Parliamo un po’ di Dio

Quanto e come è presente Dio, oggi, non solo nei discorsi della gente ma anche nella parola della Chiesa e del Papa? Poco, molto poco e spesso non conformemente al vero. Eppure Dio lo abbiamo sempre davanti agli occhi, non solo nel cielo azzurro e sereno e nelle notti stellate, ma anche nella furia del vento, nell’impeto delle acque, nel fulmine, nella valanga, nella gioia e nel dolore, nel grido di chi nasce e di chi muore, dovunque. Dovunque è la vita, dovunque è la morte, Egli vive delle sue molteplici e innumerevoli vite.

Bisogna avere ben chiara questa verità fondamentale: Dio vive in due dimensioni, una assoluta - cioè “sciolta” da ogni rapporto, dialettico, fra i suoi attributi - e una relativa, in cui tali attributi appaiono, dialetticamente, “in relazione” fra loro. Non si può negare che il mondo terreno sia anch’esso regno di Dio, non staccato dalla sua Creazione, come vuole la Chiesa, ma parte integrante di essa. La differenza fra le due dimensioni consiste nel fatto che, mentre in quella assoluta le prerogative divine sono tutte mescolate e confuse, in quella relativa appaiono chiare e distinte, così come da un libro chiuso, una volta aperto, “si squadernano”, uno per uno, tutti i contenuti.

Se non si parte da questa premessa, cioè dal duplice aspetto di Dio, quello divino e quello mondano, non si può capire Dio, né si possono capire il male e il dolore. È una bestemmia rimproverare a Dio di dormire, di tacere, di non intervenire nelle vicende umane, di non aiutare le sue creature, di permettere il male e di concedere a Satana troppa libertà, quando in ogni fatto e in ogni individuo c’è Lui. Se un bambino muore, ebbene, anche quel bambino è Lui. Non è Dio che tace o dorme, siamo noi che non sappiamo vederlo e ascoltarlo. Nel mondo non c’è solo l’opera di Dio, c’è Dio, il quale non è purissimo spirito nel senso in cui comunemente s’intende, e che non significa niente: lo spirito è la materia nel suo stato più sottile, la materia è lo spirito nel suo stato grossolano. Questa è la visione monistica che hanno in genere gli orientali.

La distinzione e la separazione, netta, operata fra spirito e materia è propria degli occidentali, che sono dualisti e perciò spaccano tutto in due: il bene di qua, il male di là, e così via, come due realtà distinte e contrapposte. E lo sono, ma sul piano dialettico, relativo e contingente. Bene e male sono categorie della mente umana sicché “la lode largita o il biasimo inflitto alla realtà”, come diceva Croce, “non hanno altra consistenza che quella di un moto passionale, cagionato da buono o cattivo umore”. Dio dunque è materia, anche nella sua dimensione assoluta: materia sottilissima, energia pura e cosciente, suoni, onde, vibrazioni, ma pur sempre materia.

Lo diceva Teilhard de Chardin, il “gesuita proibito”, accusato dalla Chiesa cattolica di panteismo, che alla materia divina ha dedicato un inno: “Benedetta tu sia, materia universale, eterna, etere senza sponde, abisso triplice delle stelle, degli atomi, degli uomini e di tutti i viventi: Tu che vinci e che dissolvi i nostri angusti spazi riveli a noi la vastità di Dio”. “In principio era la Parola” (cioè il suono): così esordisce il Vangelo di Giovanni, il quale aggiunge che “la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio”, e che “tutto è stato fatto per mezzo della Parola”, cioè della sostanza stessa di Dio. Dio non ha creato il mondo dal nulla: come avrebbe potuto dal momento che Egli era tutto e dovunque non c’era che Lui? La sua, in realtà, è stata una trasformazione o metamorfosi di se stesso, che nella sua purissima essenza permane intorno a noi e al tempo stesso ci pervade sin nelle più intime fibre.

