Contrada, la revisione si decide a giugno

giovedì 16 aprile 2015


Il 18 giugno a Caltanissetta si inizierà a discutere sulla istanza di revisione del giudicato con il quale nel 2007 Bruno Contrada era stato costretto a subire una condanna di dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. È la quarta volta che l’avvocato Giuseppe Lipera ci prova. Nella terza era andato molto vicino a centrare il risultato. Perché in un primo momento, quello preliminare, la cosa era risultata non manifestamente infondata. Aveva cioè passato il primo scoglio. Poi nel merito le prove nuove raccolte erano state dichiarate insufficienti.

Stavolta, come è noto, l’istanza è preceduta da questa clamorosa sentenza della Cedu che, contrariamente a quanto sostengono i vari forcaioli di Italia, in pratica si è già pronunciata anche nel merito oltre che sul metodo: se un reato non era tale, o non era sufficientemente chiaro da essere considerato tale dal potenziale reo, questo significa che nessuna condanna penale poteva essere comminata legittimamente per quella imputazione. Al limite si doveva fare un processo per favoreggiamento dei boss mafiosi della fine degli anni ’70, alla fine il solo Rosario Riccobono, che in realtà probabilmente era una fonte confidenziale del Contrada e di altri, e arrivare a una condanna. Con il piccolo particolare che però si sarebbe partiti con un reato già quasi prescritto per il quale non era obbligatorio l’arresto e per cui la pena sarebbe stata molto meno alta. Tutte cose che i giornali si guardano bene dal dire. E per giunta un reato molto difficile da provare sulla sola parola di quei pentiti che lo stesso Contrada qualche anno prima delle loro dichiarazioni aveva già provveduto a far catturare e condannare. Questo per il pregresso. Per il futuro la quarta istanza di Contrada si basa essenzialmente su un tentativo di fare coincidere la “verità storica” dei fatti con quella dei processi. E che si assume al contrario niente affatto coincidente con quella per la quale Contrada si è anche fatto circa sette anni di carcere.

Scrive Lipera che “per molto tempo l’orientamento giurisprudenziale ha continuato ad oscillare tra le due posizioni; e ciò fino al 2001 quando intervennero nuovamente le Sezioni Unite (Cassazione penale, Sez. Un., 26 settembre 2011, n. 624).” E spiega che “con quest’ultima decisione la Corte Suprema ha sancito che, ai fini della revisione, per prove nuove debbono intendersi, non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero le prove acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, sempre che non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice. La novità quindi attiene al momento valutativo e non a quello acquisitivo della prova.

Poi un excursus della vicenda processuale: “1) Il Dott. CONTRADA veniva arrestato, il 24 dicembre 1992, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, con ordinanza del G.I.P. di Palermo del 23/12/1992 (che accoglieva una richiesta del P.M. in sede del 22/12/1992); 2) veniva condannato il 5/4/1996 alla pena di anni dieci di reclusione dalla V Sezione Penale del Tribunale di Palermo; 3) la sentenza di primo grado veniva ribaltata dalla Corte di Appello di Palermo, che ebbe ad assolvere il Dott. CONTRADA con la formula più ampia con sentenza del 4/5/2001, successivamente, purtroppo, annullata dalla Corte di Cassazione e poi confermata il 25/2/2006 da altra sezione della Corte di Appello di Palermo; 4) quest’ultima sentenza veniva definitivamente confermata il 10/5/2007 dalla Corte Suprema di Cassazione.

Forti di due sentenze Cedu, una per l’articolo 3 e una per l’articolo 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cioè quelli che trattano della tortura (trattamento carcerario di persona anziana e malata) e della non retroattività del titolo di reato, Lipera vuole spostare il fulcro della revisione sulla non attendibilità dei pentiti. D’altronde di tutti i protagonisti passivi di quella folle stagione dei processi ai politici della prima repubblica per mafia, Contrada rimane l’unico condannato solo sulle parole dei pentiti. Gli altri, attori o comprimari, sono stati quasi tutti assolti. Le res gestae della procura di Caselli sono a tutt’oggi aggrappate solo a quella condanna, se salta pure Contrada... “addio core”, come dicono a Roma.

