Tempo scaduto   per i vertici Rai

Game over. Per la presidente della Rai Anna Maria Tarantola e per il direttore generale, Luigi Gubitosi. Fine corsa per i consiglieri di amministrazione nominati tre anni fa quando Silvio Berlusconi era ancora il Presidente del Consiglio. Per strada si era persa l’imprenditrice Luisa Todini, che aveva preferito accettare dal premier Matteo Renzi un’altra destinazione manageriale alle Poste. Si può tracciare un primo bilancio di questo triennio in cui l’azienda pubblica radiotelevisiva è andata perdendo identità e autorevolezza, spostandosi sempre più con le trasmissioni di approfondimento e con i programmi verso orientamenti di parte socio-politici o format presi chiavi in mano in appalto per raccogliere consensi di vasta portata ai fine dello share.

Sul piano editoriale la Rai ha offerto prodotti sempre meno in linea con la funzione di servizio pubblico, mantenendo un′anacronistica tripartizione tv (Raiuno, Raidue, Raitre) diventata quadripartizione con la fusione di RaiNews24 e Televideo e una perdente tripartizione radiofonica. C’è poi la questione dell’informazione regionale e della struttura delle sedi ferme al 1999. La Rai, in sostanza, non più al centro del sistema radiotelevisivo italiano, con scarsa propensione a valorizzare gli aspetti culturali, affidati a rubriche sbattute in fondo ai palinsesti notturni.

Giunta al termine questa gestione, il problema è come riformare la Rai. Molti osservatori ritengono che l’ingerenza dei partiti e l’attivismo del Presidente del Consiglio Renzi, che ritiene di dover “cambiare volto” a viale Mazzini, possano peggiorare le cose e non migliorarle. Il piano Gubitosi è rimasto al palo, bocciato dalle lungaggini e dalle divisioni politiche. La riforma abbozzata dal Consiglio dei ministri è stata accolta con molte riserve, e ritenuta di difficile realizzazione da parte dei vertici aziendali uscenti e dai sindacati sia dei lavoratori che dei giornalisti interni.

Non manca a Saxa Rubra ed a viale Mazzini il “giochino” di salire sul carro del vincitore da parte di dirigenti e giornalisti. È così iniziata la fase di “prorogatio” che non si sa quanto tempo durerà, con grave rischio per la programmazione autunnale che dev′essere presentata agli operatori pubblicitari entro giugno. Renzi ha fretta ma i tempi del Senato sono lunghi. Si parte dall’ipotesi di nominare un nuovo Consiglio di amministrazione a 7 membri invece dei 9 della Legge Gasparri. E qui arrivano i primi dubbi. Due sarebbero eletti dalla Camera, due dal Senato, uno dai lavoratori (circa 12mila dipendenti) e due nominati dal ministero del Tesoro, tra cui uno diverrebbe amministratore delegato con poteri rafforzati rispetto a quelli dell’attuale presidente e direttore generale.

In pratica, nell’ipotesi renziana il Partito democratico avrebbe nel Cda almeno cinque membri compreso il rappresentante dei lavoratori, stando alla maggioranza di Cgil-Cisl-Uil in azienda. Un risultato che cozza contro il pluralismo e la necessità che la Rai rappresenti tutte le voci della società. Il percorso della riforma è lungo, complesso e pieno di imboscate per la maggioranza. Al Senato l’iter della riforma è in commissione, presieduta da Zanda (Pd) e relatori Buemi e Ranucci sempre del Pd, e ultimate le audizioni si passerà alla discussione generale prevedibilmente tra il 3-4 giugno quando scadrà il tempo per la presentazione degli emendamenti.

Il passo successivo è alla Camera. “Prorogatio”, quindi, fino all’autunno? Altra ipotesi, votare i nuovi vertici Rai con la legge in vigore. La Legge Gasparri è vista come il fumo agli occhi da Renzi e nasconde molte insidie perché in Commissione parlamentare di vigilanza il Movimento 5 Stelle, Forza Italia e il nucleo dei bersaniani potrebbero fare lo sgambetto ai candidati renziani. Sul tavolo delle discussioni c’è anche il libro bianco dell’Authority per le garanzie delle comunicazioni (Agcom), sulla fusione web e tv che il legislatore dovrà adeguare al più presto. Secondo l’indagine (dati relativi al 2013) quasi l’85 per cento degli utenti segue i programmi televisivi tramite apparecchi tradizionali, ma il 35 per cento utilizza la tivù satellitare, il 20 per cento tramite un pc, l’8 per cento usa una smart-tv, il 7 per cento su smartphone e il 6 su tablet.

C’è bisogno, osservano molti esperti, di una normativa che individui regole di fondo valide per tutti, indipendentemente dalla piattaforma utilizzata e che risolva questioni aperte come diritto d’autore, tutela della privacy, criteri di tassazione degli operatori in Internet. Per la Rai di fronte alla moltiplicazione delle piattaforme potrebbero essere ripensate anche le modalità di riscossione del canone.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24