3) ... la libertà di stampa non solo non c’entra nulla, ma è anzi vulnerata e avvilita, perché il giornalista non scrive quello che sceglie lui, ma quello che altri gli hanno propinato

4) ... in queste trascrizioni manca l’elemento più importante, cioè il tono della voce. Secondo il tono della voce, infatti, anche un’imprecazione può essere affermativa, interlocutoria o negativa

5) ... la loro funzione, che il codice vorrebbe quali mezzi di ricerca della prova, si è imbastardita diventando una prova a sé, con il risultato di farle finire nel fascicolo processuale e quindi sui giornali

6) Da ultimo, ma non ultimo, che se le intercettazioni sono pericolose per i dialoganti, sono addirittura nefaste per i terzi ignari e sprovvisti di difesa. Come accade oggi per l’onorevole Massimo D’Alema.

Fin qui Nordio, che, tra parentesi, non è sospettabile di grandi simpatie verso il citato D’Alema avendolo nei primi anni Novanta inquisito per anni, pur senza riuscire mai a inchiodarlo. Nordio nell’articolo spiega anche come le più importanti indagini su mafia e terrorismo in Italia siano state fatte quasi in assenza di intercettazioni. Che, nella storia delle grandi e piccole inchieste del Bel Paese, iniziarono ad essere usate in maniera industriale per contrastare il traffico di droga. Se infatti l’agente di polizia giudiziaria delegato dal pm sentiva parlare di “magliette” o di qualche altro nome in codice, immediatamente avvertiva altri agenti e lo stesso magistrato per concordare se del caso una perquisizione a sorpresa. Se poi qualcosa veniva rinvenuto, in seguito alla intercettazione, allora l’indizio si trasformava in una prova certa. Sennò si doveva ricominciare da capo. Un po’ come i pentiti che potevano essere utilizzati purché le loro dichiarazioni trovassero riscontri oggettivi: io accuso un tale di aver commesso un omicidio, indico le armi, il luogo del ritrovamento del cadavere ed altri elementi di fatto che poi coincidono. Sennò sono parole al vento. E anche le intercettazioni senza riscontri sono parole in libertà. E la gente che oggi parla al telefono o a casa propria. Magari usando linguaggio trash come nei film di Tarantino, perché è di moda, non è che possa essere “sputtanata” solo perché dice che la tal signorina è una poco di buono (“zoccola”) o perché esprime un’idea su questo o quell’uomo politico (“ladro”, “farabutto”, “mascalzone”).

Qui inizia la barbarie. E finisce lo stato di diritto. Il magistrato non è tenuto a far sapere alla pubblica opinione quel che veramente il tal politico pensa del talaltro. In realtà le indagini oggi, che hanno rinunciato per volere di alcune scuole di pensiero mediatico seguite da altrettante procure, ai pedinamenti e ad altre forme di investigazione più complesse e faticose, contentandosi di mettere in piazza decine di ore di ascolto trascritte un po’ come capita, sembrano avere come unico scopo quello di offrire uno spettacolo indecente a un’opinione pubblica che poi reagisce con richieste irrazionali ed emotive, possibilmente veicolate dai talk-show, come quella di chiedere di innalzare le pene per la corruzione. Ogni due anni o ogni tre scandali, di media. Invece di richiedere leggi e burocrazie semplificate che la rendano nei fatti difficile, se non impossibile.

È lo stesso sbaglio che si è fatto per quasi un secolo con il proibizionismo sulle droghe, specie quelle leggere: pene più alte per i consumatori e i piccoli spacciatori mentre i pesci grossi fanno profitti comprandosi le polizie e i governi e le magistrature di mezzo mondo. Oggi, mutatis mutandis, si ripete lo stesso errore con i reati contro la Pubblica amministrazione. Che, al contrario delle droghe, non possono di certo essere depenalizzati o legalizzati. Ma resi impossibili sì: e ciò piuttosto che innalzare le pene e con esse il prezzo stesso di quelle corruzioni che, come la storia insegna, sempre possono esserci. Ma se io rendo inutile la richiesta di un vigile urbano o di un assessore o di un ministro perché ciò che può offrire, il disincagliamento di una pratica piccola o grande della Pubblica amministrazione, avviene già in automatico, ecco che gli tolgo il mercato.

Così come, in tutt’altro contesto, se lo Stato legalizza la marijuana come ormai hanno fatto quasi tutti gli Stati Uniti dell’America del Nord, magari sotto l’infingimento della cannabis terapeutica, prescritta anche per l’emicrania, ecco che la mafia è costretta a tirarsi indietro perché il business non risulta più conveniente. Viene anche il sospetto che sulle intercettazioni come sul proibizionismo siano in molti ad essere contenti dello status quo. E di queste situazioni paradossali dove a pene più alte corrisponde un più alto livello di penetrazione criminale anche nel mercato dei soldi che da illeciti diventano leciti. Ed è proprio nella zona grigia del riciclaggio che le mafie, i traffici di tutto e la corruzione dei colletti bianchi della politica si trovano a banchettare tutti insieme appassionatamente. È una forma di controllo sociale e allo stesso tempo di promozione dell’illegalità dei reati dei colletti bianchi. Sotto l’occhio feroce ma ammiccante dello Stato ormai non più di diritto. Basta vedersi “C’era una volta in America”, in fondo, per capire come funziona.

@buffadimitri


di Dimitri Buffa