Elenchiamo per facilitare il compito dei giudici - si legge nella memoria - chi furono gli accusatori del Dott. Contrada: Giovanni Brusca, Tommaso Buscetta, Salvatore Cancemi, Gaetano Costa, Francesco Di Carlo, Francesco Marino Mannoia, Gaspare Mutolo, Gioacchino Pennino, Angelo Siino.” “Sono tutti uomini – continua - con un “curriculum-vitae” (meglio sarebbe dire “curriculum-mortis”) da far invidia ai maggiori protagonisti dei più sanguinari e impressionanti film dell’orrore. Gente che, come il Mutolo, dichiarava seraficamente davanti al Tribunale, nel corso di una testimonianza resa al processo Contrada, di aver ammazzato per strangolamento oltre trenta persone, senza mostrare alcun segno di rimorso o di ravvedimento per gesti compiuti con il più alto spregio della vita altrui. Ebbene il Dott. CONTRADA è stato condannato solo per delle accuse generiche (ed infamanti) provenienti dagli stessi soggetti che per anni sono stati perseguitati ed arrestati proprio da lui, all’epoca Funzionario e poi Capo della squadra mobile di Palermo.

Ci sta poi un capitolo dedicato alle nuove prove a favore di Contrada che include una sua stessa deposizione in data 23 ottobre 2014 quando “è stato sentito in qualità di testimone ex art. 197 bis c.p.p., dinnanzi la Corte d’Assise di Caltanissetta (Presidente Dott. Antonio BALSAMO) nell’ambito del processo penale n. 2/13 R.G. C. Assise e 1595/08 R.G.N.R., a carico di MADONIA Salvatore Mario + 4, ove ha rivelato la verità sui gravi fatti di mafia avvenuti in quegli anni.”

E che disse Contrada ai giudici sotto giuramento? Ad apposita domanda sul suo incontro (di cui molto si è favoleggiato sui giornali forcaioli e nei talk show alla moda) con Borsellino due giorni prima dell’attentato di via D’Amelio, Contrada è stato di una disarmante chiarezza: “…Prima di tutto perché del secondo incontro di cui ha parlato il pentito Mutolo, ..io ero a Palermo dal 12 luglio e il dottore Borsellino... Mutolo aveva parlato di... di incontro mio con il dottore Borsellino del 17 luglio. Io il 17 luglio ero a Palermo. Ricordo che c'è stata una lunga mia dichiarazione al dottor Petralia, che venne ad interrogarmi al carcere militare di Forte Boccea, che era Procuratore Aggiunto qui a Caltanissetta, il dottore Carmelo Petralia, ed ero in ferie a Palermo dal 12 luglio, come risulta da tutta la documentazione di ufficio e anche dalle annotazioni sulla mia agenda. E se avessi incontrato il dottor Borsellino al Ministero dell'Interno, non avrei avuto nessun motivo di negarlo, anche se non era segnato sull'agenda, non... non vedo per quale motivo dovessi negare di avere incontrato il dottore Borsellino. Ho avuto frequentissimi rapporti con lui nel periodo... in verità nell'ultimo mio periodo di servizio a Palermo, comunque nel periodo in cui lui era Giudice Istruttore; i miei rapporti di ufficiale di Polizia Giudiziaria con il dottore Borsellino erano rapporti tra un poliziotto e il Giudice Istruttore, e un Giudice Istruttore.Quindi non... non vedo. Comunque io escludo nella maniera più assoluta di avere incontrato nel mese di luglio il dottor Borsellino al Ministero dell'Interno…No, io non ho incontrato il dottor Borsellino nel mese di luglio, non l'ho incontrato. PRESIDENTE - In nessuna occasione.”

