Lo straordinario effetto delle illusioni renziane

martedì 28 aprile 2015


Oramai, come dimostra la dura contestazione inscenata dai soviet della scuola pubblica ai danni del ministro Stefania Giannini, con tanto di pentole e coperchi all’Argentina, l’Italia sembra preda di una deriva collettivista irreversibile.

Malgrado la colossale stabilizzazione in atto nel più grande carrozzone dello Stato, nel quale vi sono più bidelli che carabinieri in servizio, messa in piedi dall’attuale mago dei pasti gratis, da ogni angolo del Paese monta la protesta contro un Esecutivo reo di non assumere in pianta stabile chiunque ne faccia richiesta. Ciò secondo una delirante interpretazione della Costituzione, la quale dovrebbe garantire a tutti uno stipendio a prescindere. Ovviamente questa vorace spinta a trovare riparo sotto il comodo ombrello pubblico non l’ha certamente inventata Matteo Renzi (già nella metà dell’Ottocento l’illustre economista Frédéric Bastiat scrisse che “lo Stato è la grande finzione attraverso la quale tutti cercano di vivere alle spalle di tutti gli altri”). Tale spinta, soprattutto in Italia, è ben presente in modo quasi prevalente da decenni, in contrasto con quell’essenziale senso della responsabilità individuale che andrebbe altresì salvaguardato come un bene prezioso, poiché solo da esso deriva la capacità di un popolo di produrre ricchezza.

Tuttavia, l’aver sparso a piene mani illusioni a buon mercato, facendo credere di poter accontentare qualunque aspettativa presente nella pancia del Paese a colpi di bacchetta magica, non può che determinare come contraccolpo un incendio di proteste lungo tutta la Penisola, visto che il sistema pubblico vive da molto tempo ben oltre il limite della sostenibilità.

Nella scuola in particolare, già prima delle assunzioni in pianta stabile promesse dall’alchimista fiorentino, operavano un numero spropositato di addetti, con una quantità di docenti, in rapporto alla popolazione studentesca, quasi doppio rispetto a Francia, Germania e Gran Bretagna. E per allargare ulteriormente l’enorme pianta organica si sono inventate le figure più astruse. Alle elementari dall’insegnante unico di qualche decennio addietro, si è passati ad una pletora di figure di cui francamente non si coglie l’effettiva utilità. In estrema sintesi, si può dire che in Italia una pubblica istruzione sempre più autoreferenziale appare orientata a formare eserciti di aspiranti insegnanti onde aumentare a dismisura l’esplosiva domanda di nuove cattedre, alimentando una spirale senza uscita.

Da questo punto di vista, uno statista coraggioso dovrebbe spiegare al Paese che l’epoca delle vacche grasse è finita e che dalla crisi si esce solo rimboccandosi le maniche. Un cacciatore di consensi, al contrario, continua imperterrito a raccontare a destra e a manca che l’eccesso di Stato non è il problema, come noi liberali ci ostiniamo a ritenere, bensì l’unica soluzione praticabile. Ne consegue che l’unica via per accontentare le voraci aspettative di chi non aspetta altro che salire in groppa al prossimo è quella che passa per un’ulteriore estensione della esorbitante spesa pubblica e della relativa pressione fiscale. La Grecia si avvicina.


di Claudio Romiti