Ucraina, il racconto delle stragi dei cani

Ero su Twitter quando appresi i primi timidi cenni di una notizia che mai avrei voluto leggere. Una tragedia a cui sia io che altri non volevamo credere. Forse un errore, una delle tante storie inventate che girano sui social. Non poteva essere che la ferocia dell’uomo arrivasse a tanto, perché quei settanta cani che erano stati tirati via dalla strada, strappati alla morte, curati, nutriti, amati, che ora gioivano di nuova vita erano ridotti in cenere. Si perché la fine di cui si parlava era orrenda, tutti arsi vivi per la follia di chi ha ritenuto opportuno porre fine ad un progetto che stava iniziando pian piano, faticosamente, e che l’italiano Andrea Cisternino (nella foto) stava portando avanti tra tante difficoltà, mettendo a repentaglio anche la propria vita in un Paese come l’Ucraina. Questa intervista è dedicata alle vittime innocenti che hanno riassaporato la vita e poi ancora una volta sono ricadute, come per un destino diabolico, nelle atrocità dell’essere umano. È dedicata ad Andrea che ha lottato in questi anni, tenendo duro, continuando il proprio cammino. Ma è dedicata anche a tutti coloro che decidono di esserci davvero, con i fatti e non solo a parole, a tutti gli uomini di buona volontà convinti altresì che un’informazione consapevole sia il primo passo per generare il cambiamento.

Andrea, per chi non avuto occasione di leggerti è necessaria una breve tua presentazione.

Sono un fotografo di moda e di costume che ha lavorato a Milano e un po’ in giro, ovunque fosse importante per il mio lavoro. Ma anche un convinto attivista avendo fatto animalismo da sempre. Il destino ha voluto che proprio in Ucraina iniziassi a vedere ed a vivere drammaticamente le terribili stragi dei tantissimi cani. Nel 2009, l’Ucraina insieme alla Polonia ebbe l’onore di organizzare gli Europei di calcio. La Uefa nei sopralluoghi delle città come Kiev, e non solo, ovvero nei luoghi dove si sarebbero svolte le partite, si trovò di fronte a migliaia di animali randagi, erranti per le strade delle città. L’allora dirigente Uefa Martin Caller disse che in Ucraina non dovevano esserci randagi durante lo svolgimento delle partite. I randagi, quindi, in un modo o in altro dovevano sparire. Fu deciso così. E tutto quindi andò avanti silenziosamente, con la consapevolezza di molti calciatori come Platinì e molti altri, una strage silenziosa tenuta rigorosamente nascosta dal governo, che con molta attenzione non fece trapelare nulla oltre i propri confini. Voglio aggiungere tuttavia che il randagismo non è nato con gli Europei, e le sterilizzazioni adottate sino ad allora si rivelarono insufficienti, di canili c’è ne era solo uno dove i cani venivano messi puntualmente nelle camere a gas. Da lì iniziai un percorso di denunce perché mi resi subito conto di quello che stava succedendo. Da animalista ho sentito subito l’obbligo di restare, di documentare quello che si stava svolgendo sotto i miei occhi. Dovevo tornare in Italia, io e mia moglie decidemmo di restare in questo Paese per portare avanti un progetto, e aiutare i volontari ucraini che lì non avevano soldi né mezzi. Da allora sono passati quasi sei anni.

Perché e in che modo venivano perpetrate queste stragi?

Le stragi esistevano perché i cani davano fastidio alla Uefa, ai tanti turisti, alle riprese televisive, era una “macchia” che si doveva in ogni modo coprire in un Paese in cui non c’era una cultura di rispetto animalista. Nel 2009 c’era un numero considerevole di animali anche se poi erano spesso randagi che vivevano nel centro di Kiev. Li vedevi giocare con i turisti, non erano animali aggressivi perché erano sfamati. Ma tant’è. Si è irrimediabilmente proceduto. Sono andato in Ucraina nel 2009 e già allora erano iniziate le stragi di massa, io lo venni a scoprire nel 2010 e poi ne ebbi conferma per fine 2010-2011, quando toccai davvero con mano il problema anche perché ne rimase vittima proprio il mio cane di 13 anni, che morì avvelenato a Kiev. In Ucraina dal 2009 al 2013 secondo stime non ufficiali sono stati uccisi circa 250mila animali. Una cifra esorbitante. I cani venivano uccisi nei modi più violenti, tra i tanti con il veleno (quando in Ucraina c’è una legge che vieta esplicitamente l’uccisione di animali soprattutto con il veleno e questo l’ho ripetuto anche all’ambasciatore a Roma in un recente incontro) oppure narcotizzati, sparati, pugnalati e buttati in fosse comuni e coperti con il cemento ancora vivi. E aggiungo per assurdo che i dog hunter andavano in televisione propagandando la loro attività. Credo di aver visto e vissuto in questi anni una violenza pazzesca contro questi animali. È molto duro e io non essendo abituato ogni volta che accadeva, chiudevo gli occhi e andavo… senza mai fermarmi, sì perché dovevo. Il dolore non mi ha mai fermato. Quando mi chiedono “ma come fai?”, io ho sempre risposto: “Qualcuno il lavoro sporco lo deve pur fare”. Ed è toccato a me!