Ad altra domanda dei giudici Contrada precisava così: “In nessuna occasione. Quello che ha dichiarato in proposito, in merito il Gaspare Mutolo è falso, tanto è vero che in un primo momento aveva dichiarato che io avevo incontrato il dottore Borsellino a Roma, al Ministero dell'Interno, il 17 luglio; quando fu fatto presente al criminale Mutolo che il 17 luglio non era possibile perché io ero a Palermo, allora lui anticipò la data e disse: "No, il primo luglio", cioè il giorno dell'insediamento del Senatore Mancino quale Ministro dell'Interno... Io escludo di averlo incontrato e voglio aggiungere che qualora lo avessi incontrato, non avrei nulla in contrario a dire: "Ho incontrato il dottor Borsellino, ci siamo salutati", come... come facevamo, perché avevamo ottimi rapporti. Non eravamo amici, come hanno dichiarato i familiari che io ho vantato amicizia con il dottor Borsellino; io non ero un amico, intendendo per amico frequentazione indipendentemente dai rapporti di ufficio. Avevamo ottimi rapporti istituzionali, io da poliziotto e lui da Giudice. E quindi non... non avrei nessun motivo di dire un’altra cosa…. Io ho saputo della collaborazione di Gaspare Mutolo con l'Autorità Giudiziaria dopo la strage di via D'Amelio, dopo la morte del dottor Borsellino. P.M… dal dottor De Luca, Antonio De Luca, che aveva lavorato con me molti anni alla Squadra Mobile e che era in quel periodo dirigente del centro Sisde di Catania, del centro Sisde di Catania…. il 26 luglio io mi incontrai a Roma con De Luca, ero part... "Partenza per Roma, aereo 18.40, Punta Raisi", ecc. "A Roma con De Luca cena". E De Luca in quella occasione mi disse: "Guarda che c'è Mutolo... che parla, che sta collaborando… E che parla di te". E De Luca l'aveva saputo da Sinesio. Sinesio l’aveva saputo dalla dottoressa Camassa; alla dottoressa Camassa l'aveva detto il dottor Borsellino. Questa è la verità dei fatti!

Insomma, a più di venti anni da quei fatti, un uomo di 84 anni che ha già scontato una pena che lui assume ingiusta per avere favorito la mafia, conserva ancora ricordi precisi di quei giorni e ha come unico obiettivo quello i uscire pulito da questa accusa infernale visto che gli nni trascorsi in carcere non glieli darà indietro nessuno.

Altra domanda e altra risposta di quel processo riguardano i complessi rapporti di Gaspare mutolo con la divisione investigativa antimafia che nasceva all’epoca come creatura di Gianni De Gennaro: “... In quel periodo il dottor De Gennaro era il vicedirettore della Dia, il direttore era il generale dei carabinieri Tavormina, lui era il vicedirettore. E io ci andai a parlare della dottoressa La Franca. Poi ci sono stato un'altra volta perché questo trasferimento la dottoressa La Franca mi disse che voleva posticiparlo di un mese, perché doveva sistemare una situazione familiare, anche si stava separando dal marito; insomma, tutta una questione del genere. Con l'occasione io dissi a De Gennaro, perché sapevo che Mutolo era alla Dia, era ospite della Dia insieme ad un altro pentito che si chiama Pino Marchese, al largo di Priscilla, gli dissi: "Guarda che Mutolo stava parlando di me". Lui mi disse: "Sì, sono le solite cose che... che dicono i pentiti, ma niente di particolare". Dissi: "Guarda che questo qua racconta menzogne, ce l'ha a morte con me", perché io l'ho perseguitato. Tra tutti i mafiosi che nella mia attività di Polizia Giudiziaria a Palermo ho più perseguitato, è stato Mutolo e il suo capomafia Rosario Riccobono, e questo risulta dagli atti ed è risultato anche dal mio processo. L'ho fatto condannare a nove anni, non sono riuscito a farlo condannare per l'omicidio di un agente di Polizia, perciò ce l'avevo a morte con lui e lui ce l'aveva con me; anche perché era convinto che io avessi dato ordine ai miei uomini di sparargli a vista, no di catturarlo, di sparargli. Perché era responsabile dell'omicidio di un agente della Squadra Mobile che io consideravo come un figlio, napoletano come me, di venti anni, ucciso durante un servizio di estorsione da Rosario Riccobono, da Gaspare Mutolo e da quelli della sua banda…

