L’Europa delle quote non sa far di conto

martedì 28 aprile 2015


In ansiosa attesa di conoscere il pensiero di altri cantanti di musica leggera, Celentano e Vasco Rossi in testa, dopo la preziosa esternazione di Gianni Morandi sul tema del flusso continuo di migranti in Italia, non ci rimane che riflettere con le nostre povere forze morali e intellettuali su ciò che sta accadendo. Cercando, naturalmente, di ricordarci che anche noi italiani, un tempo, siamo stati migranti e ora, al più, siamo protagonisti di una costante fuga di cervelli. Purtroppo, non ci risulta invece che sussista alcuna fuga di cantautori o rockettari nostrani i quali, evidentemente, hanno trovato l’America da noi.

Il punto, secondo me, è semplicemente che l’Italia e l’Europa non hanno saputo prevedere il flusso crescente che sta sviluppandosi e, di conseguenza, non sanno esattamente cosa fare per non esserne travolte. Anche la geopolitica, in altre parole, non è una scienza esatta e nessuno, che io sappia, ha scritto nero su bianco che in questi anni il nostro Paese sarebbe stato oggetto del fenomeno di cui stiamo parlando. Ma ora c’è e qualcosa occorre fare perché le differenze con qualsiasi altro fenomeno analogo, emigrazione italiana inclusa, sono enormi. Esse non sono solo di ordine linguistico – che portavano con sé anche i nostri migranti negli USA - ma riguardano, a quanto pare, le cause. I nostri migranti, più che fuggire dall’Italia, erano attratti da un Paese, gli USA e altri Paesi americani, che ai loro occhi apparivano come una terra promessa, capace di offrire lavoro e benessere. Essi non fuggivano da guerre locali, mortalità o persecuzioni, ma erano mossi da una speranza ragionata, così come avevano fatto i milioni di tedeschi, olandesi, francesi che hanno costituito la ricca ed eterogenea cultura nordamericana.

La migrazione in atto, che sta sconvolgendo e ancor più sconvolgerà l’Italia e l’Europa nei prossimi anni, è cosa affatto diversa. E’ un processo che le attuali vicende tribali africane stanno esacerbando, ma che era scritto nella storia degli ultimi due secoli. Da quando, cioè, grazie alla libera iniziativa, al mercato, alla scienza e alla tecnologia, l’Europa e l’America hanno gradatamente messo in piedi quella che oggi sbrigativamente chiamiamo il ‘mondo occidentale’, liberale, democratico e fondato sull’idea, realizzatasi concretamente anche se non totalmente, che la proclamazione dei diritti dell’uomo poteva essere seguita da processi reali, sia pure nei limiti posti dalla nostra natura di esseri umani, non demiurghi.

Negli anni settanta un amico e collega, Karamjit S. Gill, ora professore emerito al Politecnico di Brighton, proveniente dal Punjab indiano, era la disperazione della comunità locale inglese poiché ogni sera andava al porto per aiutare centinaia di indiani e di altre nazionalità ad entrare nel Regno Unito e a trovarvi accoglienza e sistemazione. I suoi sforzi ostinati hanno avuto successo e, oggi, gli inglesi accettano senza problemi la convivenza con gruppi sociali provenienti de territori lontani ma, ormai, perfettamente integrati nella società inglese.

Se la Storia, per chi, ovviamente, la conosce, può insegnare qualcosa senza bisogno di farsela raccontare da un cantastorie ben addestrato dalla sua ‘agenzia di comunicazione’, non possiamo sottrarci all’evidenza empirica: i flussi ci sono e sono in aumento.

Il problema grave, anzi gravissimo, è semmai quello dei numeri. E, qui, l’Europa, così come è oggi, sta perdendo ancora una volta tutta la sua autorevolezza non solo politica ma soprattutto morale. L’Europa si sta manifestando da sempre meticolosa, persino fastidiosamente pedante, misuratrice e normatrice di tutto fino alle dimensioni delle vongole ma non sembra avvertire l’anomalia di ciò che sta accadendo ai propri confini meridionali. Forte, si fa per dire, del diritto marittimo e dei trattati, che ci inchiodano al dovere del salvataggio e dell’ospitalità, l’Europa non capisce o, magari per motivi elettorali, fa finta di non capire che le dimensioni che i flussi stanno assumendo non risparmieranno questa o quella nazione ma riguarderà tutti i Paesi del continente perché il fenomeno è, come si dice, strutturale e non congiunturale.

In questo senso, purtroppo, anche le misure dissuasive come le missioni militari su questa o quella costa africana, verranno registrate storicamente come superficiali e transitorie misure di contenimento e nulla più. Ciò che l’Europa dovrebbe e potrebbe fare, aldilà di momentanee iniziative di polizia marittima ancorché giuridicamente incerte anche se sempre più inevitabili, è invece il varo di norme dalle quali i flussi non possano derogare, inclusa una pianificazione di lungo periodo della distribuzione ammissibile, per quote, dei migranti in ognuno dei Paesi europei. Cosa più impegnativa, certamente, della fissazione delle quote latte o di quelle ‘rosa’ ma anche un po’ più rilevante in relazione ai valori e ai principi etici di cui il Vecchio continente si proclama ad ogni occasione portatore quasi esclusivo.


di Massimo Negrotti