Come arriviamo a “Rifugio Italia”?

Ho pensato che l’unica maniera per denunciare questo scempio era usare, come dissi a Licia Colò, un metodo pacifico e civile: la macchina fotografica. Ricordo le parole di un mio vecchio maestro di fotografia: “Noi abbiamo un’arma molto più potente dei fucili ed è la macchina fotografica”, e quindi iniziai da lì. Poi decisi di costruire Rifugio Italia perche doveva essere la mia risposta a tutti coloro che avevano guadagnato soldi da queste stragi con la Uefa, Platinì e altri nomi che ho fatto sempre. Ho deciso quindi di costruire un luogo che fosse atto a salvare vite per rispondere all’eccidio folle dei dog hunters in modo concreto. Rifugio Italia nasce esattamente circa un anno fa e veniva costruito in base alle donazioni quindi era ancora un lavoro che pian piano stava crescendo…

Arriviamo al punto cruciale e più doloroso. Che cosa è successo il 12 aprile scorso, giorno della Pasqua ortodossa?

Noi eravamo andati a comprare il cibo per i nostri animali a Kiev, ma arriva una chiamata dal sindaco del paese. Siamo corsi subito verso il rifugio e già a venti chilometri di distanza vedevamo il fuoco, le fiamme, il fumo, e abbiano capito che era successo qualcosa di disastroso. Ci siamo avvicinati, e appena scesi dal taxi (vivo con una guardia del corpo per le innumerevoli minacce subìte in questi anni) ho visto la gente di questo paese che guardava questo spettacolo inerte, senza fare nulla. Sono stato poi aggredito da un paio di persone che mi hanno tirato addosso di tutto. I pompieri sono arrivati dopo parecchio tempo parcheggiando l’autobotte a 200 metri e sono scesi con le mani in tasca mentre io disperato gli gridavo di correre. Quando sono arrivato c’erano ancora le fiamme, ma i cani erano tutti morti.

Quanti cani sono morti?

Sessantanove su 96 e una splendida gattina, Nastia, mentre la mamma - trovata poi dentro un fosso - si è salvata, perché lei come ogni giorno nonostante avesse cibo andava a caccia e portava alla sua piccola qualche topolino o altro. Se ne sono salvati grossomodo 25, perché alcuni sono riusciti a scappare. Oggi abbiamo 28 cani, gli ultimi tre presi su indicazione del sindaco che ci ha telefonato ed avvisato. Purtroppo la polizia sta facendo indagini che sembrano ad oggi concluse con questo responso: incendio doloso senza colpevole. La trovo una cosa allucinante, perché comunque ci sono delle testimonianze di persone viste scappare dal luogo dell’evento. Adesso però abbiamo bisogno solo di tranquillità, ho bloccato ogni qualsivoglia manifestazione con ottimi intenti ma che in questo momento destabilizzerebbero un equilibro molto precario a danno mio e dei cani. Stranamente e per la prima volta abbiamo comunque avuto piena collaborazione dalla polizia ucraina e dalla cittadinanza. Ci hanno chiamato dalle zone di guerra, dai canili lontani dell’Est Ucraina. Questi poveri animali hanno unito almeno per poco tante persone in un Paese molto difficile. E poi ci hanno mandato donazioni. Per la prima volta tanta gente ci chiede di venire a lavorare qui. Abbiamo trovato ragazzi ucraini che sono venuti di loro iniziativa a tirare via le macerie ed è la prima volta che è accaduto. È stato un caso nazionale ripreso da tutte le televisioni e dopo il fenomeno-guerra ciò di cui si parlava di più era la nostra tragedia. Ora abbiamo firmato un protocollo d’intesa con delle associazioni e dei parlamentari per cambiare le leggi in materia di maltrattamento animale e oggi addirittura si parla di delfinari, cosa mai successa in Ucraina.

Ritieni opportuno ricordare qualche storia dietro queste orribili morti, tutte uguali e tutte uniche?

