Pensioni, giornalismo e... malafede

Cari direttori e cari colleghi, vi leggo e vi seguo. State costruendo, con l’aiuto di Mario Monti e Sabino Cassese, il mito dell’articolo 81, senza rendervi conto che l’articolo 81 non è tra gli articoli fondamentali (1-12) della Costituzione e non è quindi la supernorma costituzionale, che schiaccia i diritti fondamentali dei cittadini alla Giustizia, all’uguaglianza di trattamento e all’equità. L’articolo 81 ha la faccia della Merkel, che ci ha imposto una sudditanza suicida verso Bruxelles e Berlino. Colpire i pensionati è uno sport nazionale, ma i pensionati sono quelli che ancora per poco acquisteranno i giornali di carta. Poi scenderà la notte sulla stampa italiana e andrete tutti a casa. E noi rischieremo la pensione sociale. State costruendo questo futuro. Quando andrete in quiescenza anche il vostro assegno sarà di 500 euro. Meditate. Possiamo bloccare le scelte demagogiche e offensive di Merkel & Renzi & Boeri. Abbiate il coraggio di non essere servi della Ue, del governicchio Renzi, delle banche e del potere economico. Costringete il Parlamento a fare leggi durissime contro evasori, mafiosi e i big del sommerso. Il Governo non tassa 1000 miliardi ogni anno e, invece, massacra i pensionati. Vergogna!” (Franco Abruzzo, presidente Unpit, nella foto).

Un vero, peraltro maldestro, lavaggio del cervello cui hanno contribuito anche gli pseudo-programmi di approfondimento, i vari talk-show, da “Piazza pulita” a “Ballaro’”, passando per “Dimartedì” e “Servizio Pubblico”. Neanche in maniera tanto cosciente. C’è il pilota automatico in Italia quando i giornalisti vengono spronati dai direttori e dalle aziende a sparare cazzate verso i poveri utilizzatori finali delle notizie. E bene fa Franco Abruzzo nella letterina inviata ai “giornaloni” che potete leggere quì sopra a minacciare il boicottaggio dei pensionati. Che poi sono gli ultimi rimasti a leggere ed a comprare la carta stampata.

Nei giorni scorsi l’esperto che ha fatto da mattatore è stato lo stimatissimo ex giudice e presidente di Corte Costituzionale, Sabino Cassese. Che come una Madonna Pellegrina ha imperversato dalla Annunziata e sui giornali con lo scopo neanche tanto recondito di promuovere il proprio libro “Dentro la Corte” edito circa un anno fa. Della serie: il ferro si batte finché è caldo e si approfitta di ogni occasione per autopromuoversi. Peccato che la disonestà intellettuale e la malafede non riescano sempre a fare agio sull’opinione pubblica. Sempre meno disposta a farsi assoggettare psicologicamente da quelli che Renzi quando gli faceva comodo chiamava “i professoroni”. Quelli esperti nel “Cicero pro domo sua”. E che anni fa un certo Julien Benda avrebbe definito i “chierici traditori”.

I professionisti del “ricalcolo delle pensioni con il metodo contributivo”, una cosa altrettanto incostituzionale che condannare qualcuno per una tipologia non prevista come reato nel momento della commissione dell’atto. “Tempus regit actum” non dice nulla a questi Tito Boeri, Giuliano Cazzola e Cassese vari. Ma si capisce: chi scrive sul “Corriere” lo sa che scrive per il giornale delle banche che in Italia detengono grosso modo un quarto del debito pubblico. Il quale ultimo se venisse ulteriormente declassato metterebbe in serio pericolo gli azionisti. E siccome con un aggravio del debito pubblico per risarcire i pensionati questo declassamento sarebbe quasi automatico, ecco i professoroni di cui sopra tutti intenti nell’affannarsi a richiamarsi ad arrampicarsi sugli specchi. Magari citando come mantra l’articolo 81 della Costituzione (così come novellato per vigliaccheria dal Governo Berlusconi nell’ultima fase del suo ultimo Esecutivo) come principio cardine della nostra Costituzione. Che invece, come ricorda Abruzzo a sti professori a un tanto al chilo, si regge sui primi dodici (12) articoli, tra cui ci sta anche quello dell’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il terzo, che è alla base della sentenza della Consulta che ha restituito ai pensionati derubati dal Governo Monti-Fornero.