Dio non ha creato il mondo col tocco di una bacchetta magica, c’è dentro fin nelle midolla. La Chiesa nega che vi sia identità fra Dio e la Natura, ma un Dio staccato dalla sua creazione non solo contrasta con la logica ma è dimezzato. Dio ha necessariamente un rapporto stretto con la sua creazione, né avrebbe potuto creare il mondo se l’idea o l’immagine del mondo non fosse già stata in Lui, sin nei dettagli più piccoli e insignificanti. Deus sive Natura, diceva Spinoza, e per questo la Chiesa lo scomunicò definendolo un uomo “pieno di empietà e di ateismo” di cui “il globo terrestre non ha visto da secoli nulla di più dannoso” (“Che sia maledetto di giorno e di notte, mentre dorme e quando veglia, quando entra e quando esce, che l’Eterno non lo perdoni mai”). Tentarono persino di assassinarlo. Panteismo!, grida, scandalizzata, la Chiesa. Eppure in Occidente non c’è stato filosofo che abbia sentito il divino in modo così pieno, così profondo e totale. Novalis chiama Spinoza “ebbro di Dio” e Victor Cousin definisce la sua Etica “un inno mistico, uno slancio e un sospiro dell’anima verso Colui che unico può dire: Io sono colui che è”. Sentire e amare Dio non solo col cuore ma anche con le viscere e con tutto il corpo non è una bestemmia. Santa Teresa d’Avila quando andava in estasi, come lascia trapelare dalle sue descrizioni, realizzava una sorta di coito mistico con Dio.

E il “Cantico delle creature” di San Francesco non è anch’esso un inno alla materia divina, una visione panteistica del mondo, in cui non solo l’uomo ma la natura tutta, l’acqua, il fuoco, il sole, le stelle e persino la morte sono sostanza di Dio? Ma la Bibbia? La Bibbia, o più precisamente l’Antico Testamento, non è una verità assoluta, fissata per sempre una volta per tutte. Siamo noi che ci siamo fermati al tempo in cui quel libro è stato scritto. Se, come dice la Chiesa, la Bibbia è Parola di Dio, è Parola che si rinnova continuamente, dentro di noi, perché Dio non ha parlato una tantum, deliberatamente, dicendo ai suoi scrivani: “Mettetevi a sedere che adesso vi racconto la mia storia”, ma ha sempre parlato e continua a parlare, al di fuori della Bibbia, con milioni e milioni di altri libri, sacri o profani, che sono sempre e comunque la sua Parola.

Come lo è ciò che noi diciamo, scriviamo e pensiamo: tutti, in varia misura, siamo ispirati da Dio. La Bibbia è un libro che va continuamente aggiornato, alla luce delle nuove conoscenze e delle nuove convinzioni, che sono sempre, anch’esse, Parola di Dio. La Chiesa cattolica deve rinnovarsi, operare una riforma che muova proprio da una rilettura e da una giusta collocazione della Bibbia, soprattutto del Vecchio Testamento, che mal si concilia col Nuovo. È giunto il tempo di una revisione di Dio da parte della Chiesa stessa, che continua ad offrire di Lui una visione convenzionale e riduttiva, ai limiti del paganesimo e dell’antropomorfismo. Giovanni Papini diceva che “chi si figura Dio come un ottimo e placido vecchio adibito alla distribuzione di elisiri, di premi e di castighi ai suoi servitori non è arrivato neanche al peristilio del Cristianesimo”.

Ma già Empedocle scriveva: “La divinità non porta testa umana, né spalle da cui scendano due rami, non ha piedi, ginocchia o sesso peloso”. Plotino proclama addirittura che la sola ricerca di Dio, il riferirgli anche un solo attributo, è una bestemmia. “Dio - dice - non è una cosa, non è una qualità, non è una quantità, non è intelletto e non è anima, non è né in movimento né in quiete, né nello spazio né nel tempo. Quando pensate a Lui Egli è sempre qualcosa di più, e quando Lo unificate nella vostra mente il grado di unità con cui Egli trascende il vostro pensiero è più elevato di quanto possiate immaginare”.

Per la Chiesa cattolica, la Bibbia non contiene errori. “Le Sacre Scritture - essa dice - non ingannano né inducono in errore. Gli scrittori biblici non sbagliano mai, sono assolutamente sinceri, e quello che dicono è sempre affidabile. Essi non potevano commettere gli errori che appaiono in tutti gli altri libri, perché con l’ispirazione Dio si rende garante di quanto scrive lo scrittore ispirato, e poiché Egli non può né ingannarsi né ingannare, il libro ispirato va immune da ogni errore”. E sentite questa sottigliezza: “Quando perciò trovassimo un passo della Bibbia che ci sembrasse contrario a una verità incontrastabile, non pensiamo subito che ci sia un errore, ma riflettiamo con Sant’Agostino: “Qui, o c’è uno sbaglio di copista, o il traduttore non ha reso bene l’originale, o io non capisco”. L’errore, se veramente c’è, non è da attribuirsi all’Agiografo, ma a chi non ne trasmise rettamente le parole o a chi non ne comprese il pensiero.