E’ bene precisare che proprio Mutolo è stato quello che più ha contribuito alla condanna di Contrada e che poi la storia di Riccobono venne completamente capovolta dall’ipotesi accusatoria ancorchè nessuno abbia mai potuto dimostrarla. Nello stesso interrogatorio Contrada fa riferimento alla nascita delle leggende metropolitane che lo volevano sul posto della strage di via D’Amelio poco dopo lo scoppio con lo scopo di far sparire la famosa, quanto fantomatica, agenda rossa di Paolo Borsellino: “Come è possibile che tutti i giornali dicono che io ero sul posto per impossessarmi dell'agenda rossa di Borsellino, quando c'è una fotografia di un ufficiale dei Carabinieri che si allontana dalla macchina ancora in fiamme di Borsellino, con la borsa di Borsellino in mano! Non è che sta a guardare la borsa, si allontana. E questo qua dopo che per anni io sono stato crocifisso, perché lo scopo era quello di dire: "Tu stavi sul posto per impossessarti dell'agenda segreta di Borsellino". Quando... quando addirittura viene filmato questo... il capitano, allora capitano Arcangioli, Giovanni Arcangioli. E mi sono posto la domanda: ma com'è che questo ufficiale dei Carabinieri non ha sentito il dovere di dire: "Ma guardate che sono stato io a prendere la borsa e non il dottore Contrada"? Il dottor Contrada non stava in quel momento su nessun punto del globo terrestre, stava in alto mare quando scoppiò la bomba di Borsellino”.

Solo un esempio, tra i tanti possibili, di come nacquero le calunnie che alla fine si trasformarono in accuse e poi in “prove”, ritenute sufficienti per fare condannare definitivamente un fedele servitore dello stato a dieci anni come complice esterno della mafia. Altro esempio inquietante, che potrebbe portare a riaprire il processo, si evince da un libro di un ex accusatore di Contrada, il pm Antonio Ingroia, che a pagina 81 del suo libro “Nel labirinto degli dei” fa riferimento a un depistaggio del finto pentito Vincenzo Scarantino, quello che ha fatto condannare decine di innocenti per l’attentato a Borsellino e che adesso è stato sconfessato dai vari Gaspare Spatuzza determinando la riapertura di quel processo. Ebbene la notizia, inedita fino al libro di Ingroia, è che Scarantino aveva accusato Contrada falsamente di avere a che fare con la mafia. Nonché aveva accusato anche Berlusconi di un grande traffico di droga. Circostanze rivelatesi entrambe false. L’avvocato Lipera, oltre a lamentare che di questi retroscena all’epoca non si seppe niente, e che gli interrogatori di Scarantino non erano contenuti nel fascicolo del pm ai vari processi Contrada, e di avere l’ex pm Ingroia raccontato tutto in un libro a distanza di molti anni, si chiede anche perché non si sia indagato a favore dell’imputato Contrada. Magari solo per scoprire chi aveva ispirato Scarantino a fare il suo nome e quello di Berlusconi. Ma in Italia le inchieste si fanno in maniera sacerdotale e spesso i risultati sono proprio quelli di vedere condannare gli innocenti.

La memoria di Lipera si chiude chiedendo quindi l’audizione non solo di Ingroia, ma anche del suo ex collega Alfredo Morvillio e dell’ex procuratore capo di Palermo dell’epoca, Gian Carlo Caselli, messi al corrente di quegli interrogatori che invece non entrarono mai nel processo Contrada. Le premesse per qualche colpo di scena ci sono tutte. Chissà se questo basterà a fare riaprire il processo Contrada e a ridare a lui l’onore calpestato dalla giustizia all’italiana.

 

@buffadimitri


di Dimitri Buffa