Pannella, il padre politico spirituale

Arrivato a una certa età ti rendi conto che la tua propria vita non è libera e forse non lo è mai stata. Alienato e bloccato da abitudini, non importa se buone o cattive, come da schemi mentali e affettivi vedi che il tempo passa e gli affetti si allontanano come le immagini al cinema le une dopo le altre. Non incidi nella storia ma neanche nel tempo delle persone.

La gioventù passa tutta in fretta come una lunga allucinazione di entusiasmo. E di sofferenza. Per la non rispondenza di questi entusiasmi verso persone e cose alla realtà. Non parliamo delle ideologie e degli ideali che sono i primi grandi cancelli della tua coscienza. Certo può anche capitarti, in Italia come in Europa o nel mondo, purché tu sia nato nel ventesimo secolo e nel ventunesimo tu abbia continuato a viverci, di incontrare una persona unica come Marco Pannella. Nella mia eterna ricerca del padre, spesso arenatasi a cospetto di figure autoritarie benché amiche, a un certo punto ho conosciuto Pannella. E ho visto la luce.

Recentemente ho bevuto champagne Veuve Clicquot e mangiato una fetta di torta alla panna insieme a Maurizio Turco e all’avvocato radicale Giuseppe Rossodivita proprio ai festeggiamenti degli 85 anni di vita del grande guru della vera politica italiana, quella che è diretta discendente del Risorgimento liberale. Si sono rievocati i bei tempi. Di quando c’erano i voti e i soldi. Quello che Pannella, unico padre rimastomi dopo la morte del mio naturale, non vuole capire (o fa finta per pudore di non capire) è che oggi è la stessa opinione pubblica cui lui si appella ad essersi trasformata in regime. Lui non andava in tivù negli anni Settanta dello scorso secolo come non ci va oggi. Ma prima un bel po’ di voti li prendeva lo stesso. E anche di soldi dai militanti. Oggi no. Perché?

A mio parere le persone si sono così disilluse di tutto che hanno buttato via il “bambino” Pannella con l’acqua sporca della politica. Scusatemi se oggi mi esprimo con queste metafore povere, ma a giorni mi prende così. Pannella oggi non si trova di fronte a quell’Italia ancora da svezzare di fine anni Sessanta, per la quale già la conquista del divorzio, e poi dell’aborto, era destinata a restare una conquista di cui parlare. Quell’Italia che si sentiva in colpa se trasgrediva. Che nascondeva maniacalmente gli adulteri e i vizi. L’Italia della duchessa Casati Stampa e dello scandalo della morte di Wilma Montesi o di quello Number One. L’Italia che scopriva la pornografia su “Le ore” o su “Abc” di Cardella. O quella che fumava le canne a Macondo.

L’Italia di oggi si è adattata al “si fa ma non si dice” in maniera cinica. E organizzata. Per lo più sotto l’egida della criminalità politica e delle mafie del proibizionismo su tutto. Non più democristiana ma post moderna. Vale per l’adulterio, la droga, l’eutanasia, i diritti civili tra coppie dello stesso sesso. Qualunque cosa. È l’Italia del “never ask and never tell”. La società, nutrita ad ipocrisia da più di cento anni, si è presa da sola quello che le serviva rubandolo nel grande supermercato dell’etica e delle idee, e adesso semplicemente lo nasconde, non vuole pagarlo e fa finta di avere sempre gli stessi tabù.

È l’Italia di Angelino Alfano che soppianta quella dei Gasparri. Non ce li ha più, “sti tabù”, ma li conserva in forma simbolica, di simulacro, perché le fanno comodo. E quindi il ruolo di un grande dissacratore, a questo punto, rischia di venir meno se non si ricalibra su questo nuovo sentire della gente. Questo sempre con l’enorme tara della mancata presenza delle tematiche radicali nei dibattiti televisivi e nei talk-show. Definendo snobisticamente in un solo concetto tutto ciò, si potrebbe dire che oggi le “buone idee” e le “buone ragioni” dei Radicali (che l’Italia capisce sempre un quarto di secolo dopo, per esempio la legalizzazione di tutte le droghe a cominciare, subito, da quelle leggere) sono venute inspiegabilmente a noia.

Che fare allora? Pannella dovrebbe forse definitivamente autorottamarsi e aprire una gara d’appalto politico-europea per trovare dentro la galassia transnazionale radicale il Renzi dei Radicali. Anzi il Mosè. Quello che li riporta in Parlamento e nelle istituzioni per cambiarle finalmente dal di dentro. D’altronde la classe politica nata dal Partito radicale, al netto dell’opportunismo dei vari Rutelli e Quagliariello, è sempre stata ragionevolmente prevalente nella Seconda Repubblica. I miei auguri a Pannella consistono nell’augurargli, appunto, che si accorga di questo cambiamento di mentalità da parte dell’opinione pubblica italiana. Che, stanca di combattere donchisciottescamente il regime, adesso tenta di farlo in maniera omeopatica. Con il rischio, però, di omologarsi a esso. Filosoficamente i Radicali potrebbero entrare in questa contraddizione per fare nuova politica.

Ripulire l’opinione pubblica dal lavaggio di cervello fatto di forcaiolismo, “contentinismo” e “fatalismo sul culo degli altri”. I talk-show ci hanno peggiorato ontologicamente dopo aver rovinato la nostra esistenza. Adesso ridateci il giornalismo, quello vero. Quello di Leonardo Sciascia e di Marco Pannella corrispondente da Parigi per “Il Giorno”.

 

(*) Tratto da un libro futuro di Dario Dimitri Buffa dal titolo “L’affitto della torre d’avorio (sempre più caro)”

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:33