È molto difficile. Tutti i nostri cani all’interno avevano delle storie e dei nomi, ognuno con la sua identità e storia drammatica alle spalle. Sara, la mamma con i cuccioli ritrovati sotto il cemento, ora è diventata bellissima. Lei viveva con Boris, un bellissimo cane lupo che abbiamo trovato davanti casa totalmente distrutto e che avevamo rimesso in piedi. Nell’ultima foto che ho fatto a Boris, due giorni prima della tragedia, stava con la scopa in bocca rubata ai volontari e i volontari che gli correvano dietro. Poi c’era Jack, il primo cane che è entrato al rifugio; Xinia, cane zoppo trovato ad una fermata… Ognuno aveva una storia di dolore alle spalle. Erano settanta storie di vita, due giorni prima eravamo lì ad abbracciarli tutti, chi andava a pensare che due giorni dopo sarebbe stato distrutto tutto!

Che cosa vuoi rispondere alle polemiche succedutesi nei giorni seguenti alla tragedia? 

Mentre i nostri cani ancora bruciavano hanno iniziato con degli attacchi vergognosi dall’Italia. Gente che ama parlare a vanvera e che non sa neanche che il progetto era il mio… e poi, fatto grave, due presidenti di associazioni e, sottolineo, fino al giorno prima assolutamente assenti ad ogni mio appello per la salvezza dei miei cani. Noi non esistevamo per queste persone che si stanno inventando cose assurde. Io ho scritto a questa gente di essere accorti, su Facebook quello che si scrive non è un gioco e si può essere perseguiti. Ho chiesto degli incontri diretti ad esempio con Loredana Pronio di Feder Fida e le ho ribadito “di andare in televisione per un confronto leale”. Tra l’altro alla mia conferenza stampa di questi giorni chiunque poteva venire e fare tutte le domande del caso e invece loro scrivono, scrivono… Spero solo che tutto questo scompiglio non generi effetti negativi e che non inneschi i dog hunter, perché loro si nutrono e si fanno largo proprio in situazioni come queste. Se succederà qualcosa a mia moglie, a Rifugio Italia o ai cani o ai ragazzi che lavorano lì, li riterrò responsabili.

Sì perché vale la pena di sottolineare che le squadre della morte esistono ancora, tanti animali vengono ancora uccisi...

Infatti i dog hunter si sono dissociati dall’incendio sostenendo di non esserne in alcun modo coinvolti, anche perché loro dicono “di uccidere non i cani dei canili ma quelli per strada”. Il giorno dopo questa dichiarazione sono stati uccisi 14 cani in strada.

Di che cosa hai bisogno oggi per il tuo “Rifugio Italia” e qual è il messaggio che ti senti di voler lanciare ai lettori?

Stanno arrivando tante donazioni, in sette giorni abbiamo raggiunto la cifra che ho chiesto in quattro anni ed a tal proposito sono stato criticato anche per questo perché sembra che abbia levato soldi agli altri cani… Adesso stiamo aspettando che finiscano le feste ucraine per iniziare la costruzione. Chiaramente quando ci sono i soldi è facile fare le cose. Costruiremo in maniera diversa con un sistema di videosorveglianza e dappertutto verranno messe delle recinzioni di 3 metri in metallo intorno al perimetro con del filo spinato sopra. Voglio dire a tal proposito che l’obiezione di un rifugio in legno è una sciocchezza, perché qui quando le temperature arrivano a -35 gradi, il cemento ghiaccia, quindi useremo cemento ma dentro sarà ancora di legno. A tal proposito, la polizia ucraina ci ha regalato dei loro progetti per la costruzione. Abbiamo sacrificato tutta la nostra vita per questo progetto. La nostra associazione è nata solo un anno e mezzo fa e non da quindici come qualcuno ha detto. E il sito attuale ho ritenuto opportuno farlo rifare tenendo aggiornati costantemente chi mi segue tramite la mia pagina Facebook. Ricordo che questo grande amore per gli animali è stato ancora prima dell’Ucraina il filo conduttore della mia vita, ho fatto chiudere anche due allevamenti da pelliccia. Credo che tutti questi cani, tutti quelli che ho incrociato in questi anni, mi hanno trasmesso ognuno qualcosa di prezioso. Vivo con il ricordo di ognuno. Sono tutti lì nel mio cuore, nella mia mente e nei miei ricordi. Ma se vogliamo cambiare davvero dobbiamo sancire il rispetto alla vita, bisogna iniziare dalle scuole insegnando ai bambini il rispetto dell’ambiente e di tutti gli esseri viventi. Il rispetto parola che oggigiorno manca. Voglio chiudere dicendo che nell’uomo non c’è rispetto ma spesso odio, ma negli animali mai. Tutti quegli occhi dei tantissimi animali che ho visto morire in questi anni, anche se uccisi per mano dell’uomo, nel loro ultimo respiro trasmettono amore, il loro ultimo sguardo è ancora una volta un atto d’amore per te che l’hai salvato. Io non mi posso fermare e non lo farò neanche ora.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35