D’altronde, se una Costituzione si reggesse esclusivamente sulla cassa, sul bilancio, sarebbe un “frutta e verdura” il nostro Paese. Se ci fosse onestà intellettuale il discorso finirebbe qui e i politici troverebbero altre forme di cespiti, abolendo le Regioni, legalizzando prostituzione e droghe leggere, o altre cose ancora, per mettere una pezza ai loro errori. Invece è comodo far sentire in colpa una persona perché è andata in pensione con il metodo retributivo. Come se fosse sinonimo di regalo. In queste cose si è particolarmente distinto un sottosegretario un po’ isterico di “Scelta Cinica”, che sta sempre in televisione e che non vale neanche la pena di menzionare per nome e cognome. Ma in realtà tutti sanno che fior di contributi si sono sempre pagati tranne che da parte di alcune categorie privilegiate da democristiani, comunisti e socialisti per motivi clientelari (tra esse quella dei sindacalisti e dei politici che si sono giovati della famigerata Legge Mosca). E che se l’Inps non fosse stato per anni il bancomat della spesa pubblica, quando si poteva appozzare in tutti i capitoli del bilancio statale perché nessuno storceva il naso, oggi sarebbe ricco come un fondo sovrano del Dubai con tutti quei versamenti.

E forse non ci sarebbe nemmeno stato bisogno della riforma Dini che dal 1995, gradualmente, ha passato tutti i neo assunti al contributivo. Dini peraltro, che si è dimostrato abbastanza onesto intellettualmente (i maligni dicono perché percepisce più di una pensione e tutte d’oro) ha precisato che la sua riforma che entrerà a regime nei prossimi anni non prevede, né poteva sognarselo, alcun ricalcolo contributivo. Ora, un Governo ormai disperato come quello del pur stimatissimo (da me) Matteo Renzi, dovrebbe rendersi conto che gli elettori pensionati non li si può prendere in giro o massacrare solo perché sono persone anziane. Anche perché hanno il difetto di andare a votare e di avere una memoria molto lunga, a parte quelli colpiti da Alzheimer. Malattia che presto sarà comunque curata. E che non si può proporre a qualcuno, come si leggeva ieri sui giornali, di andare in pensione quattro anni prima di quanto prevede la pessima (fatta coi piedi) riforma Fornero, decurtando l’assegno del 30 per cento con un ricalcolo contributivo chiaramente incostituzionale. Lì si potrà penalizzare di un due per cento annuo, forse di un tre, ma non di un 30 per cento per quattro anni.

Anche perché la legge fallirebbe: chi sarà mai quel coglione che non pazienterà qualche anno in più per godersi la pensione intera? Ma qui casca l’asino, come avrebbero detto gli antichi: le scorciatoie usate negli anni della Seconda Repubblica alla fine mostrano la corda e si trasformano in boomerang per i conti pubblici, oltre a calpestare i princìpi costituzionali basilari della gente. Uno Stato ridotto come è l’Italia avrebbe il diritto e il dovere di puntare su ben altri risparmi e altre entrate straordinarie per mettere i conti in ordine. Ad esempio, fare un bel discorsetto a tutti gli italiani bigotti e ipocriti che magari vanno a mignotte il sabato sera, o ci sono andati nel corso della loro vita, e spiegare loro che questo moralismo degli stenterelli non ce lo possiamo permettere più.

E pertanto, con buona pace di Giovanardi, Gasparri e compagnia vociante, la prostituzione viene trasformata da “mestiere più antico del mondo” in mestiere regolamentato e tassato come tutti gli altri. Stesso discorso tendenzialmente con tutte le droghe, a cominciare almeno da quelle leggere. Visto che è la Direzione nazionale antimafia a suggerirlo: in Italia ci sono 4 o 5 milioni di consumatori abituali di marijuana, perché non far loro pagare il vizio in maniera fiscale invece che penale? E regalare i soldi alla mafia? Oltretutto si risparmierebbero anche i soldi di questi apparati che dànno la caccia al mare con il secchiello. Un vero e proprio circolo virtuoso economico. D’altronde se lo stanno facendo tutti gli Stati Uniti dell’America che inventarono la guerra alla droga negli anni Settanta e Ottanta, perché non possiamo imitarli anche noi così come a suo tempo imitammo questo assurdo proibizionismo che ha invaso il mondo di droga e di capitali sporchi? Poi c’è il capitolo Regioni, una cosa giusta che ha detto il governatore della Campania, Stefano Caldoro (e che da sola giustificherebbe la sua rielezione), è stata quella di abolirle o almeno accorparle. Togliendo loro i centri di spesa pubblica. Chiudendo questi suddetti centri di spesa che vennero studiati nel 1970 per dare la possibilità anche al Pci, tramite le regioni rosse, e al Psi, di partecipare al mangia mangia di sottogoverno. Ad altro non sono mai serviti. E con la riforma del Titolo V avere dato loro competenze sulla spesa sanitaria è stato l’Armageddon finale.

Ecco, forse nei talk-show e nei giornali sarebbero queste le cose di cui parlare. Non dell’arbitrario ricalcolo delle vecchie pensioni e non della criminalizzazione dei pensionati... Così le persone perbene e in buona fede ricomincerebbero, forse, persino a comprare i giornali. Quelli che oggi invece stanno meritando i loro continui stati di crisi. “Accà nisciuno è fesso”, avrebbe detto Totò.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30