Il sistema pubblico italiano non funziona

Gli impuniti. Gli impuniti della Pubblica amministrazione. Come si fa a non capire che è da tempo il momento di cambiare sistema? Il sistema così com’è, quello che abbiamo oggi, in Italia, non funziona e, soprattutto, non è in grado di funzionare per il futuro. La cosa pubblica amministrata dal pubblico è un fallimento a cielo aperto. E ciò non solo nelle istituzioni ma anche nei servizi, e anche nel sociale. Il pubblico non funziona perché è pubblico, perché vive di pubblico, non producendo alcunché. Dalle scuole alle università, dagli enti locali all’intera Pubblica amministrazione, nella giustizia, nell’economia, nel sociale, in ogni settore o ambito italiano che sia, in quanto pubblico, non funziona. It doesn’t work, diciamolo come ci pare, in italiano, in inglese, in ostrogoto, non funziona lo stesso. Perché? Perché nel pubblico l’individuo è privo di responsabilità, non risponde in pratica a nessuno, ciò anche quando ha un “capo settore” pubblico, non risponde nemmeno verso se stesso. Ed è nella responsabilità che sta l’efficienza oltre che la propria realizzazione, la propria ambizione è nella produttività. Quanto siamo lontani dalla direzione verso cui andare e da intraprendere, lo dicono ogni giorno le storie e i casi delle persone che, inserite in un sistema sbagliato quale è il nostro oggi, appaiono e sono senza faccia e senza vergogna, impunite nei confronti e verso, dentro la cosa pubblica. Impuniti intenti a depredare la cosa pubblica. Come Renzi e l’intero governo, non eletto, illegittimo. Ecco così l’attuale ministro del Lavoro (degli altri) Poletti, che è in verità il ministro delle cooperative e del sistema delinquenziale Coop, invitare i nostri giovani a lavorare gratis, a fare volontariato, supponendo forse sia lui a dare poi da mangiare loro con i soldi del circuito magico delinquenziale delle cooperative, ed ecco che la Mannoia, una cantante sana di mente, gli risponde per le rime dicendogli di andarci lui a lavorare gratis, cioè a fare volontariato, e che i nostri giovani sono alla fame perché quelli come lui, insieme a tutto l’attuale governo non eletto di Renzi se ne fregano di avviare politiche di produzione e di crescita. Ecco che gli imprenditori muoiono perché il mercato è stato colpito e affondato da un sistema, quale quello oggi in Italia, errato quando non più esistente. Ma ci si può sbizzarrire, andando avanti nell’elenco senza fine degli impuniti da sistema pubblico. Ed ecco il caso del presidente della Camera di Commercio di Palermo, esponente a parole di prima linea nella lotta contro il racket, che viene preso in flagrante a intascare una mazzetta da centomila euro. Addio pizzo, avanti con le mazzette, il pubblico come sistema delinquenziale. Si era fatto pagare per la proroga di una concessione commerciale all’aeroporto. I suoi negozi erano falliti. Prendeva tangenti con la foto di Libero Grassi sulla scrivania. L’assegno “a copertura dei 100mila” se l’era già messo in tasca, mentre la busta con 30mila euro in contanti campeggiava sulla scrivania, accanto alla foto di Libero Grassi. Il presidente della Camera di commercio, Roberto Helg, a parole baluardo della legalità, mille convegni con vittime di mafia, ha balbettato di non sapere, di non capire: “Che ne so io di quella busta?”. E l’assegno? “Mi sembrava un bigliettino, non so come sia finito in tasca”. 
 Hanno dovuto fargli risentire le sue parole pronunciate con l’atteggiamento e lo slang di un mafioso davanti al pasticciere che aveva chiesto il rinnovo dell’affitto per il suo negozio in aeroporto: “Cinquantamila lunedì, prima del Consiglio. L’avutri (gli altri ), dieci al mese”. In pratica sedicente antimafia che si fa mafia, alla stregua di un boss, “perché se non si fa come dico io, sei fuori”.

