La distruzione dell’italiano

La distruzione dell’italiano è anche una metafora della Nazione. Ernesto Galli della Loggia ha pubblicato sul Corriere della Sera una circolare scolastica redatta dal preside di un istituto superiore, del quale preside, a riprova che non è uno scherzo, si è impegnato a fornire riservatamente nome e cognome a chi glielo richiedesse. Eccone il testo: “Circolare n. 44. Oggetto: circolazione circolari. Sono state presentate alcune rimostranze da parte di genitori dell’alberghiero e dei loro rappresentanza (sic!) riguarda (sic!) la mancata circolazione di alcune circolari. Si raccomanda di far circolare per le classi agli (sic!) studenti tutte le circolari e di farle ricircolare per le classi uscite prima (sic!). Si raccomando (sic!) di mantenere un flusso continuo di circolazione e di ricircolazione delle circolari anche con l’ausilio attivo e fattivo all’(sic!) istituto alberghiero degli studenti di accoglienza turistica”.

Esattamente Galli della Loggia ha sottolineato, tra l’altro, che il testo è degno del migliore Totò. E ha tratto dall’episodio una serie di sconfortanti domande sulla nostra scuola. Ma qui ho citato la circolare come esempio professionale del disfacimento della lingua italiana e di come tale sfacelo sia effetto e causa, nonché prova, dell’impoverimento non solo economico dell’Italia. Sempre sul Corriere della Sera, Paolo Di Stefano ha dato la notizia che il Dipartimento di giurisprudenza dell’Università di Pisa ha deciso di istituire per il terzo o quarto anno di studio “un corso di scrittura e di grammatica della frase”. Avete capito bene! Sono stati costretti, i giuristi di quell’ateneo, ad insegnare un po’ d’italiano decente ai laureandi in legge. Non ne potevano più di leggere le tesi scorrette degli allievi. “Non imprecise o lacunose sul piano concettuale, ma deficitarie sul piano della lingua italiana. Anacoluti, distorsioni, pleonasmi, reggenze sbagliate, sviste lessicali, incapacità di usare la punteggiatura. Per non dire del deficit grammaticale e sintattico che emerge dai concorsi pubblici. Un disastro”. Davvero un disastro. Si sarebbe detto, in passato, che erano tesi scritte con i piedi! Oggi sarebbe un complimento.

Questi due esempi dimostrano sconsolatamente che, in alto ed in basso, la partita è persa, se un dirigente scolastico scrive seriamente come un comico senza esserlo e se l’università deve acconciarsi a fare la maestrina di scuola media. Che possiamo attenderci da una Nazione che non sa più esprimersi completamente nella propria lingua o in lingua appropriata? Da una Nazione che conficca inglesismi nelle leggi e nelle istituzioni? Da una Nazione le cui classi dirigenti, giornalisti compresi, biascicano parole straniere per apparire più colte di quel che sono; mischiano in astrusi periodi vocaboli a caso; talvolta non capiscono loro stesse quel che dicono?

Confucio disse che, quando le parole perdono significato, il popolo perde la libertà. Noi siamo un popolo che sta addirittura rinunciando del tutto alla propria lingua e getta alle ortiche il patrimonio della cultura e della storia.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24