Ancora Sant’Agostino dice, a proposito di un presunto errore nella Sacra Scrittura: “Non questo afferma la Divina Scrittura, ma questo intende l’umana ignoranza”. Come dire che solo la Chiesa cattolica è colta, sapiente e autorizzata a interpretare, comprendere e spiegare. Ispirata da Dio e infallibile, essa sola presume di operare “sotto la guida dello Spirito Santo” (anche quando, come diceva Savonarola, “i cardinali si lasciavano prendere come mosche a vendere senza Cristo la veste di Cristo, riunendosi nelle latrine per stipulare sozze convenzioni sul modo di eleggere il Pontefice”).

Oggi nel mondo sono milioni i cristiani che non accettano molti contenuti dell’Antico Testamento e anche il Dio che vi è rappresentato, un Dio antropomorfico, crudele e vendicativo, come gli dèi delle religioni tribali, che esige sacrifici di sangue, anche umano (vedi il caso di Isacco), che predilige un suo popolo e muove guerra a questo e a quello, uccidendo Egli stesso (vedi Sodoma e Gomorra), anzi, sterminando l’intera umanità. Il mondo invecchia su credenze ormai superate, su miti che non convincono più la maggior parte delle persone nell’Era dei computer e dei cellulari.

In America, dove la Bibbia è più diffusa che altrove e più avvertita è la necessità di un rinnovamento religioso, un sondaggio della “Barna Organization”, pubblicato su Internet, ha rilevato che circa il 90 per cento degli abitanti possiedono una Bibbia, ma solo un terzo di essi la sfogliano, in media meno di una volta alla settimana, e il 24 per cento afferma di non averla mai letta. Ciò spiega perché gli americani sappiano così poco di un libro che è alla base della fede della maggior parte di loro. Otto americani su dieci si dichiarano cristiani, ma solo quattro su dieci sanno che il “Discorso della montagna” l’ha pronunciato Gesù, meno della metà degli adulti sa che gli autori dei Vangeli si chiamavano Matteo, Marco, Luca e Giovanni, e ancora più persone ignorano l’esistenza dei dodici apostoli e il nome del paese in cui è nato Gesù.

Una gran parte degli americani considerano i Dieci Comandamenti delle buone regole da seguire, ma non sanno esattamente quali siano. Questa scarsa lettura della Bibbia dipende dalla convinzione, radicata nell’80 per cento delle persone, che quel libro sia pressoché inaccessibile e di difficile comprensione e che abbia poco da dire al mondo di oggi. Il numero di cristiani che prendono per vera ogni parola della Bibbia continua a diminuire: nel 1985 la percentuale era del 34 per cento, oggi è scesa al di sotto del 30. Si può concludere che la Bibbia, pur essendo il più venduto, sia il libro meno letto e meno capito del mondo.

La mancanza di risposte adeguate e convincenti spiega il proliferare di tanti movimenti religiosi e di tante sette, comprese quelle sataniche, né si può sperare che la situazione migliori di fronte alla valanga di notizie relative alla Bibbia, di commenti, di giudizi, di dibattiti e di scritti che circolano e che continueranno a circolare sulla Rete sempre più numerosi e alla facilità di poter effettuare tramite il web uno studio comparato di tutte le religioni. Un mistico indiano contemporaneo, Sri Bhagavan, definisce Internet “il riflesso tecnologico di come funziona Dio, in cui tutte le cose sono connesse fra loro”, anzi, dice esplicitamente che “Internet è Dio”.

In ogni caso è certo che la tecnologia ha un importantissimo ruolo nel risveglio spirituale dell’uomo e che sarà la scienza a darci un’immagine più coerente di Dio, perché Dio non è soltanto religione, è prima di tutto scienza, sostanza di cose concrete, non di cose “sperate” come dice San Paolo (e come traduce Dante) della fede. Ecco, noi vorremmo che la Chiesa ogni tanto toccasse anche questi argomenti, che il Papa non restasse sempre coi piedi sulla terra ma volasse un po’ più in alto, che non leggesse un solo giornale (che non è certo il più obiettivo e veritiero) e guardasse ogni tanto la televisione, altrimenti viene da chiedersi: “Ma in quale mondo vive?”. E che linguaggio parla? Dia un contentino anche alle persone colte, agli intellettuali che vorrebbero ascoltare da lui discorsi più elevati (Paulo maiora canamus). La Chiesa stessa ne trarrà vantaggio e un prestigio maggiore. Cristo ha detto: “Beati i “semplici e i puri di cuore”, ma non che devono restare ignoranti. E poi ha detto anche: “Cercate e troverete, e quando avrete trovato avrete fatto il Regno del Signore”.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:08