E la Chiesa travolse ogni steccato...

giovedì 2 luglio 2015


L’uscita della nuova, grande enciclica papale “Laudato si’ ” (grande? per ora diciamo che è vasta e onnicomprensiva, se sia o no grande lo dirà la storia) ripropone (o dovrebbe riproporre) la questione del rapporto tra Stato e Chiesa o, più specificamente dei limiti dell'ingerenza del clero – senza che si debba parlare, necessariamente, di clericalismo – nella vita e nel dibattito pubblico, politico. Un tempo, il problema del confine che doveva nettamente separare le due sfere - quella religiosa rappresentata dalla Chiesa e quella laico-politica garantita dallo Stato - era assai sentito; fu molte volte, nella storia dei rapporti tra i due soggetti, tema scottante, di fondo: tutto il dibattito ruotava attorno alla famosa espressione - “libera Chiesa in libero Stato” - coniata dal Montalembert, un cattolico liberale, e ripresa da Cavour, un liberale cattolico, che definì a lungo, sicuramente in modo perfetto, i termini della problematica posta dalla compresenza di una potente organizzazione ecclesiale/temporalista e di uno Stato che storicamente ambiva ad appropriarsi dell'esercizio di tutti i poteri connessi con il dover governare.

Per lungo tempo, la domanda che ci si poneva dinanzi ad ogni conflitto - in atto o possibile - tra i due soggetti fu: “dove si colloca il confine che delimita e separa le due libertà?” (qualcuno, invece che di confine parlò di "storico steccato"). Le risposte furono spesso vaghe o divergenti, perché quel confine era in sé vago e suscettibile di mille, anche contrastanti, definizioni. Si può ben dire, tuttavia, che l'espressione fu un imprescindibile punto di riferimento. Oggi è un po' scaduta dall'uso, la maggior parte dei nostri politici la evita perché può essere sentita come pericolosa, non gradita Oltretevere, quindi "vitanda". Comunque sia, ha perduto di validità, può non avere più senso (almeno così a noi pare). Ma l'enciclica di papa Bergoglio, senza troppo curarsene, la ignora. Forse, potremmo anche dire che Bergoglio ha saltato lo "steccato". Non si può non riconoscere infatti, qualche che sia il giudizio che se ne vuol dare, che la “”Laudato si'”, è un vero e proprio programma politico. Detta percorsi progettuali, discrimina tra cose buone da fare e cose cattive che non devono essere fatte. Più di ogni altra encliclica dei nostri tempi, a partire da quelle di Papa Roncalli - la “Pacem in Terris”, che si rivolgeva “a tutti gli uomini di buona volontà” - la “Laudato si'” - che si rivolge "a tutti coloro che abitano questo pianeta" - appare come un vero e proprio codice di condotta, un “manuale” di iniziative e pratiche fin troppo dettagliate, di primo acchito confermandoci (come se ce ne fosse bisogno) che Papa Bergoglio è un gesuita, e come il Loyola, il fondatore dell'ordine, assai più esperto di pastorale missionaria che di teologia.

Vogliamo chiamarla, questa strabordante enciclica, un “Manifesto”? Il termine non sarebbe inappropriato, e dunque non può non suscitare perplessità e reazioni: che infatti, puntuali, ci sono state, più sul versante della Chiesa, o di suoi ambienti, che sul versante laico, anche se certe espressioni, interpretate come troppo intrise di fondamentalismo ecologico, hanno suscitato dubbi ovunque. Per quel che oggi ci interessa, però, ci pare che l'enciclica sfori il confine delimitato dal vecchio motto cavourriano. La chiesa indica allo Stato, agli Stati, agli uomini, cosa fare, e non nell'ambito dello spirituale ma in quello del sociale, del politico, dello scientifico, del culturale e così via. E lo fa con piglio universalistico. Non si rivolge allo Stato italiano, ma a tutti gli stati e governi della terra. Se si dovesse pensare ad una conseguenza logica e ineluttabile di quelle pagine, potremmo parlare addirittura di un “appello” alla rivoluzione integrale, la rivoluzione antropologica che definisca l'uomo di domani, l'uomo “2.0”.

Lo fa con un linguaggio cui, per cultura e tradzione, non siamo abituati. E' il linguaggio di uno che viene “dai confini del mondo”, portatore di un messaggio umano (ed antropologico) di cui al più di noi (europei) abituati alla cultura eurocentrica degli altri papi, sfugge il significato, sono ignote addirittura le radici. La “Laudato si'” si rivolge, con un linguaggio a loro comprensibile e da loro atteso, ai miliardi dei poveri e dei diseredati, degli abbandonati del pianeta. A loro, le società del benessere, europee o comunque “occidentali”, si sono rivolte con parole sempre piene di benevolenza paterna, ma sostanzialmente estranee: “Sì comprendiamo i vostri bisogni, le vostre ansie, le vostre attese, le vostre speranze, ma fidatevi di noi, la nostra scienza, le nostre conoscenze, ecc., hanno già tutto previsto, e possiamo assicurarvi che le loro ricette prima o poi soddisfarranno le vostre ansie, i vostri bisogni, le vostre speranze. Abbiate fiducia, ma lasciate fare a noi”. Papa Bergoglio rovescia il rapporto, mette in bocca a quei poveri dei confini del mondo la risposta che se non è”tutto e subito, e gestito da noi”, poco ci manca. Non appena le sue parole saranno lette, in ogni angolo del globo, c'è da scommettere che si sarà qualche monsignor Romero che solleverà la mitra in alto e metterà in moto milioni di disperati.

Sarà un bene o un male? E chi può dirlo, in un momento storico in cui non c'è nessuna certezza, su niente?


di Angiolo Bandinelli