Il camerata Chiesa

21 aprile, la ricorrenza dell’onomastico fondativo di Roma non la ricorda nessuno. Tanto più che cade in occasione della partenza del nuovo Mobilegeddon di Google, le cui ricerche d’ora in poi scandaglieranno prima i siti web fatti per i piccoli schermi dei cellulari lasciando indietro quelli concepiti per i medi screen dei computer. Ci provano allora, radunate sotto un megaschermo, al Salone Margherita, le tante, numerose, sfilacciate, invisibili destre romane, alla disperata ricerca di un leader. Le ha convocate, sotto il nome evocativo di Lega Nazionale, l’europarlamentare Mario Borghezio.

Dopo la manifestazione salviniana di Piazza del Popolo, la Lega Nord alleata della francese La Pen, costituisce un forte polo di attrazione, legittimato dall’atto di vassallaggio compiuto allora pubblicamente dai romanissimi Fratelli d’Italia e CasaPound. Eppure, nel teatro del fu cabaret andreottiano di Franco e Gullotta e dell’odierno burlesque, si consuma un’altra dispersione. Si scopre che un conto è la Lega della sezione pariolina della Bellocchi, con tanto di succursale Lega Sabina di Monterotondo. Un altro conto è il gruppo del “Noi con Salvini”. Ed un terzo è questa chiamata alle armi del leghista piemontese, solito muoversi nella terra di nessuno esistente tra leghismo, fascismo e postfascismo. D’altronde a Roma ormai è di casa, essendo stato eletto proprio nella circoscrizione centrale grazie ai voti di CasaPound. La quale, fedele al segretario Matteo destro, non è presente nel tempio del Bagaglino.

I tanti orfani della destra sociale non riescono a riempire la scena finché questa non prende una piega insolita e inimmaginabile, all’apparire della lunga barba monacale, tra vecchiocredente, Rasputin e Solgenytsyn, del filosofo Alexander Gelevic Dugin, l’ex sodale del nazimaoismo di Limonov, l’amico di de Benoist, consigliere del presidente della Duma Naryshkin, ispiratore del vicepremier Rogozin del partito rossobruno Patria, l’uomo che avrebbe spinto Putin ad occupare la Crimea. Solo Dugin, in questo 21 aprile, si dichiara, con amore romano, “perché noi russi che deriviamo dalla romana Bisanzio, siamo figli di Roma”. Il dissidente anticomunista, figlio di un agente del Kgb (proprio come Limonov) espone le sue teorie eurasiatiche, che chiamano a raccolta i popoli europei contro l’America, “in nome della tradizione che oggi è anche difesa del welfare sociale”. Per dirla con Torriero, giornalista un tempo legata all’An e oggi tutta in Forza Italia, “quei valori che sono la dottrina sociale della Chiesa ed il welfare di Mussolini”.

E pensare che il prossimo 7 maggio un altro pezzo di destra romana, questa liberale, magnificherà in un convegno la figura di Ronald Reagan. Grande è il disordine sotto il cielo, ma non per i convenuti al teatro che ascoltano l’ottimo italiano di Dugin, tra inni russi e sventolanti bandiere del Donbass, il territorio strappato agli ucraini dai ribelli filorussi. All’improvviso l’alleanza destra-lombardo-francese di Matteo e Marine viene inglobata in una intesa più grande. Dugin porta i temi del Forum dei conservatori di San Pietroburgo di poche settimane fa, dove c’era l’associazione leghista Lombardia-Russia, la greca Alba Dorata e l’italiana Forza Nuova (assente al Margherita): l’antiliberalismo, l’anticapitalismo, il tradizionalismo religioso, ma soprattutto l’indipendenza nazionale.

La concatenazione antieuro-antieuropeismo-antiamericanismo, più che la politica, tocca un livello onirico delle coscienze, dimentiche di quarant’anni di fiero occidentalismo antisovietico delle destre europee. Ecco perché meraviglia e no, l’arrivo di Giulietto Chiesa, sempre più rediviva incarnazione di Stalin. Di fronte a centinaia di membri di fazioni di destra, non deve temere di qualificarsi “complottista, catastrofista e comunista”. È venuto a spiegare che “la nazista Polonia ed i nazisti Paesi Baltici stanno preparando per e con gli Usa la guerra alla Russia. L’Ucraina di Janukovic, il suo esercito, i suoi servizi, la sua economia erano già completamente nelle mani di Canada ed Usa. Perché mai cominciare in Ucraina una guerra alla Russia?”. L’ex inviato dell’Unità a Mosca ripete parole dette e scritte per decenni, sullo sciovinismo Usa e sull’uscita dell’Italia dalla Nato. Cambia solo la platea cui chiede le firme. Così i tentativi di rimettere in piedi una decente opposizione destra a Marino volano altissimi, anche troppo. Verso quel partito rossobruno, già raccontato da Pennacchi nel suo “Il fasciocomunista”, che ha il vantaggio di consolare a destra come a sinistra un vago nostalgismo, innamorato dei tempi del Pci, dell’Msi e, perché no, della Dc. La rivendicazione del nazionalismo putiniano è ormai un must per tutta la sinistradestra europea che dal Front National all’Ukip di Farage, da Indignados a Tsypras e Alba Dorata chiede di uscire dalla Nato.

Ora la Lega di Maroni e Salvini è putiniana, ma non così tanto rossobruna. Soprattutto poco desiderosa di cercare di dipanare i gomitoli ormai incomprensibili della storia. Nella speranza che l’ambiguità, come fa per il partito di governo della Fusinistra, mieti qualche voto in più. Magari candidando anche il camerata Chiesa.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:01