Salvemini e la scuola   capace di far ragionare

“Gaetano Salvemini e la scuola, il ricordo di Roberto Vivarelli nelle pagine di Nova Historica”, è il tema di un convegno che ha avuto luogo a Napoli, presso la sede dell’Istituto italiano di Studi filosofici, in collaborazione con il Centro di studi storici politici e sociali “Gaetano Salvemini”, e la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice. Al convegno sono intervenuti Silvio Berardi, Francesco Bonini, Giuseppe Parlato, Gaetano Pecora, Gianmarco Pondrano Altavilla e Valter Vecellio. Quella che segue è la relazione di Valter Vecellio, presidente dell’Associazione per la Libertà della e nella cultura.

Una riflessione un po’ amara, mentre cercavo di raccogliere qualche idea per questo convegno. In uno scaffale alla sinistra del mio studio, sono allineati alcuni tra i volumi a cui tengo di più, quelli che cercherei di salvare a ogni costo, in caso di disgrazia; sono quelli di Ernesto Rossi, Piero Gobetti, di Carlo Rosselli, di Altiero Spinelli; e quelli, naturalmente, di Gaetano Salvemini. Tra quei volumi ci sono le opere complete pubblicate da Feltrinelli tra il 1961 e il 1978, un progetto editoriale voluto e concepito dal suo allievo prediletto: Ernesto Rossi; e seguito da Rossi fino a quando non è scomparso nel 1968. Nove sezioni per diciotto volumi complessivi. Tra gli altri, il primo e il terzo volume degli scritti sul fascismo, curati dal professor Roberto Vivarelli... Qui apro una parentesi: è vero che qua e là si trovano anche oggi opere e scritti di Salvemini, ma quell’edizione feltrinelliana, dopo la prima tiratura, non mi pare sia più stata ripubblicata; io almeno ho dovuto faticare parecchio per comporla, girovagando tra librerie antiquarie e bancarelle dell’usato; e ci si dovrebbe chiedere come mai e perché un editore come Feltrinelli non ha più mostrato interesse per la ripubblicazione di quell’opera. Ma lo stesso discorso, evidentemente, lo si può fare per altri autori e altre case editrici: penso in particolare alla Laterza e all’Einaudi: hanno cataloghi ricchissimi, filoni politico-culturali straordinari, e per anni, decenni li hanno letteralmente confiscati.

Una grande responsabilità ahimè - lo dico perché ci lavoro, e tutto sommato ancora amo l’azienda Rai - ce l’hanno i mezzi di comunicazione di massa, molto rari sono i programmi come, per fare un esempio, quel “Socialismo come libertà. La storia lunga di Gaetano Salvemini”, con il nostro professor Gaetano Pecora; rari, e quasi sempre a orari impossibili, e per canali tematici ed elitari. Davvero un peccato: ignorare la nostra storia spiega il nostro presente, condiziona e pregiudica il nostro futuro.

Il nostro presente… Mi sono per esempio chiesto che cosa Salvemini avrebbe scritto (e anche dove, forse sui muri, che non c‘è un equivalente del “Mondo” di Mario Pannunzio; non ci sono più, purtroppo, “Tempo Presente” di Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, o “Il Ponte” d Piero Calamandrei), a proposito della scuola di oggi, e delle continue riforme annunciate, predisposte, messe in cantiere.

Vedete, io non sono un fan di Matteo Renzi. Diffido dei “rottamatori”, ho grande fiducia nei “vecchi”, che ho imparato ad ascoltare, e da cui ricavo sempre utili insegnamenti. A uno poi che lascia morire giornali e riviste, i suoi giornali, le sue riviste, e comunica con sms e Twitter, non stringe la mano, ma giovanilisticamente chiede “il cinque”, io glielo do non il cinque, ma il due. Non spasimo, dunque, per le riforme renziane. Direi anzi che non ce n’è una che mi trovi d’accordo. Ha ragione Alfredo Reichlin, quando dice che Renzi e i suoi ministri non hanno idee e cultura politica. Perfino Massimo Cacciari ha ragione, quando parla di Renzi.

Così non mi sento di dare torto a quei professori e a quegli studenti che si sentono frustrati perché ancora una volta si sentono scaricarsi sulla schiena il peso di colpe e di errori che non sono i loro. O solo loro. Tuttavia, per tornare a Salvemini che prestava molta attenzione alle problematiche della scuola, e che giustamente alla scuola annetteva grande importanza: forse non avrebbe condiviso i giudizi aspri, e anche demagogici, del tipo: “Deriva autoritaria in atto”. Salvemini, probabilmente non avrebbe condiviso la resistenza e l’ostilità verso tutto quello che ha un sapore meritocratico. Salvemini, forte della sua esperienza oltre-oceano, ci avrebbe ricordato che in America il termine “meritocrazia” non è un insulto, qualcosa da esorcizzare; ma al contrario è cosa da valorizzare e da esaltare; ci avrebbe detto che è cosa buona e giusta valutare in modo attento e rigoroso studenti e professori, e di conseguenza premiare e/o sanzionare gli uni e gli altri, sulla base delle loro capacità.

