Il 25 Aprile 2015: no comunista, no party

Anche questo 25 aprile è passato. Tiriamo un sospiro di sollievo dopo giornate di retorica partigiana profusa in quantità industriali.

Manca l’appuntamento del 1 maggio per chiudere la settimana santa della sinistra. Diciamoci la verità: le due ricorrenze non sono feste di popolo inteso come l’insieme degli uomini e delle donne d’Italia. Sono la celebrazione di una parte sola. Sono il pretesto per tirare fuori dalla naftalina le bandiere con la falce e martello per farle prendere aria.

Il 25 aprile in particolare è l’occasione per riascoltare alcuni motivetti della sinistra evergreen. È l’occasione per vedere in strada una po’ di varia umanità che gioca a scimmiottare la gioia e l’orgoglio dei partigiani veri, quelli che settant’anni orsono sfilavano per dire al mondo che l’incubo era finito. È l’occasione per la compagna Laura Boldrini, presidente della Camera dei deputati, di far sapere in giro che lei c’è: vive e lotta insieme a noi. Peccato però che oltre ai soliti funzionari di partito, ai quadri della Cgil, ai centri sociali antagonisti e ai movimenti viola, arancione, paonazzo, in piazza, non sia andata la stragrande maggioranza degli italiani. Sono tutti stupidi e menefreghisti? Sono tutti ignoranti che non conoscono la storia? Certo che no. Probabilmente quell’Italia assente vorrà pur dire qualcosa. Potrebbe voler dire che dopo decenni di memoria spezzata e di contrapposizione frontale tra presunti buoni e certificati cattivi, sarebbe ora di darci un taglio. Davvero qualcuno pensa che esistano ancora nostalgici del fascismo da contrastare “di nuovo come un tempo”?

Forse sono soltanto italiani convinti che nel Paese, dopo l’8 settembre del “tutti a casa”, si sia combattuta una guerra civile. Magari alcuni di loro pensano che il sangue dei vincitori sia dello stesso colore di quello dei vinti. Come uguale sia il colore del lutto per le famiglie che, a quel tempo, pagarono a caro prezzo l’insensatezza di una guerra combattuta dalla parte sbagliata. Altri invece non sono scesi in piazza per senso dell’educazione: non è cortese presentarsi a una festa alla quale non si è stati invitati. Già. Perché il 25 aprile è diventato un party a chiamata. Una festa a sorpresa, dove per essere creativi si riscrive la storia a piacimento degli organizzatori. È così che funziona negli incontri glamour. È così che ha funzionato anche in quest’ultimo 25 aprile. Una prova? La presenza in testa ai cortei di associazioni pro-palestinesi che peraltro si sono prese la briga, a Milano, di contestare a suon di sputi e insulti la rappresentanza della mitica “Brigata ebraica” che la guerra al nazi-fascismo l’ha combattuta sul serio. Certo che ci vuole un bel coraggio a ribaltare la verità a tal punto. Si accusa di nazismo gli ebrei che da quella follia criminale vennero sterminati mentre si osanna la presenza degli epigoni di coloro che durante il conflitto mondiale erano schierati dalla parte del Führer.

Cari compagnucci della parrocchietta rossa, è proprio così che è andata. Non lo sapevate che il Gran Muftì di Gerusalemme, Muhammad Amīn al-Husaynī, implacabile antisemita, nume tutelare e zio di Yasser Arafat, aveva il suo quartier generale nella Germania nazista e dialogava con Hitler in persona? Nessuno vi ha detto che i volontari musulmani, su espressa richiesta del Gran Muftì, furono inquadrati nella 13a divisione SS Handschar? Furono ferocissimi, i combattenti con le mostrine su cui era cucita la spada dell’Islam accanto alla croce uncinata. Ecco! Questo è stato il 25 aprile della sinistra, tutta libertà e democrazia. E poi ci si chiede del perché gli italiani se ne siano rimasti a casa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31