La legalità secondo Matteo

Dopo tanta retorica in tema di legalità e di rispetto delle regole, ecco un bell’esempio proprio da parte del Governo. Che ciò che è giusto non coincida, necessariamente, con ciò che é legale appare ovvio da sempre. Ma che la sentenza, inappellabile, della massima istanza giudiziaria, ossia la Corte Costituzionale, circa il rimborso del maltolto a seguito del provvedimento sulla indicizzazione delle pensioni, possa essere solennemente trascurata proprio dal Governo in nome di una pretesa giustizia è veramente allarmante.

La questione è molto semplice. Fermo restando che la stessa Corte ha suggerito al Governo di ricorrere alle forme più idonee per ripristinare la legalità, cioè per restituire ciò che era stato tolto in un momento assai delicato della vita economica italiana, il suo verdetto è del tutto chiaro: la restituzione riguarda tutte le pensioni e non solo quelle più basse, purché derivanti da un corretto “contratto” fra un cittadino e lo Stato. Si tratta dunque di una questione di principio che non dipende dall’ammontare della pensione, perché il fatto stesso che la pensione sussista legittimamente è causa sufficiente perché essa debba essere protetta, secondo legge, dall’erosione dell’inflazione. Va da sé che, se anche l’attuale situazione della contabilità dello Stato non consente il risarcimento totale a tutti, un Governo che desiderasse cogliere l’occasione, fra le tante, per sottolineare il principio di legalità dovrebbe ripartire le risorse economiche disponibili secondo i normali calcoli della ragioneria, rispettando il reale ammontare delle risorse sottratte indebitamente.

Al contrario, ecco di nuovo emergere la “strategia del misurino”, forzando in tal modo la lettera della sentenza della Corte in nome della “giustizia sostanziale” tanto cara ai socialisti di tutti i generi: la restituzione sarà proporzionale all’ammontare della pensione, fino ad azzerarsi sopra una soglia fissata. È chiaro che nessuno, credo, fra coloro che percepiscono una pensione robusta, è mosso dalla bramosia per un bonus di qualche centinaio di euro a dispetto di chi deve sopravvivere con una pensione bassa o addirittura misera e di quel bonus farà certamente buon uso. Un Governo saggio avrebbe potuto, e dovuto, restituire ciò che è disponibile a tutti e magari, subito dopo, decretare, se indispensabile conti alla mano, un nuovo “contributo di solidarietà” a carico delle pensioni più alte. In questo modo avrebbe salvato la capra – cioè il rispetto della sentenza – e i cavoli – cioè la giustizia redistributiva.

Nella sostanza, il risultato sarebbe stato identico ma, almeno, si sarebbe salvata l’idea stessa della forma giuridica e dello Stato che la rispetta in una vicenda che, riguardando il reddito, è quanto mai cruciale nel determinare gli orientamenti della coscienza individuale nel valutare gli eventi sociali ed econimici collettivi. Invece, è stata scelta la via più popolare e drastica, quella della “giustizia sostanziale”, perdendo ancora una volta l’opportunità di celebrare il primato dello Stato di diritto. Ma, in fondo, ciò non deve stupire così come non deve stupire che le sinistre non abbiano nulla da ridire.

Per loro, cresciuti nella miope convinzione che la ricchezza debba essere punita o per chi, come Matteo Renzi, è cresciuto nell’adorazione delle patetiche idee lapiriane, la legalità ha senso solo se coincide con la giustizia e, ciò che è giusto, lo stabilisce lo Stato attraverso le inclinazioni dei partiti, dei ministri e del primo ministro stesso. Non stupirebbe, a questo punto, che simili precedenti possano valere anche per altre vicende. Poniamo, per esempio, che una certa classe di contravvenzioni siano giudicate dalla Corte incostituzionali e che, quindi, molti cittadini debbano essere risarciti: chi potrebbe scandalizzarsi se, anche qui, la restituzione fosse graduata secondo il reddito? Lo stesso potrebbe valere per il rimborso a seguito di errori fiscali, e così via.

Insomma, una via al socialismo di fatto ma con il pudore, ipocrita, di negarlo e di proclamare la “modernità liberale” delle nuove politiche. Tuttavia le conseguenze morali di questo modo di fare non sono risibili. Se, come pare, il ceto medio e medio alto non devono aspettarsi alcun nessun rimborso secondo legge e devono mettere in preventivo anche l’assenza futura di qualsiasi forma di indicizzazione, non potranno che avere un’ulteriore prova della totale assenza, in Italia, di qualsiasi forma di certezza del diritto. E il fatto che, a promuovere questa brillante constatazione, sia il Governo, non può che aumentare la diffidenza, e la repulsione morale, nei confronti di chi predica bene e razzola male.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30