Oggi, forse - non lo voglio certamente tirare per la giacchetta - da quel liberale e socialista autentico che era (non per un caso si definì un “pazzo malinconico”!), Salvemini ci avrebbe ricordato che la Corte Suprema della California, Stato democratico e progressista per eccellenza, ha stabilito che i cittadini delle minoranze etniche e disagiate sono più danneggiati proprio dall’inamovibilità degli insegnanti non meritevoli. Lui, che per tanto tempo ha insegnato ad Harvard, ci avrebbe ricordato la denuncia di una sessantina di associazioni asiatico-americane al Dipartimento per l’educazione, per violazione del 14esimo emendamento della Costituzione sulla “uguale protezione delle leggi”; perché a loro dire, da vent’anni i processi di selezione ad Harvard discriminano i cittadini di origine asiatica in nome di una malintesa concezione dell’uguaglianza sociale, nel senso che una serie di norme spinge l’ateneo a privilegiare le domande di ammissione di ispanici e afro-americani. Non pietiscono “quote etniche” per loro, pur consapevoli dei vantaggi diciamo corporativi che sottendono. Chiedono, in nome dell’uguaglianza, selezioni che tengano conto del rendimento scolastico, del reddito, della “meritocrazia”, che viene definita “uno dei valori fondanti che hanno reso l’America il più grande Paese al mondo”.

Negli scritti di Salvemini, a un certo punto troviamo una affermazione illuminante: “La scuola laica non deve imporre agli alunni credenze religiose, filosofiche o politiche in nome di autorità sottratte al sindacato della ragione... È laica la scuola in cui nulla si insegna che non sia frutto di ricerca critica e razionale, in cui tutti gli insegnamenti sono rivolti a educare e rafforzare negli alunni le attitudini critiche e razionali”.

Pensate che attualità... e sono parole scritte nel 1907, per “Critica Sociale”; e che poi ritroviamo in quelle “Opere” feltrinelliane di cui ho fatto cenno. Per restare in tema, possiamo citare un altro scritto di Salvemini, del gennaio 1907: “La scuola laica è la scuola indipendente da tutti, i preti neri, verdi, rossi, di tutti i colori; è la scuola che chiami a sé i migliori uomini che siano disponibili sul mercato, che la misura degli stipendi permette di attirare, senza preoccuparsi delle idee politiche o religiose o scientifiche di ciascuno, senza badare se vestano la tonaca nera o se portino la cravatta rossa, se abbiano per copricapo il tricorno o il triangolo o il berretto frigio affinché essi insegnino agli alunni non quello che essi o il governo credono sia la verità, ma in che modo, con la forza della ragione, con animo libero da pregiudizi e da preconcetti, ognuno debba cercare la verità; una scuola che non pretenda per sé nessun privilegio, e si esponga alla libera concorrenza di tutte le altre scuole con nessun’altra difesa che la fiducia nella superiorità del proprio indirizzo educativo e la cura di rendersi senza tregua migliore di qualunque altra...”.

Una scuola, aggiungeva, che il partito clericale (e sono tanti, e di tanti colori, i clericali, mi permetto di chiosare), “debba odiare a morte, perché educatrice di libere e forti coscienze, avversa a tutti i dogmi indimostrati e a tutte le tirannie”.

Bene, si capisce perché Salvemini anche oggi non avrebbe vita facile; e perché le sue opere sono clandestinizzate. È il Salvemini che già vedeva quello che poi sarebbe accaduto. È una grave disgrazia non solo avere ragione, ma averla perfino cinque minuti prima degli altri... Salvemini a proposito della scuola privata, metteva in guardia dallo sfacelo che si preparava e incombeva: “I privati fondano le scuole che meglio credono, vi mettono a insegnare chi essi meglio credono; impongono agli insegnanti le idee che credono; impongono agli alunni le idee che credono; e lo Stato sta a guardare, lascia fare, mette la firma e paga per tutti. Quale posto rimanga in questo sistema per le scuole dello Stato, nessuno riuscirà mai a vedere. La verità è che per esse non c’è posto. I clericali non osano dir questo; si contentano di impedire con la loro resistenza passiva che lo Stato migliori le scuole pubbliche; al resto ci penseranno essi, migliorando le scuole loro, coi quattrini dello Stato. Dopo vent’anni di questo sistema, le scuole pubbliche saranno tutte morte; e le scuole private saranno le sole vive. E chi dirà scuole private, dirà 99 volte su 100 scuole clericali: perché fra tutte le associazioni private la sola chiesa cattolica dispone delle forze finanziarie e del personale occorrente a prendere il posto della scuola pubblica”.

Sono concetti, parole del 1910. Cent’anni dopo le cose sono cambiate solo di poco: la resistenza non è più passiva, ma attiva. La scuola pubblica, nonostante i ministri della Istruzione pubblica e i Governi, respira, anche se boccheggia; non c’è solo la chiesa cattolica, ma altre chiese sono in grado di mettere in campo risorse e persone.

Salvemini intendeva la storia come una sorta di “arma” capace di generare coscienze critiche, a patto ovviamente di saperne ricavare il giusto senso che ne può venire: “La consapevolezza che nel venire a sapere che la propria realtà non è l’unica possibile, l’alunno possa sperimentare quel salutare seno dell’irrequietezza con il quale tutto comincia”.

Pericolosissima, questa scuola salveminiana.

Parlando dell’istruzione che si dà nelle scuole, Salvemini annota che il suo scopo “non è quello di ottenere il rendimento massimo dell’intelligenza mentre tale istruzione dura, ma si assicurare il rendimento massimo durante il periodo che segue alla scuola e che dura quanto la vita. Il valore di un’educazione si misura non dal numero delle nozioni che nel momento in cui l’educazione finisce l’anno può avere nella sua testa, ma da quanto la scuola lascia in lui di gusto, di slancio, di attitudine a istruirsi con un lavoro indefinitamente continuo”.

Ora è chiaro perché Salvemini, cent’anni dopo aver scritto queste parole nel suo “La riforma della scuola media”, continua a essere lo “straniero in patria” che fu tutta la vita.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:28