Ecco ancora il caso della Sicilia che spende 700mila euro di soldi pubblici per mandare dieci consiglieri della Regione a zonzo in Qatar “a sponsorizzare il made in italy”. Cosa siano andati a fare a Doha i consiglieri siciliani non si sa perché la risposta del presidente dell’assemblea regionale siciliana Ardizzone è stata una denuncia ai richiedenti per istigazione a commettere reati. Che senso ha dibattere come si fa sui giornali ancora solo dei costi standard di beni forniti alla cosa pubblica - per lo più sperperati quando non del tutto rubati da predatori della cosa pubblica - per funzionare quando poi alle Regioni viene concesso di andare all’estero per promuovere la qualunque? Chi controlla? È possibile che la Corte dei Conti non dica chiaramente qual è il limite di certe spese? Ma il problema vero è: può un controllo arrivare tempestivo? Il problema è di sistema, cioè è il sistema pubblico che non funziona più. Perché le Regioni, addirittura i sindaci (a Doha è andato anche il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando), possono spendere soldi pubblici per un qualcosa che non solo non serve ma non è nemmeno di stretta attinenza alla “funzione” cui dovrebbero assolvere e per la quale vengono già pagati profumatamente? Tasse e sacrifici ai cittadini, e le strade si sbriciolano, le scuole crollano, i giovani sono disoccupati. Una montagna di nostri soldi pubblici data senza senso per avere indietro silenzi o querele dei “politici”. Non sarà mai sufficiente un severo controllo delle spese pubbliche, la cosa pubblica verrà sempre, ancor di più se possibile, depredata. È necessario cambiare il sistema pubblico, privatizzandolo. Si guardi al caso recente di Alfano, ministro fallimentare dell’Interno, senza faccia e senza vergogna. Ecco cosa è venuto fuori da ultimo, a ulteriore riprova di quanto il sistema pubblico venga depredato e basta. Il suo vicerè in Sicilia, territorio ereditato dal mentore Mazzamuto professore a ridosso della cosa pubblica, è tal Andrea Gemma, figlio d’arte di depredatori di cosa pubblica, con ben tre cattedre (tre stipendi pubblici, i nostri soldi) di istituzioni di diritto privato in due università pubbliche a Palermo e a Roma. Da Alfano riceve incarichi pubblici a iosa e lui, per ricambiare un po’ dà da lavorare, sempre con cose pubbliche, cioè pagate da noi, a tal Tiziana Miceli, moglie di Alfano.

Non appena Alfano diventa ministro pubblico, dà a Gemma il cosiddetto Piano Carceri, una consulenza pubblica che gli frutta 100mila euro ogni anno fino al 2012. Nomina pubblica dopo nomina pubblica, Gemma è il collettore delle consulenze pubbliche di Alfano ma sempre pagate da noi. Il tribunale pubblico di Palermo lo nomina curatore pubblico dell'Amia, l’azienda fallita del capoluogo siciliano che gestiva la raccolta pubblica dei rifiuti. Gemma è anche commissario pubblico straordinario del gruppo Valtur del quale la Procura pubblica di Trapani ha chiesto il sequestro di tutti i beni. A Palermo Gemma è presidente dell’Immobiliare Strasburgo, società attiva nel settore immobiliare e confiscata dal Tribunale di Palermo al costruttore Piazza. A Roma ha una consulenza pubblica da 124mila euro con Atac, per curare la “razionalizzazione delle partecipazioni”. Per non parlare della nomina pubblica che gli ha ritagliato Alfano nel Cda di Eni e l’ambìta consulenza pubblica per Expo 2015 per ben 630mila euro.

Dunque è evidente che più di qualcosa non torni. La cosa pubblica è terreno fertile di accaparramenti più o meno criminali. Si dà per scontato che si debba rubare, turlupinare, appropriarsi, depredare la cosa pubblica. Il sistema pubblico è marcio. Va cambiato. Bisogna procedere a sostituire l’ideologia del pubblico che fa acqua da tutte le parti con il privato. Privatizzare il privatizzabile. Rendere lo Stato minimo, leggero, poche tasse a fronte di sparuti servizi essenzialissimi, tutto il resto deve essere privato. Il privato deve diventare regola dominante, il mercato l’obiettivo comune, l’efficienza la riprova del funzionamento, la responsabilità la sanzione. La produzione al posto dell’attuale assistenzialismo pubblico sconfinato in ladrocinio pubblico.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:28